Sindacati
“A Marghera alla sbarra il Sistema Fincantieri, brandizzazione di un’industria”
Oltre agli aspetti giudiziari il processo sugli appalti Fincantieri rivela la “brandizzazione” dell’industria della cantieristica: l’azienda mette il marchio; la nave la fanno centinaia di ditte d’appalto usando forza-lavoro ipersfruttata e sottopagata, perlopiù straniera; i dipendenti diretti fanno supporto alla produzione.
Si apre con un rinvio il processo Fincantieri a Venezia. Sotto accusa per corruzione e sfruttamento dei lavoratori 33 persone fisiche, tra cui una dozzina di dirigenti, quadri e dipendenti dell’azienda di Stato (due degli imputati sono stati licenziati da Fincantieri a gennaio) e 13 ditte d’appalto. Nella seconda udienza, a metà febbraio, i legali degli imputati, tra cui l’azienda, costituitasi parte civile, hanno contestato la costituzione a parte civile delle sigle sindacali e di alcuni lavoratori. La giudice si è presa il tempo per decidere e ha fissato per il 22 marzo la prossima udienza.
L’inchiesta era partita cinque anni fa su denuncia di alcuni lavoratori e a seguito dell’esposto della FIOM CGIL di Venezia e del Veneto aveva scoperchiato il cosiddetto “sistema degli appalti” di Fincantieri. La produzione dell’azienda di Stato della cantieristica, che dal 2019 è controllata al 71,32% dal MEF non più attraverso Fintecna ma tramite CDP Industria, si divide tra civile (prevalentemente navi da crociera) e militare. Fincantieri ormai rastrella commesse in tutto il mondo e col tempo si è trasformata in un grande player mondiale che agli 8 cantieri italiani (Sestri Ponente, Riva Trigoso e Muggiano in Liguria, dove ha sede anche la direzione navi militari, Castellamare, Palermo, Ancona, Marghera e Monfalcone) affianca stabilimenti e bacini in Europa (Norvegia e Romania), Asia (Vietnam) e Americhe (USA e Brasile), dove opera per i committenti internazionali, come Marinette, nel Wisconsin, dove costruirà 10 fregate lanciamissili Constellation, del valore di 5,5 miliardi di dollari, per la US Navy.
Sono gli stessi dati ufficiali a indicare con chiarezza, oltre all’internazionalizzazione, il peso degli appalti sulla produzione complessiva. Nel 2021 la società di Trieste dichiarava circa 21.000 dipendenti, divisi quasi esattamente a metà tra Italia ed estero. Di questi più della metà sono impiegati, quadri e dirigenti. Se a quest’informazione aggiungiamo che, come è scritto nella relazione sul bilancio 2021, Fincantieri in Italia “impiega 10.000 dipendenti e attiva 90.000 posti di lavoro, che raddoppiano su scala mondiale in virtù di una rete produttiva di 18 stabilimenti in quattro continenti e oltre 20.000 lavoratori diretti”, possiamo intuire da noi che di fatto ormai i dipendenti Fincantieri si limitano a gestire e controllare la produzione e a fornire alcuni servizi di supporto (officine di assistenza, magazzino, guardiafuochi).
