Sindacati
Polonia. Licenziata da Amazon. Intervista a Magda Malinowska
“Amazon pensa in modo globale. Perciò anche i lavoratori, se vogliono migliorare le proprie condizioni di lavoro, devono fare altrettanto”. È la conclusione dell’intervista che ci ha rilasciato Magda Malinowska, esponente di Inicjatywa Pracownicza [iniziativa dei lavoratori], prima organizzazione sindacale nei magazzini polacchi di Amazon e delegata nel centro di distribuzione POZ1 nei pressi di Poznań, nella parte occidentale del paese, 170 chilometri dal confine tedesco e 270 da Berlino. Magda il 9 novembre ha ricevuto una lettera di licenziamento. Amazon le contesta il comportamento tenuto in occasione di una morte sul lavoro avvenuta a settembre. Quando abbiamo ricevuto la notizia ci siamo messi in contatto chiedendole di raccontarci l’episodio e di inscriverlo nel quadro più generale del lavoro nei magazzini polacchi e dei tentativi dei lavoratori di organizzarsi sindacalmente al loro interno. Ne è emersa una situazione interessante: Amazon gestisce i propri stabilimenti utilizzando degli algoritmi, ma non manca di flessibilità organizzativa e tende a modellare il proprio comportamento a seconda del contesto che trova nei paesi in cui opera. Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, ad esempio, in Italia, soprattutto dopo lo scoppio della pandemia, ha adottato una politica molto rigorosa, trasformando le regole di distanziamento e le altre misure preventive in un mezzo per irrigidire ulteriormente la disciplina interna. Ma non è così ovunque. Negli USA, ad esempio, il tasso di incidenti è multiplo rispetto alla media nazionale. Chris Smalls, il lavoratore del magazzino di Staten Island a New York, licenziato all’inizio della pandemia per aver denunciato la mancata adozione di misure adeguate, di recente ha pubblicato su Twitter alcuni video che mostrano lavoratori portati via in ambulanza dal JFK8, commentando che “queste visite settimanali sono tristemente la norma”. In Polonia, ci racconta Magda Malinowska, Amazon mette consapevolmente a rischio la salute e la stessa vita dei dipendenti, in primo luogo imponendo ritmi di lavoro insostenibili. E sta mettendo in atto una stretta disciplinare sui lavoratori e sui rappresentanti sindacali che denunciano questa situazione. Succede in Bangladesh, in Cambogia, ma i licenziamenti sono fioccati anche a New York, a Poznań e in Germania.
Cerchiamo innanzitutto di chiarire il contesto. Quando è arrivata Amazon in Polonia? Quanti magazzini e quanti dipendenti ha? E quanti sono iscritti al sindacato?
I primi due magazzini sono stati aperti verso la fine del 2014 a Poznań e a Wrocław [Breslavia]. La sindacalizzazione è iniziata poche settimane dopo, perché una parte del personale, ad esempio i team leader, era stata addestrata all’estero, in Gran Bretagna e soprattutto in Germania, e si è resa subito conto delle differenze di trattamento che c’erano in Polonia. I primi conflitti sono scoppiati perché le condizioni di lavoro qui erano peggiori. Ma quei lavoratori oggi non ci sono più. Se ne sono andati. Uno dei problemi principali che incontriamo cercando di organizzare sindacalmente i dipendenti in Amazon è proprio il turnover altissimo. E questo, insieme al fatto che la maggior parte dei dipendenti ha contratti a tempo e che alcuni sono assunti tramite agenzie, rende difficile fare una stima. Noi calcoliamo circa 17.000 dipendenti, di cui oltre metà precari, divisi in 11 magazzini sparsi su tutto il territorio polacco, in città anche molto distanti tra loro e questo dal punto di vista sindacale è un altro problema. Noi abbiamo 1.000 iscritti, prevalentemente tra i dipendenti fissi, il che fa di Inicjatywa Pracownicza la prima organizzazione sindacale in Amazon. Ma riceviamo richieste di intervento anche dai lavoratori delle agenzie, ad esempio, per difenderli dalle sanzioni disciplinari. Però è chiaro che chi non ha un posto di lavoro stabile è intimorito.
