Sindacati
“Io, operaio italiano a Sheffield, sto coi lavoratori inglesi in sciopero”
Arrivato in Inghilterra sette anni fa dall’Italia Andrea Ugolini lavora come operaio specializzato in una fabbrica inglese di proprietà di una multinazionale spagnola. Insieme ai suoi colleghi fabbrica gabbie d’acciaio utilizzate per le fondazioni di grandi edifici e opere come le nuove linee dell’alta velocità britannica. Vive a Sheffield, città simbolo della Rivoluzione industriale, e la fabbrica dove lavora si trova vicino a Rotherham, una delle culle del movimento laburista. Una postazione ideale da cui osservare l’ondata di scioperi che attraversa il Regno Unito con gli occhi di un lavoratore ormai stabilmente integrato nella classe operaia britannica, che ha vissuto in prima persona Brexit, pandemia e guerra (e la conseguente ondata inflattiva) e allo stesso tempo è in grado di spiegarci analogie e differenze rispetto alla situazione italiana.
Come sei arrivato in Gran Bretagna, che situazione hai trovato e dove lavori?
Sono arrivato qui da Genova sette anni fa dopo aver fatto un corso da saldatore di 600 ore organizzato dalla Provincia e aver tentato di avviare un’attività autonoma. Avevo provato ad aprire un laboratorio da fabbro, ma mi ero scontrato con le solite trappole della burocrazia. Perciò, dato che la mia fidanzata di allora faceva l’università qui a Sheffield, sono venuto in Inghilterra, pensando di fermarmi qualche mese. Ho trovato subito casa e lavoro, prima come lavapiatti in un ristorante di proprietà del fratello del mio padrone di casa. L’abitazione l’ho trovata tramite un gruppo Facebook di italiani a Sheffield. C’erano altri italiani, che erano inquilini e allo stesso tempo dipendenti del ristorante, e loro mi hanno aiutato a trovare lavoro. Poi ho mandato il curriculum alle agenzie interinali e mi sono iscritto al Job Center. Quattro mesi dopo mi hanno chiamato proponendomi di fare il saldatore.
Per quale azienda?
La stessa per cui lavoro oggi. Si tratta di Celsa Group, una multinazionale spagnola della siderurgia. I miei colleghi più anziani mi hanno raccontato che la fabbrica era di British Steel ed è stata acquistata da Celsa diversi anni fa. In questi sette anni ci sono stati diversi cambiamenti. Prima eravamo divisi in tre aziende, ora in due. Siamo una sessantina di operai più gli impiegati e produciamo gabbie di cemento armato per ponti ferroviari e altre grandi opere. Prima si faceva tutto a mano, poi hanno comprato due robot e solo in un fine settimana hanno licenziato 15 persone. Un robot, infatti, fa il lavoro di circa sei operai. È un po’ più lento, ma le gabbie vengono meglio di quelle fatte dagli uomini. Poi il lavoro è cresciuto, hanno comprato altri due robot e fatto nuove assunzioni e oggi qui ci lavora più gente di quella che c’era prima. Tra l’altro i robot li fanno vicino a Pescara e quando sono venuti a installarli i tecnici erano italiani.
Siete sindacalizzati?
Quando sono arrivato in una delle tre aziende della fabbrica i lavoratori erano iscritti a Community e c’era stato anche uno sciopero, a cui noi neoassunti non avevano potuto partecipare, sia perché eravamo interinali sia perché facevamo parte di un’altra delle tre società. Poi quando sono arrivati i robot ci hanno assunti tutti a tempo indeterminato e aumentato lo stipendio. Io per un po’ ho lavorato coi robot, poi hanno trasferito i robot in un’altra fabbrica e mi hanno cambiato mansione. Attualmente piego il ferro e non faccio quasi più il saldatore, a parte quando mi mandano in trasferta. Tornando al sindacato, quando sono arrivato le prime volte che ho visto i volantini di Community pensavo che più che un sindacato fosse un circolo ricreativo. In Gran Bretagna per avere il riconoscimento del sindacato in un luogo di lavoro bisogna che metà dei dipendenti siano iscritti e quindi in ogni posto di lavoro può esserci solo un sindacato riconosciuto dall’azienda. L’alternativa è iscriversi individualmente a un altro sindacato, senza il riconoscimento della rappresentatività. Io inizialmente ho fatto così, mi sono iscritto a UNITE, un sindacato un po’ più combattivo, e ho cercato di convincere i miei colleghi a fare altrettanto, ma era un’impresa proibitiva. In generale convincere metà dei propri colleghi a iscriversi a un sindacato e a versargli 15-16 sterline al mese è difficile. Così alla fine mi sono iscritto anch’io a Community.
