Sindacati
Rider: ‘Perché la CGIL dice no a questo contratto’
Intervista a Tania Scacchetti, segretaria confederale CGIL
Come un fulmine a ciel sereno (ma forse non troppo) qualche giorno fa è arrivata la notizia che per la prima volta i rider che consegnano cibo a domicilio avranno un contratto nazionale con una paga oraria di 10 euro l’ora e tutele analoghe a quelle previste per il lavoro subordinato. Ma leggendo il testo dell’accordo le cose appaiono sotto un’altra luce. Quel contratto, infatti, in realtà fa sue quasi integralmente le richieste delle piattaforme, inchiodando le prestazioni dei ciclofattorini alla fattispecie del lavoro autonomo (concetto ripetuto ossessivamente dall’inizio alla fine del testo) e sdoganando il cottimo, cioè la retribuzione delle prestazioni in base alle consegne effettuate e non al tempo di lavoro. La paga oraria di 10 euro l’ora, infatti, scatta solo nel momento in cui il lavoratore riceve dalla piattaforma l’incarico di fare la consegna, mentre i tempi trascorsi in attesa della chiamata e tra una consegna e l’altra non sono riconosciuti come prestazione lavorativa pagata.
L’accordo è stato sottoscritto da Assodelivery, l’associazione di categoria di cui fanno parte le principali piattaforme internazionali come Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eat e dall’UGL. La confederazione sindacale un tempo diretta dall’ex presidente della Regione Lazio Renata Polverini di fatto si è resa disponibile a fare da sponda all’ANAR, l’Associazione Nazionale Autonoma Rider, che sostiene la posizione delle aziende e circa un anno fa, in occasione della discussione parlamentare sul decreto legge sul food delivery, fece circolare un appello a favore del cottimo, che secondo i promotori sarebbe stato sottoscritto da 700 lavoratori.
Contro i contenuti dell’accordo e il modo in cui si è giunti a siglarlo, tuttavia, si sono schierati sia CGIL CISL e UIL sia le Rider Union nate in molte città italiane come forma di rappresentanza autorganizzata di questi lavoratori. Ma anche il Ministero del Lavoro ha inviato una lettera ad Assodelivery contestandogli ben quattro aspetti del contratto. A Tania Scacchetti, segretaria nazionale della CGIL, abbiamo chiesto di spiegarci perché la CGIL non ha firmato l’accordo e che iniziative metterà in campo per cercare di riaprire una partita così importante.
Perché la CGIL non ha firmato e qual è il vostro giudizio sull’accordo separato e prima ancora sull’iter da cui è scaturito?
Intanto devo precisare che noi non abbiamo avuto modo di fare una valutazione sul merito del testo se non dopo averlo letto a cose fatte e per questa ragione pensiamo di essere di fronte a un atto grave già dal punto di vista del metodo, nel senso che la contrattazione qui c’è stata solo tra Assodelivery e UGL.
Puoi spiegare che cos’è Assodelivery e come funziona la rappresentanza delle aziende in questo settore nato da pochi anni?
Assodelivery si è costituita all’inizio della discussione sui rider, quando Di Maio era ministro del lavoro e convocò per la prima volta sia le aziende sia i sindacati e le rider union. Prima, proprio perché si tratta di un settore nuovo, non esisteva un’associazione delle imprese e anche oggi per le questioni contrattuali e di rappresentanza una parte delle aziende si appoggia alle associazioni di categoria del commercio, altre fanno curare questa parte dai loro studi legali, mentre i grandi gruppi multinazionali che operano in Italia hanno deciso di creare Assodelivery.
Cosa non ha funzionato nelle relazioni sindacali?
Diciamo che prima che venisse siglato l’accordo separato il ministero del lavoro aveva già convocato un incontro con le parti sociali per capire se si riusciva a trovare una soluzione ai problemi del settore. Assodelivery si era presentata e aveva insistito su due punti: da una parte hanno ribadito che per loro il lavoro dei rider è autonomo e non subordinato, dall’altra hanno detto di essere disponibili a sottoscrivere accordi solo con le organizzazioni maggiormente rappresentative. Cosa intendessero lo abbiamo capito qualche giorno fa, quando è arrivato l’accordo, ma in realtà che la percezione che si stesse preparando qualcosa e che ci fosse un rapporto privilegiato tra Assodelivery e UGL era già nell’aria e direi che non a caso il ministero aveva convocato quella riunione. Già a giugno come CGIL CISL UIL avevamo scritto ad Assodelivery proponendo loro di redigere insieme un protocollo sulla sicurezza. La prima volta non ci hanno risposto, così abbiamo inviato un’altra lettera, stavolta per conoscenza anche al Ministero, e abbiamo ricevuto una generica disponibilità ad affrontare il problema, ma non un incontro.
Dal metodo passiamo al merito: quali sono i punti dell’accordo che vi vedono contrari?
