Sindacati
Licenziato da Amazon: ‘Ora mi batto per organizzare i lavoratori’
Intervista a Chris Smalls, lavoratore Amazon JFK8 Staten Island, New York
Fino a marzo Chris Smalls era un dipendente modello. Come racconta nell’intervista che gli abbiamo fatto, era un dipendente di Amazon dal 2015, aveva lavorato duro e, secondo i classici crismi del sogno americano, si era conquistato una posizione nello stabilimento JFK8 di Staten Island, circa 5.000 addetti reclutati a New York o nel vicino New Jersey.
Poi però, quando ancora il COVID-19 sembrava lontano, ha cominciato a vedere i lavoratori del suo reparto ammalarsi, mostrando quelli che i giornali dipingevano come i sintomi caratteristici del coronavirus. E ha deciso di rivolgersi al suo superiore per chiedergli di fare qualcosa. Risposta: Amazon sta seguendo le linee guida indicate dalle autorità, non è il caso di allarmarsi ma, soprattutto, non è il caso di parlarne coi colleghi, perché bisogna evitare di diffondere la paura. Lui però ha deciso di parlarne, eccome, di raccontare che probabilmente nell’enorme centro di smistamento di Staten Island c’erano già parecchi lavoratori infetti che avrebbero messo a rischio la salute di tutti (come poi i fatti hanno confermato) e infine di organizzare uno sciopero.
Amazon a quel punto lo ha licenziato, formalmente non per la sua attività sindacale, ma imputandogli di aver violato le regole aziendali sulla quarantena. Secondo l’azienda di Jeff Bezos, infatti, Smalls sarebbe entrato in contatto con un collega positivo e avrebbe dovuto rimanere a casa 14 giorni, prescrizione violata per partecipare al picchetto davanti ai cancelli del magazzino il giorno dello sciopero. Smalls ha impugnato il licenziamento, contestando la decisione aziendale, presa, tra l’altro, senza il conforto di un parere medico, ma ha già dichiarato più volte che pur battendosi per il reintegro, in caso di successo si licenzierebbe il primo giorno, perché non ha intenzione di lavorare più per un’azienda che dà così scarso peso alla vita delle persone.
Nel frattempo la scorsa settimana è arrivato l’annuncio che un dipendente del fulfillment center di Staten Island è morto, mentre sarebbero una trentina i lavoratori positivi ai test. La prima vittima conosciuta della pandemia negli USA è stato un dipendente del deposito di Tracy in California, morto l’1 aprile. Amazon ha annunciato un piano da 4 miliardi di dollari per mettere in campo misure di prevenzione e protezioni dei propri dipendenti, ma una lettera del Procuratore Generale di New York all’azienda, i cui contenuti sono stati rivelati a fine aprile dal sito npr.org, ha definitole misure di sicurezza prese nei magazzini ‘inadeguate’. Insomma l’azienda più moderna e innovativa del mondo è anche l’esempio più calzante di come sfruttamento del lavoro e scioperi non siano gingilli novecenteschi per nostalgici della lotta di classe, ma una realtà quotidiana.
Nel frattempo Smalls ha deciso di utilizzare l’inattesa notorietà per fondare un’organizzazione con l’obiettivo di organizzare i lavoratori di Amazon. E’ stato uno degli organizzatori dello sciopero dei lavoratori essenziali lo scorso primo maggio. Non gli abbiamo chiesto di raccontare per l’ennesima volta la storia del suo licenziamento, ma di concentrarci su questi ultimi aspetti, di parlarci della sua nuova vita di organizzatore sindacale e dei progetti dell’organizzazione che ha da poco fondato.
Sei stato licenziato da Amazon a marzo. Da quanto tempo ci lavoravi?
Sono stato assunto quasi cinque anni fa, nel 2015, e sono partito dal basso, facendo il lavoro di base in magazzino. Ho lavorato duramente e dopo 7-8 mesi sono stato promosso diventando Process Assistant.
Ok. Saltiamo la storia del licenziamento, che è giù stata raccontata da molti, e veniamo a oggi. Qual è il tuo attuale ruolo? Abbiamo letto che hai appena creato un nuovo gruppo di ‘lavoratori essenziali’. E’ così?
Sì, al momento sto organizzando i lavoratori essenziali. Ho creato questa nuova impresa, un’organizzazione che si chiama TCOEW, The Congress of Essential Workers, abbiamo iniziato da poco e vogliamo organizzare il personale di Amazon.
E’ un gruppo di sostegno ai lavoratori? Un sindacato?
