Sanità

Le colpe della sanità che i cittadini non sanno (di pagare)

25 Settembre 2015

[SINTESI] C’è da essere seriamente preoccupati per futuro del Servizio Sanitario Nazionale, lo dicono da tempo studiosi, società scientifiche (eloquente nel 2013 il titolo del VI Congresso Nazionale della Società Medici Manager SIMM “SOS Servizio Sanitario Nazionale: Ultima Chiamata?“) e altri enti del settore (GIMBE con la campagna #SalviamoSSN). Ma di chi sono le colpe? Oggi la sterile lamentela, fintamente “agitata”, non serve. Oggi si fa sul serio ed è necessario fare autocritica e promuovere il cambiamento senza nascondersi dietro interessi di parte e schemi precostituiti che non servono più a nessuno (forse!) ma è necessario agire per rivoluzionare il sistema sviluppando, tra le altre cose, la continuità e il coordinamento delle cure, le relazioni di fiducia, il controllo sui provider e l’efficienza dei sistemi informativi.

[Tempo di lettura stimato per il post: 4 minuti]

Da cittadini c’è da essere preoccupati per il presente del Servizio Sanitario Nazionale per via di tagli che negli ultimi anni hanno tolto oltre 35 miliardi al sistema sanitario pubblico (lo ricorda molto bene Nino @Cartabellotta in questo articolo) e per la decisione della politica di invadere oggi il terreno dei medici andando a regolamentare l’appropriatezza delle prescrizioni. Il riferimento è all’elenco delle 208 prestazioni che per essere erogate a carico del Ssn dovranno soddisfare le condizioni di erogabilità o di appropriatezza prescrittiva è lungo e articolato (ricordiamo che il decreto per essere definitivo dovrà ancora essere approvato dalla Conferenza Stato-Regioni).

 

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Da medici, però, c’è da essere ancora più preoccupati per lo spettacolo desolante di inadeguatezza dato dalle minoranze organizzate rappresentanti la professione medica che, divise in una costellazione di oltre 20 sigle sindacali (prettamente mediche, non della sanità, le altre professioni sanitarie hanno proprie galassie e nebulose sindacali) in questo momento storico sembrano coalizzarsi e alzare la voce più per istinto di auto-conservazione che per promuovere quella rivoluzione di cui la nostra sanità ha spasmodico bisogno. Rivoluzione che era compito dei medici immaginare, progettare e strutturare ma che è stata colpevolmente fino ad oggi disattesa.

La presa di posizione delle Società Scientifiche. Fino ad oggi perché, stante lo sterile clamore fintamente “agitato” delle minoranze organizzate di stampo sindacale, alcune società scientifiche specialistiche (anche in questo caso finora colpevolmente troppo parcellizzate per avere un reale peso contrattuale e sviluppare un advocacy efficace) hanno iniziato a mettersi in gioco denunciando le anomali strutturali del sistema che vanno ben al di là dei tagli del momento (es. la presa di posizione dei radiologi, della società italiana di diabetologia e il comunicato della società di oncologia ospedaliera).

Do more with less. La tecnologia e la ricerca producono ogni anno innovazione (e l’innovazione costa) in un contesto dove (per fortuna e per il buon lavoro di sanità pubblica svolto finora) l’aspettativa di vita ha raggiunto livelli record nella storia dell’umanità (portando con sé carichi di malattie croniche direttamente proporzionati all’invecchiamento). Perciò lavorare su appropriatezza significa impegnarsi affinché non ci sia chi riceve più di quello di cui ha bisogno (e che magari oltre a subire lo spreco subisce anche qualche danno non necessario come con alcuni esami radiologici) e chi riceve meno di quello di cui ha bisogno. Ovvero significa impegnarsi per cambiare la realtà della sanità del nostro Paese.

No alle sanzioni, servivano le proposte. l’appropriatezza non si porta avanti per decreto, soprattutto se questo utilizza come strumento di cambiamento e disincentivazione le sanzioni, ma dovrebbero darsela da soli i medici. Certo che se i medici sono incapaci di darsela o peggio fanno nota di niente arrivando ad affermare che (cit. intervista del vice segretario del principale sindacato della medicina generale) il “medico si comporta naturalmente in maniera appropriata” la situazione non è delle più rosee…

L’impatto degli sprechi sul SSN. Prestigiosi studi, ripresi e adattati anche per il nostro Paese, hanno stimato che la somma di sprechi e inappropriatezze rappresentano circa il 23% del finanziamento ordinario di un sistema sanitario. Proiettando la stima sul nostro Fondo Sanitario Nazionale otteniamo un valore pari a oltre 25 miliardi euro/anno.

