Sindacati
Il sindacato vieta alla Scala la tournée in Egitto per Giulio Regeni
(Foto di Gabriella Bucci)
Al balcone di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, è appeso da anni uno striscione giallo che reclama VERITÀ PER GIULIO REGENI. I lavoratori del dirimpettaio Teatro alla Scala lo vedono ogni giorno e ieri i loro sindacati hanno posto il veto a una tornée in Egitto, Kuwait e Dubai che Repubblica definisce “molto vantaggiosa dal punto di vista economico”.
“E’ inopportuno suonare nel Paese che non dice la verità sulla morte di Giulio Regeni” – spiega Francesco Lattuada, delegato della Slc Cgil nell’orchestra della Scala.
Un brivido corre lungo la schiena, la memoria ai tempi in cui la politica si era infiltrata nella musica e Maurizio Pollini dedicava i suoi concerti al Vietnam. Passata l’ubriacatura rivoluzionaria di allora, il Vietnam è diventato una piccola potenza economica di fatto capitalista, il sommo pianista milanese magari ha dimenticato quel lontano impegno giovanile, la politica sembrava estromessa dalla musica e forse solo Gianni Morandi ricorda la stessa nota “tatatata”. Chi invece non cambia mai sono gli anacronistici sindacati degli Enti più o meno pubblici come la Scala, rimasti ancorati a logiche di mezzo secolo fa, con sommo sprezzo del vile denaro, perché tanto è denaro pubblico.
Non li si può biasimare se il sindaco Beppe Sala è sempre pronto ad accontentare le peggiori bizzarrie ideologiche della sinistra milanese, che in cambio gli lascia mano libera sulla speculazione edilizia riqualificazione sostenibile della metropoli lombarda. Lui tiene appeso il manifesto giallo per Regeni sul proprio balcone, loro leggono e pretendono coerenza.
Questa tournée non s’ha da fare, né a settembre, né mai avranno detto i bravi sindacalisti, proprio dove inizia la via dedicata al Don Lisander. Il sovrintendente della Scala non ha affatto sovrinteso, perché il coraggio, uno non se lo può dare, il sindaco non è intervenuto, come sarebbe stato suo dovere perché è pure Presidente del Teatro e dunque niente tournée, nemmeno negli incolpevoli Kuwait e Dubai.
“Laddove ci sono sistemi totalitari o situazioni grigie non si può essere indifferenti a quello che accade in queste realtà” ha confermato Adrano Gnani, segretario della Uilcom, come riporta Repubblica.
Chissà che cosa pensano Lattuada e a Gnani della presenza italiana alle Olimpiadi invernali nella Pechino così paladina della democrazia e dove suppongo che Milano e Cortina andranno a raccogliere il testimone per la prossima edizione dei Giochi nel 2026. Chissà se consentirebbero una tournée al Bolscioi della Mosca di Putin, che certo non ha alcuna responsabilità nei quattordicimila morti della guerra civile separatista in Ucraina orientale.
Al loro posto pretenderei il divieto di portare Aida sui palcoscenici di qualunque teatro nazionale, altro che i festeggiamenti per il centocinquantenario della prima rappresentazione italiana di quest’opera egizia, dopo la prima assoluta che Verdi lasciò inopinatamente fare al Cairo.
Ci sono ben pochi dubbi sul fatto che Giulio Regeni sia stato ucciso da qualcuno legato al governo egiziano e che l’assassino fosse pure un cretino, perché non ha nemmeno capito che sarebbe stato meglio far sparire il corpo per sempre. Tuttavia la faccenda, qui in Italia, è entrata da anni nel regno dell’assurdo. Regeni è morto e non resusciterà e chi pretende che il governo egiziano si autosputtani non è più acuto dell’assassino. Noi sappiamo chi mise la bomba a piazza Fontana o come è caduto il DC9 di Ustica? Per i nostri marò l’India ha ottenuto più che un risarcimento per i familiari e le doverose scuse?
L’uccisione di Giulio Regeni, volontaria o preterintenzionale, è stata un episodio inaccettabile, che non può essere dimenticato, ma che non può segnare un solco permanente fra Italia e Egitto. Qualcuno pensa davvero che il presidente al-Sisi possa andare in televisione ad assumersi la responsabilità di quello che ha fatto una squadraccia di violenti, durante quella che era una guerra civile?
Il duca di York l’altro giorno ha accettato di versare una considerevole somma di denaro a favore della “presunta” vittima che lo accusava di averla violentata quando era minorenne e di fatto schiava sessuale dell’amico Epstein. Il figlio della regina Elisabetta ha anche firmato una dichiarazione fumosa di condanna dello sfruttamento sessuale, ma non ha in alcun modo ammesso, confessato di aver fatto ciò di cui era accusato. Nello stesso modo il governo egiziano non potrà mai fare una plateale ammissione di colpevolezza, la cosiddetta “verità per Giulio Regeni” che già conosciamo tutti e sulla quale si intestardiscono solo i gonzi oltre alla famiglia della vittima, che però ha ovvii e più che comprensibili motivi.
La mancata tournée della Scala in Medio Oriente non solo ha un costo economico per le casse del teatro disastrate dalla pandemia, è un’opportunità persa di far conoscere la nostra cultura nel mondo arabo dove un teatro, la presenza di donne sul palcoscenico non sono sempre ammessi, ma dimostra una volta di più sia la dabbenaggine di certa sinistra e certo sindacato, sia la mancanza di leadership del sindaco di Milano Beppe Sala, bravo a far costruire grattacieli qua e là, ma incapace di alzarsi in piedi e tener testa ai vaneggiamenti di certi suoi sostenitori.
Dopo avere avallato la messa all’indice dell’Egitto come Paese antidemocratico, andrà invece a Pechino a sorridere ai capi cinesi, perché le Olimpiadi del 2026 sono un business irrinunciabile?
Invece di tutta questa ipocrisia sarebbe stato meglio andare in tournée e, al Cairo, ricordare agli Egiziani, popolo e governo, il caso dello sfortunato Regeni.
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