No, è una forma di organizzazione che stiamo creando ora e che in pratica è una struttura parasindacale, ma allo stesso tempo è un comitato di attivisti di base controllato dai lavoratori.
Come Amazonians United?
Sì, qualcosa di simile. E’ abbastanza simile a un comitato di attivisti, ma più ampio, sarà un’organizzazione nazionale e basata sul controllo democratico dei lavoratori. Voglio fare in modo che non siamo un sindacato, ma allo stesso tempo che i lavoratori abbiano un ruolo attivo.
Perché molti dipendenti Amazon preferiscono aderire a gruppi come il tuo piuttosto che a un sindacato?
Be’ innanzitutto qui negli Stati Uniti molti sindacati – come dire? – in pratica hanno i loro programmi e poi ovviamente io sono un dipendente di Amazon, ora un ex dipendente, dal 2015 e dunque, data la mia storia aziendale, lavorando con la gente i colleghi vengono da te a esprimere le loro preoccupazioni, perciò ho la sensazione di essere in grado di creare questa organizzazione mettendo i lavoratori in condizione di controllare passo passo ogni decisione come è loro diritto. Vogliamo esser certi che i mezzi di cui disponiamo siano di aiuto rispetto alla pandemia, servano per garantire il salario, la malattia retribuita, le indennità di rischio e vogliamo assicurarci che tutto ciò rientri nelle trattative con l’azienda. Perciò chi meglio di me poteva fare questa cosa ora, visto il sostegno di cui godo in questo momento a livello nazionale e internazionale? Vogliamo che tutto ciò abbia degli effetti positivi su tutti i lavoratori. Ho creato quest’organizzazione proprio per riuscire a fare questa cosa.
Puoi fare un bilancio dell’iniziativa del primo maggio? Siete soddisfatti e quali saranno i prossimi passi?
Sì, quella del primo maggio è stata, possiamo dire, la nostra prima manifestazione ed è stato un successo. Lo stesso giorno un vicepresidente di Amazon si è dimesso proprio in seguito alle polemiche suscitate dai licenziamenti di lavoratori come me. Per noi queste dimissioni sono una vittoria e il prossimo passo è continuare sulla strada dell’organizzazione. Stiamo creando un sito web, cominceremo a lanciare delle petizioni, in modo che la gente possa sottoscriverle e unirsi a noi. Vogliamo organizzare i dipendenti di Amazon e ora è il momento di reclutarli.
Quali sono i problemi che i lavoratori devono affrontare ogni giorno nei depositi di Amazon?
I problemi sono che devi lavorare duramente, le giornate sono lunghe e devi essere mentalmente e fisicamente preparato. Sono 10 ore al giorno e 40 ore a settimana, ma si può arrivare anche a 12 ore al giorno – a seconda di dove lavori – e 50-60 a settimana. Perciò, questo è uno degli aspetti di fondo: se non sei mentalmente e fisicamente preparato non duri. Non dimentichiamoci che questi edifici hanno una superficie di 900.000 piedi quadrati, l’equivalente di 14 campi da football e devi correre su e giù, mettere la merce sugli scaffali, spostare pacchi. Perciò devi mantenerti in salute, fare stretching, ginnastica, come dicevo prima, devi prepararti al lavoro, mentalmente e fisicamente. Questo per quanto riguarda le normali operazioni quotidiane, ma da quando è arrivato il COVID-19 a questa situazione è calato un pericolo di vita e di morte. Su questo aspetto credo che la cosa migliore che avremmo dovuto fare sarebbe stata chiudere il centro minimo due settimane. Sarebbe stato l’unico modo per evitare che il virus si diffondesse e dividere i colleghi infetti da quelli sani. Chiudere per 14 giorni, il periodo di incubazione della malattia, continua a sembrarmi l’opzione più logica.
Quindi il problema riguarda le condizioni di lavoro più che il salario.
Sì, Amazon paga abbastanza bene. Potrebbero fare di meglio, ma pagano abbastanza bene rispetto ad altre aziende dello stesso settore. Ma, certo, potrebbero pagare di più, perché la gente merita di essere pagata per lo sforzo che fa, perché ha bisogno di tempo per recuperare la fatica. E poi la gente andrebbe pagata anche tenendo conto dei soldi che Amazon ha guadagnato in questo periodo: 24 miliardi di dollari. Per questa ragione l’incremento del salario di due dollari l’ora che è stato riconosciuto ai dipendenti in questo periodo dovrebbe diventare permanente.
