Sindacati
Verti, l’assicurazione sempre avanti, anche con gli esuberi
La compagnia di assicurazioni del gruppo spagnolo Mapfre ha annunciato l’esternalizzazione del back office e del contact center e 325 esuberi sui 600 dipendenti di Cologno Monzese. Più del Covid, pesa la competizione crescente in un settore in cui si tende a compensare il calo dei premi coi tagli al costo del lavoro. Ne parliamo con Paolo Plona, lavoratore Verti e delegato Fisac CGIL.
ANTONGIULIO MANNONI–MARCO VERUGGIO, 22 novembre 2021
Dopo due anni di sacrifici la doccia fredda. Verti Assicurazioni, in Italia quarto gruppo nel settore delle polizze auto, con una raccolta pari al 7% dei premi (2019) e un milione di clienti, lo scorso 12 novembre ha annunciato che intende esternalizzare due interi reparti – back office e contact center – e ridurre il personale di tutti i reparti restanti. Una scelta motivata da “ragioni contestuali che rendono necessario rivedere i modelli organizzativi e operativi intervenendo sui costi fissi, a partire dal costo del lavoro”. Dei circa 600 dipendenti, concentrati nell’unica sede di Cologno Monzese, oltre la metà, 325, rischiano il posto di lavoro. Verti è parte del gruppo assicurativo spagnolo Mapfre, tra le primissime società del settore in America Latina e tra le prime 10 in Europa, 36.000 dipendenti, nel 2019 quasi 30 miliardi di euro di ricavi e oltre 600 di utili. I sindacati Fisac CGIL, First CISL, Uilca UIL, più la sigla autonoma del settore assicurativo FNA, (insieme alla Fisac CGIL la più numerosa tra i dipendenti di Verti), definiscono “vergognoso e inaccettabile” l’annuncio dell’ad Enrique Flores Calderon, rimarcando che “dall’inizio della pandemia, i lavoratori tutti hanno messo a disposizione la propria abitazione (e i propri mezzi personali) per la prosecuzione in remoto dell’attività lavorativa. Non solo nulla è stato riconosciuto loro da quest’azienda per gli sforzi profusi nel difficile periodo degli ultimi 2 anni; proprio ora, nel contesto di una situazione ancora per tanti aspetti difficile, ‘l’assicurazione sempre avanti’ (come recita lo slogan della Compagnia), procede con il più vecchio dei metodi: spremere i lavoratori, e buttarli quando pensa non siano più utili.”
Nel 2020 il Gruppo Mapfre ha denunciato una riduzione delle entrate del 10,7%. L’impatto del covid-19, secondo il comunicato aziendale coi dati dello scorso esercizio, è stato pesante, generando un costo lordo degli indennizzi di 367 milioni di euro, a cui nei primi tre trimestri di quest’anno se ne sono aggiunti altri 344, anche se a settembre le entrate erano cresciute del 3,8% e l’utile netto del 16,4%. Tuttavia, ci spiega Paolo Plona, delegato della Fisac CGIL, la pandemia spiega solo in parte una decisione che viene da lontano. Partiamo proprio da qui.
Quale è la situazione del settore assicurativo oggi? Nel vostro caso possiamo dire che la pandemia ha fatto pendere la bilancia in direzione di una nuova ristrutturazione aziendale?
Si possono dire tante cose. In realtà noi eravamo già in fase di riorganizzazione. Potrei dire una riorganizzazione perenne, perché, soprattutto per quanto riguarda le compagnie di assicurazioni come la nostra, c’è un’accanita competizione e i margini tendono a ridursi. Il settore delle assicurazioni si divide in due segmenti: il 90% sono compagnie tradizionali, che vendono i loro prodotti attraverso l’intermediazione di un’agenzia, il 10% sono le cosiddette assicurazioni dirette. È un settore che qui in Italia non ha mai “sfondato” e in cui un piccolo numero di compagnie assicurative – Verti, Allianz Direct, Prima, Genertel, Conte, Quixa – si fa concorrenza cercando di rubarsi i clienti l’un l’altra. Il problema di fondo è che negli ultimi anni la digitalizzazione e i conseguenti processi di semplificazione che hanno investito il nostro lavoro hanno provocato una caduta del premio medio. Soprattutto nelle assicurazioni dirette, con l’aumento della digitalizzazione i premi sono destinati a scendere, perché le compagnie si fanno concorrenza sul prezzo ampliando la quota di capitale fisso, riducendo il numero dei dipendenti. I clienti vanni sui siti, confrontano i prezzi e scelgono la polizza che costa meno. Non siamo l’unica compagnia a dichiarare dei risultati negativi. Perciò l’annuncio del 12 novembre non è stato un fulmine a ciel sereno. Anche se non ci aspettavamo questi numeri e queste modalità.
Mi stai dicendo che la pandemia c’entra poco? Perché Mapfre nei suoi resoconti finanziari, invece, enfatizza molto il peso del covid, che avrebbe inciso sensibilmente sulle uscite.