Sono tre punti in particolare. Il primo riguarda proprio la natura del rapporto di lavoro. Per noi è grave che si pensi di far decidere a un accordo tra le parti se si tratta di lavoro autonomo o no, perché nel nostro ordinamento semmai dovrebbe essere un giudice a stabilirlo. Inoltre ci sembra che il testo firmato nei giorni scorsi sia povero di contenuti, che non ampli le tutele già previste dalla legge per alcune fattispecie di lavoro autonomo e che sia addirittura un passo indietro rispetto alle recenti sentenze. Poi c’è la questione del cottimo. La legge approvata alla fine dell’anno scorso ha introdotto il principio che i rider debbano essere retribuiti con una paga oraria, a cui si possono aggiungere altre voci legate alle consegne effettuate. Qui invece si parla di 10 euro l’ora, che però scattano solo quando il rider prende in carico la consegna. E soltanto quando una piattaforma arriva in una nuova città o in una nuova zona è previsto un incentivo temporaneo che copre anche il tempo trascorso in attesa della chiamata. Infine c’è un problema di rappresentatività, che è uno dei punti che anche l’ufficio legislativo del ministero del lavoro ha contestato ad Assodelivery. Per noi la firma di un solo sindacato, con quelle modalità di calcolo della rappresentatività, mette in discussione la validità del contratto.
Parlavi di più tutele da inserire accanto a quelle già previste. A cosa ti riferisci?
Ad esempio a una mensilità aggiuntiva, alla possibilità di vedersi riconosciuto un periodo di ferie retribuite e alla tutela della malattia, perché ai tanti che hanno un contratto di collaborazione occasionale, cioè sotto i 5.000 euro l’anno, non viene offerta alcuna protezione. Un altro aspetto importante è che non c’è un numero di ore di lavoro mensili garantite, per cui un’impresa può reclutare 400-500 persone e poi concentrare il lavoro su 60-70. Allora il punto è: c’è già una legge. Che bisogno c’è di fare un accordo sindacale se non si migliora in modo significativo quello che è già scritto nella legge?
Che tipo di operazione ha voluto fare l’UGL secondo voi?
Credo che abbia voluto capitalizzare il rapporto che si è costruita con alcune aziende in un pezzo di mondo del lavoro nuovo e importante, spendendosi questo accordo come un modello di best practice a livello internazionale, ma lo ha fatto tagliando fuori le altre organizzazioni sindacali e le stesse rider union e ponendosi come un soggetto di comodo nei confronti di Assodelivery, che in quell’accordo vede accolte tutte le sue principali rivendicazioni.
Come pensate di superare questa situazione di stallo? Aldilà del terreno più istituzionale state programmando anche delle iniziative sindacali?
Sicuramente. Intanto nei prossimi giorni cominceranno a uscire volantini unitari firmati insieme a CISL e UIL che contestano l’accordo. In alcuni territori sono partite anche delle raccolte firme online. Giovedì poi siamo convocati al ministero e può essere che il Governo faccia un tentativo di riaprire la partita chiedendo alle aziende di far rientrare in gioco anche le organizzazioni che questo accordo ha tagliato fuori. La possibilità c’è, anche perché formalmente l’accordo firmato la scorsa settimana entrerà in vigore il 20 novembre e nei prossimi giorni vedremo se c’è anche la volontà. Poi ragioneremo sulla possibilità di organizzare scioperi e flash mob nei territori. E infine sul tema della rappresentatività stiamo valutando coi nostri uffici legali la possibilità di impugnare l’accordo separato.
L’accordo separato colpisce sia il sindacato confederale sia le rider union. Questo ha migliorato i rapporti?
In realtà il rapporto era migliorato già prima, a parte alcune città dove prevale un problema di relazioni più generale col sindacato confederale. Con le union nei mesi scorsi abbiamo organizzato assemblee comuni e anche prima di andare al tavolo convocato ad agosto dal ministero ci siamo sentiti. Contribuisce positivamente il fatto che siamo vicini sulle questioni di merito, ad esempio sugli obiettivi di utlizare il contratto della logistica come contratto di riferimento e di allargare ai rider le tutele del lavoro subordinato. Ma anche che la campagna ‘Diritti per i rider’, quella lanciata il primo maggio con l’idea di creare una piattaforma rivendicativa nel settore, ha messo insieme aderenti alle union, iscritti ai sindacati e anche lavoratori non organizzati.
Da un po’ di tempo si discute di salario minimo, ma la CGIL sostiene che più che un salario minimo servirebbero dei contratti nazionali firmati da organizzazioni rappresentative. Questa vicenda non è la dimostrazione che muoversi anche sul versante di un salario minimo orario fissato per legge potrebbe essere un passo avanti?
Guarda, su questo tema del salario minimo io riconosco che anche in un paese come il nostro, che pure ha un solido sistema di contrattazione, i buchi che si vanno evidenziando al suo interno spingono verso quella soluzione. Ma allo stesso tempo penso che quella soluzione da sola, cioè se è concepita come alternativa ai contratti nazionali, rischia di essere semplicistica. Il pericolo è che qualche azienda dica: io pago il salario minimo stabilito per legge e non faccio più la contrattazione. Da questo punto di vista l’ultima proposta del ministro Catalfo mi sembra un mix che tiene in considerazione entrambe le esigenze e un buon punto da cui ripartire nella discussione. Se non è alternativo alla contrattazione può anche essere un modo per rafforzarla.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 22 settembre 2020.
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