Nelle interviste che hai rilasciato dopo essere stato licenziato uno dei temi ricorrenti posti dai giornalisti era che, proprio perché siete lavoratori essenziali, fermare il vostro lavoro, sia pure per questioni sanitarie, infliggerebbe un danno eccessivo ai consumatori. Come rispondi?
Comincio dicendo che noi siamo lavoratori essenziali per le nostre comunità. Andiamo a lavorare e ci ammaliamo e poi torniamo a casa e nelle nostre comunità e trasmettiamo la malattia alle nostre comunità e alle nostre famiglie perché spesso non abbiamo sintomi. E proprio perché siamo essenziali dovremmo ricevere un sostegno particolare, perché se non siamo in salute noi non sono in salute le nostre comunità. Il secondo punto è che Amazon non è una necessità. Ci sono ancora negozi e supermercati dove puoi comprare medicinali e tutto ciò di cui hai bisogno. Del resto Amazon è un’azienda nata abbastanza di recente, non c’è sempre stata, per cui la gente dovrebbe ricordarsi che ci sono altri modi per procurarsi le cose. Certo, c’è modo di proteggersi indossando mascherine e guanti e adottando altre precauzioni, ma la gente dovrebbe sapere che fare un ordine ad Amazon significa esporre centinaia di persone a un rischio. Quando il pacco viene consegnato lasciandolo sulla porta di casa è stato toccato da molte mani e quindi mette a rischio anche chi lo riceve. Il mio messaggio ai consumatori è questo.
Hai ricevuto solidarietà dal sindacato o da lavoratori di tipo tradizionale iscritti al sindacato?
Sì, alcuni sindacati mi hanno sostenuto, hanno sostenuto i nostri sforzi per riuscire a scioperare, alcuni di loro ci hanno aiutato a organizzare i picchetti. Ma ho ricevuto sostegno anche a livello nazionale e internazionale. Qui a New York ad esempio ci siamo sostenuti reciprocamente con la NYSNA, l’associazione delle infermiere dello Stato di New York e un organizzatore sindacale del settore aereo mi ha appoggiato sin dal primo giorno.
E a livello internazionale? Hai contatti con lavoratori Amazon in altri paesi?
A livello internazionale sono stato contattato da un gruppo di attivisti sindacali tedeschi abbastanza noti in Germania, ho partecipato a un webinar con 25-26 di loro, ma la lista di gruppi che mi hanno contattato è lunga e tocca paesi come Cuba, Canada, India, Giappone, Sud Africa, Australia, Francia e Spagna e anche l’Italia. Ho cercato di essere disponibile con tutti e ho discusso con gente di tutto il mondo.
Che idea ti sei fatto discutendo con loro? Fuori dagli Stati Uniti i lavoratori Amazon vivono gli stessi problemi?
Negli altri paesi ci sono situazioni migliori di quelle che viviamo qui, perché i dipendenti di Amazon sono sindacalizzati. La differenza principale è questa: negli Stati Uniti i lavoratori sono sfruttati e ricattati perché non sono sindacalizzati né organizzati. In altri paesi, ad esempio la Francia e la Germania, sono riusciti a sindacalizzarsi, qui no e questo è il motivo per cui sto lottando e parlando del problema. Deve succedere anche qui.
Vuoi cogliere l’occasione per dire qualcosa ai lavoratori di Amazon fuori dagli Stati Uniti?
Certamente. Siamo di fronte a una questione di vita e di morte. C’è gente che è morta e altra che sta morendo. Questa pandemia per i lavoratori è un’occasione per mettersi insieme e cercare di cambiare la situazione. Se non lo facciamo non possiamo aspettarci che lo facciano miliardari e governi. Perciò dobbiamo acquisire forza. Se non facciamo noi qualcosa per i lavoratori essenziali rimarrà tutto così com’è. Dobbiamo lottare e ovviamente sarà una battaglia lunga, però credo che abbiamo preso la strada giusta.
E ai colleghi italiani? Hai detto di avere avuto contatti anche col nostro paese…
Sì, alcuni di loro mi hanno mandato un video con un messaggio di solidarietà circa due settimane fa. Perciò, vi sto che loro mi hanno sostenuto, voglio contraccambiare dicendo: ‘Il vostro sostegno mi ha fatto piacere e sono dalla vostra parte e vi esprimo la mia solidarietà. Siamo tutti dalla stessa parte, non importa se siamo in Italia o negli Stati Uniti. In qualunque parte del mondo ci troviamo siamo tutti nella stessa barca’.
Intervista tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 15 maggio.
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