Per i lavoratori dipendenti c’è stato un peggioramento delle condizioni di vita negli ultimi anni?
Dipende. Per me personalmente no, perché da quando sono arrivato il minimo sindacale è aumentato e quindi anche il mio stipendio, che è superiore al minimo. Sette anni fa era 6 sterline e 70 l’ora, oggi quasi 10. Noi, poi, come ti dicevo, abbiamo avuto fortuna perché con l’arrivo dei robot chi non è stato licenziato, facendo un lavoro più specializzato, ha ottenuto le stesse condizioni di lavoro di chi stava lì da 30 anni e poi c’è stata la crescita dei clienti e delle commesse. Le nostre gabbie vengono utilizzate per le fondazioni dell’alta velocità inglese. Insomma girano soldi veri, per cui l’azienda non ha alcun interesse a creare tensioni coi dipendenti e dopo che sono iniziati gli scioperi ci ha dato un aumento di stipendio e a dicembre ci ha versato un premio di 500 sterline. Quando lavoravo sul robot un giorno il mio capo mi ha detto: “Capisco che tu ogni tanto debba andare in bagno, ma tieni presente che se stai fermo 10 minuti l’azienda perde 100 sterline”. Insomma se oggi scioperassimo sarebbe un danno incalcolabile. E la direzione cerca di evitarlo.
E più in generale?
Nei sette anni che sono qui è difficile individuare un trend omogeneo, perché sono successe troppe cose: c’è stata la Brexit, poi la pandemia e la guerra. Appena arrivato mi pareva che le condizioni non fossero delle migliori, anche se erano migliori che in Italia. Poi fare dei paragoni è difficile, perché qui è tutto diverso. Io, ad esempio, non ho la mutua: se mi ammalo prendo 100 sterline la prima settimana e 90 quelle successive, ma dipende tutto dal contratto che hai. In generale trovare lavoro è più facile e i salari sono più alti e aumentano di continuo. Hanno smesso di crescere solo durante la pandemia. Dopo la Brexit gli stipendi sono aumentati e, finita la pandemia, in particolare nella ristorazione nelle vetrine dei locali vedevi cartelli in cui era scritto “Chiuso per mancanza di personale” e annunci in cui i datori di lavoro offrivano salari più alti del minimo sindacale. Questo ai lavoratori consentiva anche di portare avanti delle trattative individuali vantaggiose. Diversi miei amici che lavoravano nella ristorazione sono riusciti a ottenere condizioni di lavoro migliori minacciando di licenziarsi. Nell’ultimo periodo, invece, c’è stato un drastico peggioramento. Perché i salari, come dicevo, hanno continuato ad aumentare, ma i prezzi aumentano più che proporzionalmente, più del 10% e non parlo dello champagne, ma di generi di prima necessità. Vai al supermercato e il sacchetto delle patate costa 40 cent, il giorno dopo 50 e dopo due giorni 60 cent, insomma il 50% in più nell’arco di 48 ore.
E i servizi pubblici – sanità, scuola, trasporti – sono peggiorati e come sono in confronto con l’Italia?