A costruire la chiglia e i blocchi in cui viene suddivisa la struttura delle navi e a installare gli impianti e gli arredamenti interni sono centinaia di piccole ditte d’appalto con una forza-lavoro ipersfruttata e sottopagata, proveniente perlopiù dall’estero e dal sud Italia. L’inchiesta alla base del processo, avviata 5-6 anni, fa ha portato alla luce, un “sistema”, appunto, contraddistinto da relazioni opache tra le ditte e i dirigenti di Fincantieri, spesso sfociate in episodi di corruzione per oliare la distribuzione degli appalti, ma soprattutto uno sfruttamento intensivo della forza-lavoro fondato, in particolare, sulla cosiddetta paga globale. In pratica nella paga oraria versata ai lavoratori delle ditte vengono conteggiati non solo paga base e contingenza, ma anche tutti gli altri istituti contrattuali – ferie, permessi, TFR, malattia ecc. – una vera e propria truffa ai danni dei lavoratori e dell’INPS, a cui spesso vengono sottratti contributi anche contabilizzando le ore di lavoro come voci non soggette a trattenute previdenziali, come indennità di trasferta e diarie. I vantaggi di questa prassi, ben documentata in due inchieste di Report, “Fuori Bordo” (2012) e “Fuori controllo” (2018), emergono nitidamente in un recente studio realizzato da Matteo Gaddi in collaborazione con la FIOM CGIL di Venezia: se nel 2021 il costo medio annuo di un operaio-impiegato Fincantieri si aggirava intorno ai 55.000 mila euro, quello misurato in un campione di una dozzina di ditte di appalto oscillava tra i 30.000 e i 35.000. Se moltiplichiamo la differenza di circa 20.000 euro l’anno per una parte, almeno la metà, di quei 90.000 posti di lavoro “attivati” dall’azienda del MEF ci facciamo un’idea dell’abbattimento dei costi che ne deriva. Senza contare che i lavoratori delle ditte offrono tassi di produttività e di flessibilità proporzionali all’insicurezza che grava sul loro rapporto di lavoro. Ne parliamo proprio con un esponente della FIOM, Fabio Querin, segretario organizzativo dei metalmeccanici della CGIL a Venezia, ex dipendente e delegato sindacale, che da anni segue in particolare i lavoratori delle ditte d’appalto.
Ciao Fabio, puoi darci innanzitutto qualche notizia sul cantiere di Marghera? Quanti lavoratori ci sono e che cosa producono?
Attualmente i dipendenti diretti sono poco più di mille, ma nei periodi di picco del lavoro con l’indotto si arriva anche a 4.000-4.500. I dipendenti delle ditte sono prevalentemente stranieri. I più numerosi per nazionalità sono bangladesi e rumeni, al terzo posto direi che ci sono i lavoratori italiani provenienti dal Meridione. Negli ultimi anni stano arrivando anche molti nordafricani: Senegal, Burkina Faso, Tunisia. Molti di questi lavoratori sono arrivati 10-15 anni fa e hanno continuato a lavorare per gli stessi titolari ma per ditte differenti, perché qui ogni due anni chiudono e riaprono sotto altro nome, magari facendo firmare ai dipendenti una lettera in cui dicono di non aver più nulla da rivendicare. Perciò quando sono arrivati in Italia erano lavoratori a bassa qualifica. Dopo 10 anni di lavoro in Fincantieri sono diventati operai esperti, ma continuano a essere inquadrati perlopiù al secondo livello.
L’inchiesta è partita da alcuni di loro. Quando?
Come sindacato è più di vent’anni che poniamo il problema degli appalti e del caporalato. Voglio solo ricordare che nell’accordo sindacale del 1999 riuscimmo a inserire una clausola per cui gli appalti non dovevano superare il 25% del lavoro complessivo e le ditte per aggiudicarsi la commessa dovevano presentare una fideiussione a garanzia dei salari. Ma è chiaro che per molti anni i lavoratori non hanno denunciato gli abusi per timore di ritorsioni e, in particolare, di perdere il lavoro. Poi, evidentemente, l’equilibrio si è spezzato. Nel 2017 una coppia, marito e moglie, è venuta nei nostri uffici per chiedere assistenza. La loro ditta – il titolare tra l’altro era un loro parente – li aveva trasferiti senza preavviso uno a Genova e l’altra a Castellamare. Parlando con loro ci hanno raccontato anche di essere stati messi in cassa integrazione con la firma di altre organizzazioni sindacali, ma di aver continuato a lavorare e ci hanno riferito anche di fatturazioni irregolari. A quel punto abbiamo avviato le procedure sindacali per bloccare il trasferimento, ma abbiamo anche consigliato loro di denunciare il resto ai carabinieri, garantendo il nostro sostegno. Nel frattempo era uscito anche il secondo servizio su Report, quello del 2018, e probabilmente anche questo ha contribuito a dare coraggio ad altri lavoratori, che si sono rivolti a noi denunciando ditte che utilizzavano la paga globale e in alcuni casi chiedevano addirittura la restituzione di una parte dello stipendio. Con loro abbiamo adottato la stessa strategia: assistenza sindacale e invito a denunciare le violazioni normative e contrattuali alle autorità competenti.
