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Italia 2016: ovvero, costruendo la Data Economy tricolore
I dati sono il petrolio del XXI secolo. Può ormai suonare come un cliché, almeno tra gli addetti ai lavori, ma è vero. Basta vedere quali sono le dieci aziende più capitalizzate del mondo: nove sono statunitensi, e ben sei (inclusa la cinese Tencent) hanno a che fare proprio con la data economy. È interessante notare come appena un lustro fa, nella medesima classifica, le aziende collegate alla data economy fossero “soltanto” tre (Apple, IBM e Microsof), quattro aggiungendo il gigante delle TLC China Mobile.
Insomma, la data economy è arrivata, ed è qui per restare. La più grande data economy del mondo è, ovviamente, l’America, patria di colossi come Amazon, Alphabet e Apple, nonché di innumerevoli startup che promettono di cambiare il mondo. Altre data economy, di gran lunga più piccole ma comunque assai agguerrite, sono Israele, Svezia e Finlandia, il Regno Unito, Singapore, la Sud-Corea ecc… E l’Italia? Come si muove l’Italia sul terreno dei big data, che stanno alla data economy come il carbone è stato alla Rivoluzione industriale?
Per saperlo ho fatto qualche lettura e parlato con un po’ di persone informate sui fatti. Ad esempio con il dottor Marco Guerini, ricercatore presso la Fondazione Kessler, uno dei grandi poli di eccellenza scientifica qui nel Nord-Est. Guerini è un ricercatore molto quotato, che coniuga i suoi studi di linguistica computazionale con una passione per la divulgazione, e mi spiega:
«Il concetto di big data è spiegabile con un semplice numero: il flusso di dati generati da dispositivi elettronici nel corso degli ultimi anni ha superato l’ordine degli Zettabyte (10 alla 21 byte, pari a mille miliardi di gigabyte) e aumenta in maniera esponenziale. Posto che i big data rappresentano una rivoluzione per molti settori, è importante tenere a mente che la semplice descrizione quantitativa del termine è limitante perché – in realtà – questo concetto si riferisce anche a quella nuova generazione di algoritmi sviluppati per trattare una quantità molto significativa di variabili in poco tempo e con risorse computazionali non infinite».
Non solo. Secondo il dottor Guerini, la vera rivoluzione dei Big Data (e, in generale, il suo significato più profondo) risiede in qualcosa di ancora più importante: la capacità di trovare un senso nell’enorme mole di dati generata dalla nostra civiltà.
«Questa rivoluzione presuppone nuove capacità di collegare fra loro le informazioni e fornire pattern o modelli di interpretazione fino a poco tempo fa inimmaginabili. Implica la capacità di navigare in questo mare magnum di informazioni senza venire travolti dallo tsunami rappresentato dai big data. E tutto questo ha rimesso l’essere umano al centro della scena, non a caso figure come quelle del data scientist sono sempre più richieste».
Per il dottor Guerini in Italia non esiste una vera e propria cultura dei big data, ma piuttosto un embrione di essa. In ogni caso osserva che si stanno moltiplicando le startup dei big data. Una di queste è U-Hopper, azienda specializzata nel campo dei big data analytics per il mondo del marketing. L’ha fondata un ingegnere (e PhD) toscano, Iacopo Carreras, che dice:
«I big data rappresentano una della maggiori fonti di innovazione e di progresso tecnologico. Mi spiego: grazie agli sviluppi di questi ultimi anni, le cd nuove tecnologie sono diventate pervasive, nonché parte della nostra vita quotidiana. Questo si traduce in “tracce digitali” che lasciamo ogni qualvolta utilizziamo uno dei molti strumenti digitali (smartphone, tablet, PC, Internet). A partire all’analisi di queste “tracce digitali” è possibile estrarre conoscenza che può essere applicata a una moltitudine di contesti diversi. U-Hopper si è specializzata sia nella tecnologie che nell’analisi di questi dati».
Tra le tecnologie sviluppate da U-Hopper c’è RetailerIN, che supporta i gestori di negozi e punti-vendita nell’ottimizzazione del posizionamento dei prodotti sulle scaffalature. O, per citare il sempre puntuale Sole 24Ore, aiuta a capire “cosa succede nei supermercati”. Di startup come quella del dottor Carreras ce ne sono sempre di più, in Italia. Da Milano a Pisa, da Trento a Roma, gli startupper hanno capito che i big data potrebbero rivelarsi davvero l’affare del secolo. Ne è convinto un esperto legale del settore, l’avvocato Marco Maglio, che mi spiega:
«Per quanto concerne la data economy siamo piccoli rispetto ai colossi d’Oltreoceano, ma siamo in grado di vedere ciò che gli altri nemmeno immaginano. E soprattutto siamo in grado di realizzarlo. Grazie alle tante occasioni di confronto che ho con realtà straniere posso dire con orgoglio che non manca niente all’Italia per essere protagonista assoluta nel mercato dei big data. L’auspicio è che le istituzioni favoriscano queste potenzialità dando spazio a chi vuole trattare i dati per estrarre conoscenza al servizio del prossimo. In questo senso mi aspetto che nascano iniziative per favorire non solo le startup innovative, ma anche quelle che individuano nuove modalità di sfruttamento delle informazioni presenti nei dati aperti (open data), che le Pubbliche Amministrazioni da vari anni hanno l’obbligo di rendere disponibili».
Secondo l’avvocato Maglio, si tratta di una vera e propria “miniera d’oro”, non solo per le startup digitali come U-Hopper ma per assicurazioni, aziende farmaceutiche, imprese attive nel marketing e per la stessa Pubblica Amministrazione. E anche gli avvocati farebbero bene ad attrezzarsi, e alla svelta.
«Il mondo legale è spesso poco preparato, e considera questi temi con il fastidio di chi non capisce di che cosa si sta parlando. È un problema di dimestichezza con le materie tecnologiche e con i temi del marketing (che con i big data sono strettamente correlati). Questo malgrado le norme italiane siano spesso all’avanguardia nel gestire questi temi. Basti pensare che in Italia affrontiamo il tema della gestione dei documenti informatici da oltre dieci anni, con norme decisamente evolute e raffinate. Ma bisogna essere ottimisti perché le nuove generazioni di giuristi sapranno senz’altro cogliere questa opportunità e rendere possibile lo sviluppo dei big data su basi solide dal punto di vista legale».
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