Tu lavori a Poznań. Quanti dipendenti ci sono e che ruolo hai sindacalmente?
Il magazzino si trova in un sobborgo della città e i dipendenti sono circa 5.000, ma in periodi come questo, prima delle vacanze di Natale, arrivano fino a 10.000. In Polonia le agibilità sindacali sono legate al numero di iscritti. Cioè se hai più iscritti hai anche più agibilità. Se sei il primo sindacato hai un vero e proprio riconoscimento. Noi lo siamo e quindi abbiamo non tutte ma quasi tutte le agibilità. Io sono delegata sindacale e rappresentante per la sicurezza.
Tu sei stata licenziata il 9 novembre. Perché?
Il mio licenziamento è legato a un incidente avvenuto il 6 settembre. Un collega è morto durante il lavoro. Non entro troppo nei dettagli perché c’è un’indagine in corso. Era un collega che lavorava nel mio reparto e faceva i miei turni. Appena ho saputo dell’incidente ho parlato con gli alti lavoratori per cercare di ricostruire i fatti. Il collega svolgeva un lavoro molto pesante, troppo pesante per una persona sola. Erano in pochi, lui era rimasto senza cambi ed era molto affaticato. Quel lunedì si era sentito male, aveva un dolore al petto e respirava a fatica, lo aveva fatto presente al suo team leader, che invece di farlo stendere e chiamare il medico gli ha detto di andare a farsi vedere dal personale paramedico presente in magazzino. Tieni presente che il magazzino di Poznań è enorme, una superficie pari a 400 campi da calcio. Perciò ha dovuto fare su e giù e attraversare il magazzino e quando alla fine è arrivato dai paramedici è morto.
Voi giudicate Amazon responsabile di questa morte…
Noi facciamo due osservazioni: una è che quel lavoro è troppo pesante, problema che avevamo già segnalato, e l’altra che il team leader non era preparato ad affrontare quella situazione. Quando una persona fatica a respirare e ha dolori al petto la prima cosa da fare è dirgli di non muoversi. Invece di farlo stendere e chiamare un’ambulanza il suo capo lo ha fatto andare in giro per il magazzino. Per questo riteniamo che Amazon sia responsabile.
Cosa c’entra il tuo licenziamento con questo incidente?
Io quel giorno ero in magazzino e ho sono andata in reparto per raccogliere informazioni. Sono nel sindacato da tempo e ho preso parte a molte squadre di indagine sugli incidenti, per cui ho maturato molta esperienza in materia e perciò ho chiesto ad Amazon di autorizzarmi a far parte della cosiddetta squadra postincidenti. Si tratta di una commissione che si forma ogniqualvolta c’è un incidente in azienda. Il suo compito è fare un’indagine e redigere un verbale in cui stabilisce se l’episodio va considerato o meno un incidente sul lavoro. La commissione comprende sia rappresentanti dell’azienda che del sindacato. Io in quel caso ho chiesto di esserne parte, ma Amazon ha rifiutato. Così sono andata a telefonare al nostro avvocato e mentre telefonavo ho visto che stavano chiudendo il magazzino con dentro i colleghi. Hanno chiuso anche cancelli esterni e davanti hanno schierato degli addetti alla sicurezza, in modo che le auto non potessero entrare nel parcheggio. Non so, francamente, per quale ragione. Forse temevano l’arrivo dei giornalisti. Un gruppo di guardie è venuto verso di me e mi ha accerchiata, per cui mi sono allontanata in direzione della mia auto, perché c’era il rischio di uno scontro fisico. Sono entrata nell’auto. In quegli istanti stavano portando il corpo del collega morto fuori dal magazzino per caricarlo su un furgone aziendale. E non volevano che nessuno lo vedesse. Io sono tornata a casa e due mesi dopo ho ricevuto la lettera di licenziamento, con l’accusa assurda di avere scattato delle foto o un video del cadavere. Cosa che non avrei potuto fare materialmente perché ero in auto e non potevo vederlo.
Voi contestate una violazione della legge polacca.
