Partiti e politici
Quello che le elezioni ci dicono, senza che noi si riesca a sentire
Per chi, come noi, è nato e si è formato «in tempi in cui pensare che il futuro del mondo potesse avere di nuovo e sempre al suo centro il lavoro e la manifattura e più in generale l’industria era considerato blasfemia, nato in tempi in cui si propagandava la fantasia che l’immateriale era il solo destino della specie e che il mondo conosciuto, di fatto, si era ristretto di nuovo all’ Europa e agli USA dimenticando l’intero globo terracqueo, nato in tempi in cui attizzati signori e filiformi signore predicavano la new economy e la knowledge society del post fordismo mentre gran parte del mondo si addentrava nell’industria senza neppure aver raggiunto il taylorismo» [come ha scritto Giulio Sapelli], ebbene chi, come noi, è nato in un tempo come questo, e continua a notare che nessuno ha mai corretto la rotta sbagliata imboccata con questo modo di pensare, chi è come noi – dicevo e mi scuso – ha accolto il risultato di queste elezioni senza alcuna sorpresa.
Siamo nati nel pieno della più grave crisi economica, industriale e finanziaria insieme, che la storia del capitalismo moderno abbia mai conosciuto; una crisi iniziata in apertura degli anni Settanta e mai veramente superata, se non con alcune estemporanee fiammate speculative. Siamo nati quando s’iniziava a vagheggiare la “fine del lavoro” e invece il lavoro – fosse anche soltanto l’ossessione della sua mancanza – continuava a permeare le vite di tutti. Eppure, nessuno ha più riscoperto l’industria, quella che probabilmente ha fatto vincere Trump e cui Trump ha parlato, nessuno ha riscoperto il lavoro – il lavoro subordinato tutto (compreso quello autonomo che autonomo non è) -, quello che invoca protezione a gran voce senza che – a sinistra – nessuno lo ascolti.
Ebbene, sarebbe ora di riscoprire, per usare di nuovo le parole di Giulio Sapelli, che «non è il profitto che genera l’investimento, ma invece è l’investimento che genera quel profitto, come ci insegnò superando il buio tempo degli anni trenta quel geniale economista ch’era Michael Kalecki. “Gli anni dell’alta teoria”, del resto, come ci ricordava George Schakle, furono sì gli anni trenta del Novecento, ma i lampi del pensiero dovettero squarciare le nuvole dell’orrore per emergere…». Stiamo forse attraversando un periodo che degli anni Trenta riecheggia qualcosa, ma che ancora speriamo non finisca col ripercorrerne i passi. Speriamo non si renda necessaria ancora una volta una guerra, per rimettere in piedi l’economia mondiale e per fermare i fascismi. Servono investimenti. Serve protezione del lavoro. Il sindacato è nato – anche – per proteggere il lavoro dagli stessi lavoratori, dalla concorrenza del lavoro contro il lavoro. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo eludere questa domanda di protezione che, quando inascoltata, alla fine schiaffeggia. Non è possibile lasciare la protezione del lavoro alle risposte escludenti di destra. Questo ha saputo fare, storicamente, quel sindacato che oggi è tanto vituperato: ha protetto il lavoro diffondendo al contempo un’idea solidale e inclusiva. Negli ultimi decenni, nella sinistra “storica”, nessuno ha voluto combattere questa fondamentale battaglia. Anzi, si è più spesso fatta la guerra proprio al sindacato, addirittura all’idea stessa di sindacato. Non è mai troppo tardi per invertire la rotta. Servono investimenti, nel privato e nel pubblico. Serve cultura. Serve fare di tutto per depotenziare le destre. Serve sporcarsi le mani, o gli anni Trenta non saranno più solo un brutto ricordo. Serve ripensare l’Europa, abbandonare la chimera dei bilanci in pareggio, dei deficit controllati; bisogna infrangere l’inganno del “non si può far pagare le generazioni future”, perché le generazioni future, di questo passo, avranno ben altri problemi. È necessario che la politica si metta a rifare politica, e dunque anche economia, usando tutte le leve che ha. Io non lo so da dove iniziare, non è il mio mestiere. Ognuno faccia il suo. Perché, altrimenti, Matteo Salvini potrà ancora dire che la gente è stufa dei radical-chic che provano schifo per gli operai, e nessuno potrà dire che mente.
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