Sindacati
La notte che Steve e Nancy andarono a New Orleans
Steve era un ragazzo ebreo di buona famiglia, cresciuto nella periferia piccolo borghese di Chicago, che nel 1961, a soli 13 anni, aveva visto dal vivo Bob Dylan e ne era rimasto fulminato. A quel concerto c’era andato con una sua compagna di scuola, Hillary Rodham, che molti anni dopo sposerà un tale Bill Clinton, incontrato all’università, che sarà presidente degli Stati Uniti. Ma di questo Steve non saprà mai nulla, perché è morto di leucemia a soli 36 anni, e di Hillary aveva da tempo perduto le tracce.
Lei aveva vinto una borsa di studio ed era andata via, invece Steve si è messo, come molti ragazzi di allora, a suonare nei locali di Chicago, guadagnando quel poco che bastava, in quegli anni incredibili, per sbarcare il lunario. Per i genitori era ok, perché allo stesso tempo conduceva il coro del Tempio ed insegnava musica ai bambini, ed aveva scritto diverse canzoni, ottenendo un contratto discografico. Con quei soldi ha sposato Nancy, la sorella di un famoso cantante rhythm’n’blues dell’epoca, e si è comprato un abbonamento per il campionato di baseball – l’inno dei Cubes di Chicago l’ha scritto lui, e lo cantano ancora ad ogni partita. Avrebbe tanto voluto giocare, ma era una schiappa, e Nancy ancora oggi lo ricorda come un ragazzo goffo, con un sorriso incredibile, un’intelligenza brillante ed una passione timida e tenace.
Nella primavera del 1971 Steve suona in uno dei tanti bar della sua città, ma stavolta c’è Kris Kristofferson ad ascoltarlo. Se non sapete chi sia, è l’autore di “Me and Bobby McGee”, e questo basta a dargli un posto nell’Olimpo “Freedom is another word for nothing left to lose”). Kris lo porta a New York e gli fa registrare un disco prodotto da Paul Anka. Almeno lui, spero, saprete bene chi sia. Colui che ha scritto “My way”, per esempio. Per questo motivo Steve trascorre ore ed ore sui treni, o nella Grande Mela, e si ammala per la prima volta. Per quel ragazzo timido, questo significa lo scontro con una realtà di gente che vive ai margini, che non ha abbastanza soldi per vivere, che viene continuamente umiliata. Per Natale, lui e Nancy visitano la famiglia di lei, che si è trasferita a New Orleans, ed il viaggio in treno diventa un’odissea, perché la compagnia ferroviaria sta licenziando operai e questi reagiscono scioperando, sicché la compagnia cancella alcune corse – tra cui quella finale per New Orleans.
Su quel viaggio, Steve scrive una canzone di timida rabbia, sarcasmo e malinconia, intitolata al treno chiamato “City of New Orleans”, che era appena stato cancellato – un brano pieno di poesia, in cui il treno, oramai sospeso, saluta: “Buongiorno America, come stai? Ti ricordi di me? Sono il tuo figlio nativo, sono il treno che chiamano City of New Orleans, e sarò andato per oltre 500 miglia prima che il giorno finisca”. La notte del 30 dicembre 1971, 49 anni fa, tornato a casa, la suona in un bar, e ad ascoltarlo c’è Arlo, il figlio di Woody Guthrie, che è già abbastanza famoso, ed è comunque famoso per essere estremamente presuntuoso e, nonostante abbia scritto uno dei capolavori dell’età della bellezza, il film “Alice’s Restaurant” con tutte le sue canzoni, nella sua vita “adulta” sarà un suonatore di country decisamente conservatore. Steve è pieno di sussiego e gli chiede se vuole ascoltare le sue canzoni, ed Arlo gli risponde: “Prendo una birra, e ti ascolto finché non l’ho finita”. Che stupida spocchia. Ma Steve canta la canzone del treno, ed Arlo ne è conquistato – diventerà il più grande successo discografico del figlio del Grande Hobo Woody.
Negli anni successivi Steve ha soprattutto combattuto contro la malattia che, alla fine, lo stroncherà. Ma la canzone, bellissima, è eterna. Vorrei che non la dimenticaste. In ricordo del buon vecchio Steve e di Nancy, che ancora parla si lui con chiunque la vada a trovare a Nashville, dove abita adesso, e sorride.
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