Facendo un ragionamento generale sul gruppo lo capisco e la scelta di tagliare potrebbe essere inscritta in un piano più ampio di ristrutturazione delle varie aziende che lo compongono. Qui in Italia la situazione del mercato è certamente un aspetto da considerare. Verti attualmente dichiara un fatturato complessivo di 390 milioni l’anno. Due-tre anni fa eravamo sui 450 milioni, poi c’è stata una sensibile riduzione, come dicevo, un po’ per il calo del premio medio, un po’ anche per il covid. E non si tratta solo delle richieste di indennizzo che, hanno ripreso il loro normale livello dopo il calo dei sinistri durante i lockdown, c’è anche una riduzione del numero dei contratti stipulati. Oggi, ad esempio, il fatto che manchino materie prime e semiconduttori impatta sull’industria dell’auto riducendo il numero delle immatricolazioni, cosa che determina automaticamente un mancato introito dalle polizze auto; più in generale i lockdown, se da un lato hanno ridotto il numero dei sinistri per qualche mese, dall’altro hanno di fatto frenato il mercato. Nel 2020 Verti ha chiuso il bilancio in attivo (+ 1,4 milioni), ma solo perché il calo dei sinistri ha compensato gli effetti negativi della pandemia. Tuttavia la pandemia ha accentuato e accelerato alcuni processi già in atto, portando allo scoperto contraddizioni latenti o processi già avviati. Se si leggono le interviste rilasciate dai dirigenti delle altre assicurazioni dirette, dicono più o meno tutti le stesse cose: la strategia di mercato in questo settore consiste nell’innovare attraverso la digitalizzazione e la semplificazione dei processi e tagliare il costo del lavoro riducendo il personale e ricorrendo all’outsourcing. Da noi, proprio i reparti che vogliono esternalizzare sono oberati di lavoro.
Andiamo nel dettaglio. Che cosa vi hanno comunicato il 12 novembre?
In Italia Verti ha un’unica sede a Cologno Monzese, dove lavorano 605 dipendenti. Di questi, 325 sono stati dichiarati in esubero. Queste sono le dichiarazioni iniziali fatte in un incontro il 12 novembre, a cui seguiranno altri incontri. Quindi, come capita spesso in questi casi, può essere che sia un numero sovradimensionato e destinato a scendere. Ma io sono più portato a pensare che stavolta loro puntino proprio a quei numeri. Noi siamo determinati, ma anche preoccupati.
E’ la seconda ristrutturazione pesante che subite, no?
Sì, la prima è stata nel 2016. Nel 2015 Mapfre aveva rilevato Direct Line trasformandola in Verti e l’anno dopo ha dichiarato 200 esuberi, che in seguito, dopo una trattativa sindacale, si sono trasformati in 170 esodi volontari incentivati, cioè dietro pagamento di una buonuscita, a cui si sono aggiunti la disdetta del Contratto Integrativo Aziendale e una trasformazione delle condizioni di lavoro. Insomma Mapfre ha preso una compagnia da 1000 dipendenti, in 4-5 anni li ha ridotti quasi alla metà e ora vuole dimezzare ulteriormente. Questo anche grazie a una gestione che non si cura granché delle relazioni sindacali. Quest’aspetto c’era già prima con Direct Line, ma con l’arrivo degli spagnoli si è accentuato.
Secondo quanto previsto dalla contrattazione nazionale le ditte d’appalto che subentreranno dovranno comunque applicare il contratto nazionale di settore, quello firmato dai sindacati maggiormente rappresentativi con ANIA. Giusto?
È vero che c’è la cosiddetta “tutela dell’area contrattuale”, ma allo stesso tempo un’azienda che fa operazioni di questo tipo di fatto svuota di senso il contratto nazionale. Nelle ditte di appalto, ad esempio i call center a cui Verti già oggi si appoggia, non c’è contrattazione di secondo livello. Non solo. Una ditta d’appalto potrebbe a sua volta subappaltare ad altre aziende. E in ogni caso se il lavoro lo affido al call center che assume col contratto a tutele crescenti o tempo determinato, magari ai dipendenti viene applicato il contratto ANIA, ma non necessariamente tutte le tutele e i diritti riconosciuti ai dipendenti di una compagnia di assicurazione. Il senso dell’operazione, però, è soprattutto buttare fuori il vecchio personale e assumerne di nuovo: lavoratori più flessibili, meno costosi e che, essendo giovani (e magari precari), lavorano a ritmi molto più alti.
Vuoi dire che i lavoratori in esubero non passeranno alle ditte d’appalto, ma perderanno proprio il lavoro?
La dichiarazione è che vogliono proprio sbarazzarsene.
Secondo te con quali possibilità di ricollocarsi nel mercato del lavoro milanese?
Questo non saprei dirlo, ma quel che è certo è che se anche trovano un altro impiego, difficilmente lo troveranno alle stesse condizioni di oggi.
