Sindacati
“La crisi dell’auto è solo per gli operai”
Intervista a un operaio dell’impianto Stellantis a Poissy
Qualche giorno prima dello sciopero nazionale dei lavoratori dell’auto indetto da FIOM FIM UILM il 18 ottobre allo stabilimento Stellantis di Poissy, in Francia, sono arrivati 26 dipendenti operai italiani, chiamati dalla direzione a dar manforte ai colleghi francesi per un mese. Sono i paradossi della crisi dell’auto, per cui l’azienda poco italo e molto francese chiede ai dipendenti di Poissy di trovarsi un altro lavoro, ma allo stesso tempo chiede ai dipendenti di altri paesi di andare a Poissy perché c’è carenza di personale. Ad attenderli i 26 italiani hanno trovato un volantino del sindacato SUD intitolato “Compagni d’Italia, Benvenuti!”. Secondo il sindacato Stellantis ha chiuso il 2023 con 18 miliardi e il primo semestre 2024 con 5,6 miliardi di utili. Eppure in Italia come in Francia i posti di lavoro sono minacciati da Carlo Tavares “l’uomo che guadagna 100.000 euro al giorno e impone la sua politica per difendere gli interessi e i privilegi delle famiglie Agnelli e Peugeot che non sono mai state più ricche”. Di qui la richiesta di una lotta comune tra gli operai italiani e francesi, i più minacciati, in nome della solidarietà internazionale tra i lavoratori. L’obiettivo è zero licenziamenti, zero chiusure e redistribuire i carichi di lavoro, impianto per impianto, tra gli attuali dipendenti. Per approfondire l’argomento abbiamo parlato con un operaio Stellantis, elettricista presso lo stabilimento di Poissy e iscritto a SUD.
Qualche giorno fa avete accolto 26 dipendenti italiani di Stellantis dando loro un volantino in cui fate appello a una lotta comune. Perché sono arrivati a Poissy e che cosa volevate comunicare col vostro volantino?
Da giugno Stellantis non ha più interinali in organico – prima ne aveva 400 – e perciò la direzione ha trasferito d’autorità altri lavoratori dai reparti forgiatura, verniciatura, controllo qualità e logistica alle linee di montaggio, dove il lavoro è molto duro: prima molti di quei posti di lavoro al montaggio erano occupati da giovani lavoratori interinali. La direzione ha preso la decisione di licenziare gli interinali da un momento all’altro e i dipendenti trasferiti all’assemblaggio – età media intorno ai 50 anni, a volte anche 60 – tentano di conservare il posto di lavoro incontrando molte difficoltà: molti sono in malattia e le postazioni non sono coperte al 100%. A luglio la direzione ha portato qui circa 30 lavoratori da Trnava, Slovacchia, per rafforzare le linee di assemblaggio per 5 settimane, poi però anche loro se ne sono andati. A ottobre la direzione ha fatto arrivare per un mese i 26 italiani da Mirafiori come rinforzo, così da poter formare rapidamente nel frattempo 24 lavoratori temporanei, con contratti da 12 mesi, e sopperire alla carenza di personale nei lavori di assemblaggio più difficili. Allo stesso tempo la direzione incoraggia i nuovi assunti a dimettersi offrendo loro incentivi economici. In base ai criteri aziendali Stellantis Poissy ha un esubero di 220 dipendenti. Lo scopo del volantino di SUD era spiegare che i lavoratori hanno un nemico comune: i padroni, Agnelli e Peugeot, e parlare di solidarietà internazionale. Era più un volantino di propaganda che di richieste specifiche.
Possiamo parlare di crisi del settore automobilistico francese? E se sì quali sono le cause?
La crisi c’è solo per i lavoratori dell’auto, che vedono chiudere le fabbriche e cancellare massicce quantità di posti di lavoro. Gli azionisti invece se la passano bene. Perciò la vera causa di questa situazione è l’avidità sfrenata della grande borghesia.
Che cos’è successo nella fabbrica di Poissy in queste settimane e quel è la reazione dei lavoratori?
Il 17 ottobre Tavares ha annunciato alla stampa che il destino di Stellantis Poissy si deciderà a dicembre 2025. Molti lavoratori del nostro stabilimento sono convinti che la chiusura sarà annunciata proprio alla fine del 2025, perché la chiusura di grandi impianti come questo può richiedere fino a un anno. Per molti di loro questo significa essere licenziati all’inizio del 2027. Non c’è nessuna certezza, non abbiamo nessuna prova, è solo un’intuizione, ma è ampiamente condivisa.
E il sindacato?
Il sindacato SUD è fortemente intenzionato a portare avanti la lotta: diciamo no alla chiusura e in ogni caso chiediamo certezze in caso di pensionamenti anticipato e, in caso di licenziamento, buonuscite importanti, non semplici briciole… La richiesta centrale però è soprattutto no alla chiusura degli impianti, no ai licenziamenti, mantenimento di tutti i posti di lavoro! Ma dobbiamo convincere i nostri colleghi che dal 17 ottobre pensano al loro futuro. I sindacati vicini ai padroni, invece, si lamentano ma si guardano bene da invitare alla lotta.
Che cosa è emerso dall’incontro coi lavoratori italiani? Siete riusciti a discutere di come rendere concreta la solidarietà internazionale tra lavoratori dell’auto?
Anche per gli italiani è difficile mantenere il posto di lavoro, ma dicono che le cose si muovono più velocemente qui in Francia che in Italia. I rapporti naturalmente sono difficili a causa delle barriere linguistiche e anche perché non si fermano qui a lungo. SUD non ha avuto la possibilità di organizzare un incontro ufficiale con loro, soprattutto perché a ottobre ci sono stati otto giorni di ferie dovuti alla carenza di cambi automatici prodotti in Giappone. I cambi devono transitare dall’Africa invece che dal Canale di Suez a causa della guerra in Medio Oriente. Perciò a ottobre abbiamo lavorato meno e quindi abbiamo anche avuto meno occasioni di parlare coi colleghi, compresi gli italiani. Qui in Francia tra gli operai più combattivi siamo ansiosi di avere notizie entusiasmanti sulle mobilitazioni del 18 ottobre in Italia: quanti operai della FIAT sono scesi effettivamente in piazza, quanti hanno fatto sciopero, che tipo di rivendicazioni, più radicali o più moderate, ha messo in campo il sindacato?
Intervista tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 25 ottobre
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