Quindi possiamo dire che l’inchiesta non è stata frutto del caso?
No, è stata l’effetto di una serie di fattori, tra cui anche alcune scelte che abbiamo fatto come sindacato. Verso il 2010-2012, come ricorderai, in Fincantieri abbiamo vissuto un periodo difficile. Ci sono state diverse ondate di cassa integrazione, ma se per i dipendenti almeno c’era questo ammortizzatore sociale, i lavoratori delle ditte invece hanno semplicemente perso il lavoro. Per questo come FIOM abbiamo deciso che io, che ero un dipendente Fincantieri in distacco sindacale, tornassi a lavorare part-time. Così dal 2014 al 2018 sono rientrato in cantiere: lavoravo 4 ore e poi smontavo e venivo in sindacato, dove mi occupavo delle ditte d’appalto e di altre aziende metalmeccaniche. In questo modo ho avuto la possibilità di ricostruire una rete, perché comunque fare il sindacalista stando in fabbrica ti dà una serie di opportunità in più. I lavoratori delle ditte mi vedevano in cantiere, si fermavano a raccontarmi cose che si tenevano per sé per paura di perdere il lavoro, tutti avevano il mio numero di telefono e potevano chiamarmi per segnalare problemi e anomalie.
E poi sono arrivate le prime denunce dei lavoratori e le inchieste giornalistiche.
Sì, nell’inchiesta di Report del 2018 io stesso sono stato intervistato e Fincantieri per tutta risposta, invece di mettersi a un tavolo per tentare risolvere insieme i problemi che sollevavamo, ha querelato i giornalisti, me e l’ispettrice del lavoro che raccontava la scarsa collaborazione da parte dell’azienda. A quel punto, vedendo che il clima si stava surriscaldando, insieme ai segretari della FIOM di Venezia e del Veneto abbiamo deciso di presentare un esposto, segnalando una serie di aziende che utilizzavano la paga globale e allegando, oltre alle buste paga, anche documenti vari, tra cui alcune sentenze di processi civili già conclusi, dove eravamo parte civile. Sentenze che ci davano ragione e confermavano l’utilizzo di lavoratori sottoinquadrati, a cui non venivano versate le indennità contrattuali, ad esempio per il lavoro notturno, e che venivano pagati con la paga globale 4-5 euro l’ora, con le aziende condannate a versare contributi e differenze retributive.
In sostanza, mentre 10 anni fa, in barba all’accordo sindacale a cui accennavi, per ogni lavoratore di Fincantieri ce n’erano 2-3 delle ditte, oggi il rapporto è addirittura di 1 a 4.-5. Giusto?
Esatto, ma qui entra in campo la politica. Perché dopo che noi abbiamo ottenuto di fissare un tetto massimo agli appalti, il Parlamento, su cui Fincantieri esercita un’influenza importante, ha approvato una serie di provvedimenti e di finanziamenti con regole che consentono di derogare a quell’impegno preso col sindacato. Il risultato è che oggi, se tu entri in un cantiere, vedrai che non c’è una sola officina gestita direttamente da Fincantieri senza passare attraverso una ditta e anche il rapporto tra operai e impiegati è cambiato. Una volta avevi un 40% di impiegati e un 60% di operai. Oggi negli uffici c’è più gente che in produzione.
10 anni fa ricordo che il sindacato diceva anche che l’utilizzo massiccio degli appalti rischiava di far perdere a Fincantieri il controllo sul processo produttivo, con un impatto negativo anche sulla qualità: l’azienda era costretta a pagare penali elevate agli armatori perché le navi non venivano consegnate in tempo oppure alcuni impianti o addirittura le saldature delle lamiere presentavano dei difetti.
