Sindacati

La risposta al cambiamento

26 Febbraio 2016

Il panorama sindacale di questi tempi si presenta di un grigio a tinte fosche.

A fronte di una crisi economica che ha privato del lavoro centinaia di migliaia di individui abbiamo assistito alla messa in opera di politiche neo liberiste, tendenti al risparmio piuttosto che all’investimento, con sommo disappunto dei pochi superstiti liberi pensatori post-keynesiani.

Gli stati nazione hanno subito direttive dettate con dubbia legittimità da organismi sovranazionali, che secondo alcuni analisti tanto estranei alla stessa crisi non sono.

Fra i convinti assertori del nuovo corso vi è il nostro attuale governo, assieme ai tre precedenti.

In un periodo ove vige un primato in termini di posti di lavoro perduti, di fallimenti, di forzate cessazioni di attività e da un tasso di produttività che ha oramai toccato il fondo, per una parte sempre più consistente  degli Italiani le uniche possibilità di sopravvivenza sono gli ammortizzatori sociali, i contratti atipici o a tutele minime e l’immancabile lavoro nero.

Il costo sociale di tutte questi tre fattori combinati è ancora da valutare, ma il saldo si prospetta da brividi e lo scenari futuro oltre che inedito tende verso l’apocalittico.

Il soggetto che assieme ai lavoratori è stato investito da questo stato di cose è stato il sindacato intendendo con questo, anche per obiettività  storica, il sindacato confederale.

Il sindacato   ha assistito a questo stato di cose come si assiste un funerale di un congiunto, prendendo atto dello stato dell’arte  e  chiedendo l’ attivazione dei meccanismi di protezione sociale per quanto  concesso.

Lo scenario inedito e il forte ancoraggio a tradizioni passate non ha consentito nell’immediato la percezione della gravità delle cose.

Ma dopo i mille esercizi di ars domesticatoria da parte governativa, le continue esclusioni e le mancate convocazione dei tavoli negoziali  è stato alfine chiaro il progetto delegittimante così come la motivazione.

Oltre che dal fronte governativo  il sindacato viene attaccato  su altri  fronti.

Dai lavoratori stessi che individuano in esso il soggetto che nulla ha fatto per salvare i loro posti di lavoro, rilevando quella imbarazzante “contiguità” con la classe politica che diventa un fardello insostenibile quando la stessa classe politica decreta la fine del lavoro.

Un ulteriore attacco alle forze sindacali viene dal gruppo detentore di potere economico-politico che trovando nelle organizzazioni dei lavoratori una qualche resistenza nel condividere l’attuazione di  politiche  palesemente antisociali, cerca di bypassare il sindacato così come ha fatto con opposizioni e minoranze.

Ma come tirarsi fuori da questo doppio attacco, dal basso e dall’alto e sopravvivere ad un mercato del lavoro che muta in continuazioni ponendo ostacoli sempre più alti .

La risposta al cambiamento è il cambiamento.

Il sindacato confederale da multiplo nelle avversità potrebbe diventare unitario, accantonando le diverse sfumature di grigio che lo hanno storicamente diviso e presentarsi come un  grande soggetto  strutturalmente attrezzato ad affrontare le grosse sfide che l’attendono.

I tentativi di avvicinamento e di risoluzioni comuni sulle questioni di merito sviluppate negli ultimi mesi mostrano chiaramente che la ricerca di una composizione unitaria è in atto.

Non intendiamo riferirci , così come per i partiti politici, ad una confusione di ruoli e di identità né a fusioni a freddo in un soggetto unico. Ogni sindacato ha la sua storia, il suo inizio il suo percorso e le sue diversità e le rivendica con fondato orgoglio e si ritiene utile che le mantenga.

A fronte di questo riavvicinamento è auspicabile  la presentazione di una piattaforma di rivendicazione unitaria con prospettive politiche chiare ed attuabili, evitando il massiccio ricorso allo sciopero e alle assemblee entrambi poco partecipati e che ormai costituiscono armi inefficaci.

Ulteriore punto di strategico è la riconquista dei consensi nelle piazze e nei posti di lavoro, con il ritorno ai modelli associativi con cui il sindacato è storicamente nato.

Paradossalmente i lavoratori cercano ora nel sindacato quella risposta che la classe politica non è più capace di dare, poiché ha perduto quella capacità di disegnare il futuro ed il suo spirito di servizio .

Un qualche passo in avanti sarebbe dare un  chiaro segno di buona volontà, abbandonando i privilegi costruiti nel tempo e posti comunque in carico alla collettività; cose che visto l’odierna difficoltà oggettiva nel vivere risultano palesemente odiose agli iscritti e alle fasce più deboli.

Superare la deriva populista non è una roba facile. Ma se si comincia a chiudere le sorgenti di ambiguità sarà comunque più facile mostrare le mani aperte  e la mente pronta al confronto.

Nelle attuali condizioni vedo  un pericolo di fondo:  quello di cadere nella tentazione di trasformarsi in qualcos’altro. Un sindacato ha delle coordinate precise,  delle connotazioni che lo distinguono per ruolo e competenza da un partito politico. Suggerendo politiche migliorative e proponendo soluzioni e best practices, anche nella attuazione di politiche di governance, non deve mai dare l’idea di porsi come sostituto di una classe politica che ha una diversa valenza sociale.

E nel rileggere Rifkin, che già nel 1995 con dovizia di particolari profetizzava la fine del (della forza) lavoro nelle forme tradizionali, attendiamo gli eventi futuri .

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