I servizi nei sette anni della mia permanenza sono peggiorati in modo impressionante. Quando sono arrivato vivevo fuori dal centro e già allora per andare a lavorare facevo 45 minuti a piedi per andare a prendere l’autobus. Non ci sono collegamenti adeguati con la zona delle fabbriche. Io, ad esempio, quando finisco il turno la sera o trovo un collega che abita vicino a me che mi dà un passaggio oppure devo uscire 10 minuti prima e perdere 10 minuti di paga, sennò a casa non ci arrivo. Le corse sono sempre meno e costano sempre di più. Con l’arrivo del nuovo anno le tariffe sono passate da 20 sterline a 21,80 a settimana. A Sheffield poi ci sono due compagnie e l’abbonamento a una non vale per l’altra e se fai l’abbonamento integrato la spesa cresce ulteriormente. Il servizio che è peggiorato di più però è l’NHS, il servizio sanitario nazionale inglese. Io di recente ho subito anche un’operazione, per cui ho sperimentato i disservizi sulla mia pelle. Non conosco bene la situazione degli ospedali, ma i servizi del medico di base sono al collasso. Prima se avevo bisogno prenotavo senza problemi, in 2 o 3 giorni ti davano un appuntamento e il medico ti visitava di persona. Ora, dopo la pandemia, per ottenere una visita medica in presenza bisogna essere in fin di vita e per una visita a distanza al telefono aspetti un mese. Funziona così: tu dalle 8 in poi chiami e ci sono pochissimi appuntamenti disponibili per quel giorno, solamente per le urgenze. Se non trovi in giornata devi prenotare nei giorni successivi e l’attesa minima è di un mese o anche più. Per questo molti sono passati al medico privato. Poi ci sono i walk-in center, a cui puoi accedere senza prenotazione. Vai lì e puoi fare anche 4 ore di coda prima che ti visitino.
Gli scioperi sono prevalentemente nel pubblico. Che atteggiamento hanno i lavoratori del settore privato?
Sì, sono soprattutto nel settore pubblico, anche se bisogna dire che qui molti servizi pubblici hanno gestori privati e che comunque ci sono stati tanti scioperi anche nel settore privato, organizzati soprattutto dal sindacato Unite. Oggi, ad esempio, scioperavano gli autisti delle ambulanze e alcune compagnie di bus private. La scorsa settimana i ferrovieri, che insieme ai postini sono stati forse la categoria più combattiva in questa ondata di scioperi. Ieri e l’altro ieri gli esaminatori della patente. Quando sono venuto in Italia per le feste di Natale scioperavano gli addetti ai controlli alla frontiera. Hanno scioperato i professori, gli spazzini, i portuali, i camionisti e tanti altri. Per la prima volta nella storia del Regno Unito hanno scioperato anche gli infermieri, per due giorni e altri due giorni di sciopero sono previsti a breve. Noi non siamo in sciopero. La nostra fabbrica si trova di fronte alle poste e vediamo i postini nella picket line con le bandiere e gli striscioni sindacali. Però anche volendo non potremmo sostenerli perché qui lo sciopero politico o di solidarietà è vietato. Puoi scioperare solo per il tuo contratto. Il paradosso è che se lavori in una ditta pubblica e questa viene privatizzata tu non puoi scioperare contro la privatizzazione, ma solo contro il cambio di contratto.
Però tra di voi parlate degli scioperi?
In fabbrica c’è gente di tutti i tipi e di tutte le estrazioni politiche. C’è chi se ne lava le mani e chi invece si interessa. Ma nel complesso devo dire che se ne parla abbastanza. Nessuno si lamenta degli scioperi e c’è una certa solidarietà, soprattutto per gli infermieri e i paramedici, perché dopo la pandemia è chiaro a tutti quanto sia importante il loro lavoro e soprattutto perché tutti hanno visto coi propri occhi quanto sia peggiorata la sanità. Io però speravo che coi colleghi si riuscisse a parlarne di più. Li avevo invitati anche alle manifestazioni di Enough is Enough, ma non sono venuti. La situazione comunque è molto diversa da quella italiana.
In che senso?
Nel senso che qui, come ti dicevo, la legge non consente di proclamare uno sciopero generale. L’ultimo sciopero generale è stato nel 1926 per sostenere i minatori. Dopo la fine della guerra le miniere erano state privatizzate e in seguito ci fu un’ondata di licenziamenti e gli altri lavoratori scioperarono oltre una settimana per sostenerli, ma alla fine lo sciopero fu fermato proprio dai leader sindacali, mentre la lotta dei minatori proseguì per altri sei mesi. Di recente c’è stata una specie di sciopero generale nel novembre del 2011, ma la copertura ce l’avevano solo i dipendenti del settore pubblico. Lo sciopero era stato proclamato per opporsi alla riforma delle pensioni e coinvolse una trentina di sindacati, raccogliendo l’adesione di circa due milioni di lavoratori. Perciò qui, a differenza che in Italia, uno sciopero generale sarebbe veramente qualcosa di rivoluzionario. La normativa sindacale britannica contiene regole senza senso. Ad esempio quando i lavoratori in sciopero fanno un picchetto davanti alla propria azienda in teoria non più di sei lavoratori possono avvicinarsi a un collega per convincerlo a non entrare. In realtà nessuno, che io sappia, rispetta questa regola, ma formalmente è in vigore. Ora il governo parla addirittura di usare i militari al posto degli infermieri e degli autisti di ambulanze e sta studiando una legge che metterebbe un limite al numero di lavoratori che possono scioperare in alcuni settori sensibili come ospedali, ferrovie e pompieri. Insomma il sindacato dovrebbe garantire che una quota dei suoi iscritti lavori anche in caso di sciopero, in modo da garantire il servizio minimo.