In realtà hanno violato ben tre leggi. La prima volta perché la legge prevede che le contestazioni disciplinari siano comunicate entro un mese. Perciò loro potevano licenziarmi, ma non con un licenziamento disciplinare. La seconda violazione è che mi hanno licenziato nonostante io sia una delegata sindacale e il mio sindacato non fosse d’accordo, perché anche questo è vietato dalla legge. Infine io sono anche rappresentante per la sicurezza. Perciò ci sono tre violazioni della legge, oltre al fatto che l’accusa a mio carico è priva di fondamento.
Come sindacato che iniziative avete adottato?
Pochi giorni fa c’è stata una manifestazione organizzata dal sindacato, ma che ha visto anche la collaborazione di Greenpeace, del sindacato dell’agricoltura e di rappresentanti di altri posti di lavoro iscritti al nostro sindacato. Abbiamo fatto un blocco stradale davanti a un grande centro commerciale per mostrare che anche se Amazon è un colosso dell’e-commerce noi non siamo disposti a cedere. In Polonia gli imprenditori stanno diventando sempre più aggressivi nei confronti dei lavoratori e questo colpisce anche il rapporto tra la distribuzione e il settore agricolo. Questo spiega l’adesione di Agrounion, che è un sindacato molto grande, alla nostra iniziativa. Altri gruppi hanno organizzato volantinaggi di solidarietà nei miei confronti in diverse città polacche e domani alcuni lavoratori distribuiranno volantini di fronte ai magazzini Amazon. Ma la solidarietà ha travalicato in confini polacchi. Ci sono state iniziative di sostegno in Germania e mi sono arrivate alcune foto con cartelli di solidarietà anche dall’ADL Cobas in Italia. Anche la stampa polacca ha dato parecchio risalto al mio caso. Insomma ho ricevuto una solidarietà persino più ampia di quanto mi aspettassi.
Che significato attribuisci al tuo licenziamento?
Diciamo quest’atto è arrivato dopo che si erano verificati altri episodi. Circa due settimane prima del licenziamento in un’intervista a un giornalista polacco avevo parlato dell’incidente spiegando perché riteniamo Amazon responsabile. Ma c’è anche un altro aspetto. Di recente ho avuto un scontro con l’azienda perché la nostra organizzazione ritiene che i delegati sindacali abbiano diritto di esercitare un controllo sulle condizioni di lavoro. Loro non vogliono, ci impediscono di portare i cellulari in magazzino. Io posso vedere che l’azienda viola le regole, come è successo, ad esempio, durante la pandemia, ma loro non mi permettono di fare foto. Per noi il posto di lavoro non è un luogo privato, che appartiene a quei pochi che siedono in consiglio d’amministrazione. Ci lavorano migliaia di persone che trascorrono in magazzino oltre 11 ore al giorno, perciò noi lo consideriamo uno spazio pubblico, su cui va esercitata una forma di controllo sociale. È evidente che loro invece hanno intenzione di intimorire il sindacato e chiuderci la bocca.
Quali sono le prospettive?
La situazione è abbastanza paradossale, perché io di sicuro vincerò la causa, ma ci vorranno 2, 3, forse 5 anni e in questo lasso di tempo io non sarò più in magazzino. Per i datori di lavoro questa situazione è molto vantaggiosa, perché anche se infrangono la legge e alla fine perdono la causa in tribunale, portano comunque a casa un risultato, perché nel frattempo possono smantellare il sindacato nelle proprie aziende.
Secondo te Amazon teme una crescita del sindacato nei magazzini polacchi?
Da una parte c’è questo aspetto, ma per Amazon il problema sono soprattutto le nostre denunce circa le condizioni di lavoro nei magazzini. Grazie a noi sono intervenuti gli ispettori del lavoro. Gli ispettori vengono nei magazzini e controllano quante calorie bruciano i lavoratori durante il turno, perché la legge stabilisce una soglia che non può essere superata. Le ispezioni hanno accertato che alcuni dipendenti Amazon bruciano il triplo delle calorie consentite. È come se in un turno facessi tre giornate di lavoro, alla fine non riesci a recuperare le forze, cioè a riprodurre la tua forza-lavoro. Gli ispettori che accertano queste condizioni potrebbero addirittura chiudere il magazzino o alcuni reparti. Invece di solito li spostano da un reparto all’altro. Ma la risposta di Amazon, invece di cambiare le condizioni di lavoro, è fare ricorso contro i provvedimenti degli ispettori. Questo atteggiamento conferma che i manager mettono a rischio la nostra salute e la nostra vita e lo fanno consapevolmente. Per questo devono essere considerati responsabili se qualcuno si ammala o muore.