In questi 10 anni, però, Fincantieri non è stata ferma e oggi il controllo degli appalti ce l’ha: sanno il valore effettivo di ogni singolo appalto, quante ore di lavoro e quanti addetti servono e, allo stesso tempo, grazie alle continue timbrature a cui sono sottoposti i dipendenti delle ditte quando entrano in cantiere, a bordo nave e poi nelle varie officine, in mensa ecc., sanno quanta gente entra in cantiere, quante ore lavorano e come si sviluppa il lavoro momento per momento. Insomma, in realtà esercitano un controllo capillare sulla produzione. Il problema è che per garantire i tempi stretti di consegna i ritmi sono stati aumentati e le condizioni di lavoro sono peggiorate. Non passa giorno che non incontri qualcuno che mi racconta episodi di fronte ai quali un tempo avremmo subito fatto il blocco nave.
Insomma è impossibile che Fincantieri non sappia come funziona il “sistema”…
Guarda, che Fincantieri non sapesse della paga globale e che il lavoro cattivo scaccia quello buono e che porta problemi di legalità io non ci credo. Se prendi le navi sottocosto è chiaro che il rischio è che il taglio dei costi si scarichi sulle ditte d’appalto. L’inchiesta ha fatto emergere che i consulenti di alcune ditte erano addirittura legati alla ndrangheta scoperchiata nel Veneto orientale, che qui è in grado di fornire forza-lavoro a basso costo non solo a Fincantieri, ma all’intero tessuto produttivo locale. Del resto già quando arrivò Guarguaglini come amministratore delegato – sto parlando della fine degli anni Novanta – disse chiaramente che i problemi dell’azienda erano progettazione e appalti. Negli anni successivi, però, il “sistema” si è sviluppato e ha prodotto quello che dicevo. Ora il nuovo ad Folgiero, almeno a parole, sembra disponibile a confrontarsi. Vedremo se dalle parole si passa ai fatti.
Cosa vi aspettate dal processo?
Intanto qualcosa abbiamo già ottenuto. Negli appalti la FIOM ha più di 600 iscritti e i lavoratori hanno eletto le proprie RSU in alcune ditte metalmeccaniche e in una, che fa coibentazioni e applica il contratto dei chimici, ma utilizza anche lavoratori interinali, siamo riusciti a eleggere una RSU di FILCTEM CGIL e una del NIDIL CGIL per i lavoratori in dei chimici e una della somministrazione. La partecipazione è stata straordinaria. Spesso quando si eleggono le RSU fai fatica ad arrivare a percentuali alte, ma qui si sono messi in coda, a volte persino rinunciando al pranzo. Io penso che questa sia anche un riconoscimento del ruolo che la FIOM ha svolto denunciando gli abusi e sostenendo chi ha avuto il coraggio di esporsi. Il sindacato non dev’essere omertoso, dev’essere una sentinella e noi lo siamo stati. Poi dalla magistratura ci aspettiamo chiarezza, da Fincantieri un cambio di atteggiamento, cioè la volontà di mettere in discussione l’approccio che ha avuto negli anni passati, quando se denunciavi i problemi ti prendevi una querela. Significa creare una task force con azienda, sindacato e gli altri soggetti competenti per cercare di bloccare i problemi sul nascere, prima che sia troppo tardi. Oggi, ad esempio, noto che nelle aziende che abbiamo sindacalizzato ci sono manovre che rischiano di eludere il lavoro del sindacato. Come ti dicevo qui ogni due anni fanno il maquillage: chiudono la vecchia ditta e ne riaprono un’altra con gli stessi dipendenti. È una tattica che può essere utilizzata anche per far fuori le RSU. Infine bisogna cambiare politica industriale. Fincantieri sta diventando un marchio commerciale: lei mette il logo, ma le navi le fanno le ditte. Invece bisogna tornare a fare il lavoro direttamente, riappropriarsi delle officine e tornare ad assumere operai. Poi ci possono essere tutti i problemi di questo mondo – pandemia, guerra, costi dell’energia – ma se ci si siede a un tavolo una soluzione la si trova. Se invece non ci si confronta ci si scontra inevitabilmente col conflitto sociale.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 17 marzo.
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