Un aspetto interessante, che qui in Italia è assente, sono queste campagne a cui partecipano sindacati e attivisti sociali, come Enough is Enough e People’s Assembly. Hanno un impatto visibile?
Sì, la più grande credo sia Don’t Pay UK, che si batte per boicottare il pagamento delle bollette sempre più care. Naturalmente non vogliono esporre la gente al taglio delle utenze, per cui aspettano di arrivare al milione di adesioni prima di lanciare la campagna vera e propria, anche se finora non ci sono arrivati. Però sono abbastanza forti. Hanno tanti attivisti, gente che dà volantini. Enough is Enough organizza cortei il sabato, a cui partecipano tutti: i sindacati, i partiti politici di estrema sinistra, le campagne militanti come Don’t Pay UK. Alla fine della manifestazione ci sono i comizi dei rappresentanti sindacali e delle diverse organizzazioni. Nel complesso queste realtà non sono fortissime, ma rappresentano una novità rispetto alla calma piatta che c’era prima quest’estate. In estate, infatti, la situazione si è vivacizzata dall’oggi al domani. La crisi ha accentuato le contraddizioni sociali e indebolito il governo. Prima è caduto Johnson, poi è scoppiato lo scandalo del taglio delle tasse ai ricchi voluto da Liz Truss, il cui governo è durato poco più di un mese, di cui 10 giorni assorbiti dalla morte della regina. L’inflazione è schizzata alle stelle, mentre gli stipendi sono rimasti al palo e questo ha fatto precipitare la situazione, con qualche conseguenza anche in termini politici. Io da qualche tempo frequento il Socialist Party, che è una delle tre organizzazioni di estrema sinistra presenti a Sheffield insieme all’SWP e a Socialist Appeal. In confronto ai gruppi di estrema sinistra italiani è un altro mondo, il SP ha un forte intervento sociale, ad esempio mi colpì il loro attivismo quando ci fu la lotta dei rider. Prima di quest’estate eravamo una ventina di persone, ora siamo 50 e abbiamo dovuto sdoppiare il circolo cittadino in due branch, sudest e nordovest.
La sinistra britannica e non solo aveva nutrito grandi aspettative nei confronti di Corbyn. Ma alla fine quelle aspettative non si sono concretizzate. Cosa ne pensi?
Io non ho mai avuto particolare aspettative nei confronti di Corbyn e sono sempre stato molto critico. Qui la corbyn-mania ha raggiunto livelli tali da risultare di difficile comprensione per un italiano e anche questo aspetto mi ha reso molto dubbioso e critico. Ricordo che ci fu un festival in cui gli organizzatori avevano piazzato all’interno una sagoma di Corbyn di cartone per permettere ai visitatori di farsi i selfie insieme alla loro icona e c’era la coda per mettersi in posa. Tuttavia a Corbyn bisogna riconoscere un merito: quello di avere attratto moltissimi giovani verso l’impegno politico. Ho incontrato veramente tanti di loro che mi hanno detto: “Io non sapevo nulla di politica. Corbyn mi ha aperto un mondo. Grazie a lui ho iniziato a interessarmi e a impegnarmi politicamente”. Ma sinceramente non credo e non ho mai creduto nell’idea che si possa portare a sinistra il Labour Party e credo che l’avvento di Starmer come leader del partito confermi la mia tesi. Penso sia invece necessario creare un nuovo partito che rappresenti veramente gli interessi della working class e possa unire le diverse proteste e organizzare finalmente uno sciopero generale che per il Regno Unito significherebbe qualcosa di davvero unico e rivoluzionario.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 17 gennaio 2023.
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