La politica che atteggiamento ha nei vostri confronti?
Domani abbiamo un incontro in Parlamento coi rappresentanti di Lewica Razem [Sinistra Insieme], un partito di sinistra che si ispira a Podemos, ma non ha lo stesso peso di Podemos in Spagna. Parleremo della nostra situazione. Uno dei nostri obiettivi è cambiare la legge sulla rappresentanza sindacale, perché qui i sindacati, a parte alcuni settori con una tradizione consolidata come i minatori, sono molto deboli. D’altra parte però anche la sinistra è molto debole nel Parlamento polacco. Perciò siamo consapevoli che senza una pressione dei lavoratori sul Parlamento non avremo risultati, ma almeno è positivo che possiamo parlare pubblicamente con dei politici sui possibili cambiamenti.
Tu fai parte anche di Make Amazon Pay. Di cosa si tratta?
La campagna Make Amazon Pay è un raggruppamento di organizzazioni che sostengono i lavoratori Amazon e dell’e-commerce, ci sono anche parlamentari e attivisti che pubblicano informazioni e organizzano azioni durante il Black Friday per dare risonanza alle nostre rivendicazioni. Anche le condizioni di lavoro sono parte del problema. Amazon contribuisce a devastare il territorio, spreca le risorse del pianeta e non paga tasse.
A proposito. In molti paesi europei, Gran Bretagna, Francia, Germania, anche in Italia, i media hanno raccontato che Amazon distrugge migliaia di articoli nuovi. Succede anche in Polonia?
Sì ed è un aspetto che conferma l’assurdità di questo tipo di organizzazione. Molti nostri prodotti arrivano dal Bangladesh o dalla Cina, passano attraverso i centri di smistamento europei e quando arrivano nei nostri magazzini in Polonia li spediamo in Germania. Poi però, se il cliente non è soddisfatto, vengono rispediti in Polonia e distrutti. Ultimamente poi Amazon sta aprendo un numero crescente di piccoli magazzini, per cui i driver attraversano tutta l’Europa per smistare i pacchi all’interno di questa rete sempre più ampia di nodi sempre più piccoli. Per l’azienda è economicamente vantaggioso, ma per l’ambiente è distruttivo.
Credo sia abbastanza chiaro che migliorare le condizioni di lavoro e risolvere i problemi che hai elencato è un’impresa che richiede un coordinamento internazionale, almeno a livello europeo. Vuoi dire qualcosa ai lavoratori italiani di Amazon?
Prima di tutto voglio sottolineare che Amazon manovra i suoi pacchi in tutta Europa. Ci sono state occasioni in cui hanno spostato i flussi dalla Germania alla Polonia per aggirare gli scioperi organizzati nei magazzini tedeschi. E ora, come dicevo, stanno chiudendo i grandi magazzini per aprirne di più piccoli. Per questa ragione se come lavoratori non lottiamo tutti insieme non siamo abbastanza forti. Loro pensano globalmente ed espandono la propria rete in continuazione aprendo nuovi magazzini. Perciò nessun magazzino da solo è abbastanza forte. Due volte l’anno organizziamo incontri a cui partecipano lavoratori di Amazon in quanto tali, non come iscritti a un’organizzazione sindacale. Siamo presenti in tutta Europa, ma anche negli USA e abbiamo una piccola presenza anche in Italia. Siamo tantissimi, mentre a dirigere Amazon è un pugno di persone. Perciò, se uniamo le forze, possiamo dettare le nostre condizioni. Dobbiamo sempre tenere a mente che per loro siamo essenziali. E invece di farci trattare come lavoratori usa e getta dobbiamo agire facendo pesare questa essenzialità. Nell’ultimo anno e mezzo, inoltre, la pandemia ha mostrato che la logistica è decisiva e anche questo è un aspetto su cui far leva.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 30 novembre.
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