 

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Un’enormità di denaro che se per il 40% è ascrivibile all’impalcatura burocratica del sistema sommata a frodi e abusi, per il 60% è tutto frutto di un’organizzazione sanitaria vetusta e incrostata dagli interessi di parte della medicina territoriale, dall’assenza di trasparenza, meritocrazia e valutazione della progressione di carriera del personale SSN fino all’irrazionale moltiplicazione di incarichi dirigenziali di natura complessa effettuata negli ultimi decenni con il benestare di sindacati e organizzazioni professionali sempre troppo lontane per preoccuparsi realmente della lotta per il miglioramento del sistema (vedasi il disinteresse con il quale si affrontano tematiche quali la progressione di carriera legata alla valutazione delle performance e l’assunzione e/o stabilizzazione di giovani dirigenti che, alieni al mondo sindacale, sono costretti a incrementare le fila di disoccupati e precari).

I giovani medici italiani non stanno a guardare. Al fine di fare un’operazione d’informazione e verità al servizio dei medici più giovani e dei cittadini negli ultimi anni l’Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM) ha promosso campagne di protesta e proposta come #WeLoveSSN (nel 2012) e #SvoltiAMOlaSANITÀ (nel 2014 link alla campagna) dove più che stracciarsi le vesti per la decisione politica del momento (quasi sempre negativa ma simile alla crepa che si apre nell’intonaco piuttosto che al cedimento delle fondamenta) si chiedeva a gran voce di mettere mano ai più evidenti problemi strutturali che negli ultimi anni la politica, la burocrazia e un’inadeguata rappresentanza della professione medica hanno prodotto creando un groviglio di interessi e una matassa di connivenze di cui è difficile ma non impossibile venire a capo.

L’essere medico porta con sé molti oneri, uno su tutti rispettare sempre i principi della responsabilità sociale della Professione. Questo significa, tra le altre cose, saper mettere sempre in discussione se stessi per offrire la massima trasparenza ai cittadini, utilizzatori ultimi dei servizi e delle competenze di noi medici, nonché primi “datori di lavoro” dei professionisti operanti nella sanità pubblica. Quanti medici del SSN quando si trovano davanti il paziente pensano “lui è quello che mi paga lo stipendio a fine mese?”. E quanti pazienti quando vanno dal medico a richiedere prestazioni e soprattutto “esenzioni” pensano “questo sistema è il reale bene comune, se ne abuso qualcun altro in reale bisogno non troverà la prestazione di cui ha bisogno?”. Ebbene, questa semplificazione aiuta a riprendere le giuste prospettive per sciogliere la matassa e prendere decisioni quanto mai necessarie.

“I medici tutti i giorni temono di sbagliare una seria diagnosi e di far precipitare un loro paziente in una tragedia evitabile. Nelle nostre società sempre più punitive i medici temono di essere lapidati pubblicamente. Soprattutto i medici più giovani hanno paura dell’incertezza. Noi ordiniamo sempre più test per cercare, spesso invano, di essere sicuri di ciò che vediamo. È siccome temiamo che coloro che si trovano nel regno dei sani si trovino forse nel regno dei malati, noi continuamente deviamo le risorse dai malati ai sani, cosicché la sovradiagnosi è inevitabilmente legata al sottotrattamento di quelli già malati. La sovradiagnosi dei sani e il sottotrattamento dei malati sono le due facce della moderna medicina.
La paura dei pazienti alimenta la paura dei medici e viceversa; specialmente nei sistemi sanitari frammentati che non presidiano la continuità delle cure. È solo all’interno di relazioni di fiducia che queste paure possono essere contenute[Heath I. Role of fear in overdiagnosis and overtreatment. BMJ 2014, 349: 19-21.]”.

Come ricorda il Prof. Gavino Maciocco nel blog SaluteInternazionale.info,  l’autore del virgolettato ha individuato chiaramente le parole chiave per contrastare sovradiagnosi e inappropriatezza, che sono “continuità delle cure” e “relazioni di fiducia”. Ciò si realizza in un contesto in cui cadono le barriere tra i vari attori dell’assistenza, e c’è quindi la presa in carico di un paziente da parte di un team multidisciplinare, è facilitato il dialogo tra medico di famiglia e specialisti, e c’è condivisione tra diversi professionisti negli orientamenti diagnostici, terapeutici e assistenziali. In un contesto del genere si realizzano più facilmente anche le relazioni di fiducia col paziente, soprattutto se questo viene attivamente coinvolto nel processo di cura.

Questa volta si fa sul serio e i medici lo dovranno capire con le buone o con le cattive. Ora che sono arrivati altri tagli, ricorda Maciocco, il “magic bullet” per annullarne gli effetti nocivi sull’assistenza ai cittadini è solo uno: la lotta agli sprechi.

Il dibattito che si è tenuto su il NEJM nel 2012 dimostra però che “l’etica di evitare gli sprechi” porta ben pochi frutti se non è accompagnata da profonde trasformazioni del sistema che introducano radicali innovazioni nella gestione delle malattie croniche, che rafforzino la continuità e il coordinamento delle cure, le relazioni di fiducia, il controllo sui provider e l’efficienza dei sistemi informativi.

Anche qui la parola ritorna ai medici. Riusciranno a cambiare se stessi e a far cambiare il sistema attorno a loro? Riusciranno a far sentire la propria voce coinvolgendo i cittadini nella rivoluzione del SSN?

Questione di responsabilità sociale e leadership, questione da veri medici.

 

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