Qual è stata la reazione dei lavoratori?
Noi scontiamo il problema del lavoro da remoto, perché da marzo 2020 l’azienda è deserta e non è stato semplice organizzare dei momenti per parlare coi colleghi, anche in una situazione come questa. Alla prima assemblea, che abbiamo organizzato subito e, per ragioni evidenti, in presenza, alla Camera del Lavoro, su 600 colleghi 140 sono venuti fisicamente, mentre 450 si sono collegati via internet. La seconda assemblea, questa volta davanti all’azienda e senza collegamento da remoto, ha visto una partecipazione maggiore ed è stata più vivace. Lo stato d’animo dei lavoratori è un misto di sgomento e di rabbia, ma nel complesso posso dire che sono abbastanza carichi.
Per aggirare questi problemi utilizzate gli strumenti digitali?
Usiamo i social, ovviamente, le chat soprattutto, la rete aziendale per diffondere i comunicati sindacali e incontri davanti alla sede aziendale, come quello che vi dicevo. Ma il problema resta. Io oggi, ad esempio, ho parlato con una manciata di colleghi, qualcuno dei più attivi che mi ha telefonato per chiedermi delle notizie, qualche mail e qualche messaggio, ma la differenza rispetto a quando si sta tutti nel posto di lavoro si sente.
Ti aspetti una vertenza dura? E qual è la strategia del sindacato?
Questo è uno dei temi su cui stiamo ragionando. Per capire la nostra situazione bisogna fare una premessa: siamo nel settore assicurativo, che ha dinamiche peculiari e, mi verrebbe da dire, un po’ perverse. L’azienda ha tutto l’interesse a evitare lo scontro frontale e probabilmente mira piuttosto a prendere i lavoratori per sfinimento, usando il bastone e la carota. A oggi non abbiamo 325 licenziamenti, ma solo una dichiarazione di esubero. L’obiettivo di Verti è arrivare a un esodo volontario incentivato, come nel 2016, perché una procedura di licenziamento collettivo impone il rispetto di certe regole, ad esempio l’obbligo di seguire criteri oggettivi per decidere chi se ne va. Loro invece hanno interesse a scegliere chi lasciare a casa, tenendo invece in azienda determinate figure professionali a oggi non sostituibili.
Potrebbe essere una prospettiva tutto sommato accettabile per alcuni lavoratori…
Cinque anni fa tanti se ne sono andati contenti e nel settore assicurativo l’impiego di questo tipo di strumenti “soft” nelle ristrutturazioni è molto diffuso e bisogna tenerne conto. D’altra parte, se qualcuno si aspetta un piano di incentivi come quello di cinque anni fa credo che ne uscirà deluso, perché stavolta mi aspetto delle briciole. Noi stiamo ragionando su come far diventare questo episodio un caso. 325 esuberi in Lombardia, in un’azienda con un’unica sede, con un’età media di 47 anni, quindi senza possibilità di prepensionamenti, con un’altissima presenza di part-time, di donne (oltre il 70%) e di lavoratori fragili e un’elevata frammentazione salariale: è una situazione grave e anche se l’azienda non ha interesse ad andare allo scontro, non sappiamo se la strada della mediazione sarà percorribile.
Per un’azienda come Verti l’immagine è un punto vulnerabile…
Sì e infatti l’azienda ha già provato a imporre delle clausole di riservatezza e ha inviato una mail ai dipendenti dicendo di non parlare coi giornalisti, ma noi abbiano detto chiaramente che non intendiamo sottostare a vincoli di questo genere.
Quali sono le prossime iniziative sindacali?
Domani [martedì 23] ci sarà un incontro coi segretari nazionali di categoria, a cui ne seguiranno altri. Al momento siamo nella fase di 30 giorni previsti dall’articolo 15 del contratto nazionale, quello sulle “ristrutturazioni aziendali”, in cui è prevista una “tregua sindacale” per permettere il confronto. Se non si trova un accordo, a quel punto scatta l’articolo 16, quello sulla “eccedenza di personale”, con un altro periodo di altri 30+30 giorni. Insomma prevedo che entreremo nel vivo dopo le vacanze di Natale. Come delegati della CGIL non avremmo scartato anche un’iniziativa di lotta, ma si tratta di una fase che probabilmente è solo rimandata. Vedremo. Per un’azienda assicurativa di queste dimensioni sarebbe una novità non riuscire a raggiungere un accordo, ma stavolta, come dicevo, non mi sento di escludere questa eventualità.
Si è fatto vivo qualcuno con voi: esponenti o partiti politici, giornalisti?
Pochi. Per quanto riguarda la politica sinora solo un esponente dell’opposizione del comune di Cologno, che ha intenzione di presentare una mozione al consiglio comunale. Molti giornali hanno pubblicato un trafiletto sulla nostra situazione. Ma di solito, in questi frangenti, o si tratta di casi eclatanti oppure non suscitano grande attenzione.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 26 novembre.
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