Sindacati
Il giudice: “Glovo riveli i segreti del suo algoritmo”
Il tribunale di Palermo condanna Glovo per condotta antisindacale. La piattaforma di consegne a domicilio si era rifiutata di rispondere alle domande della CGIL sul funzionamento dell’algoritmo che assegna gli ordini ai fattorini, ma decide anche se mettere fine al loro rapporto di lavoro. Le implicazioni della sentenza.
Il 20 giugno il Tribunale di Palermo ha giudicato Foodinho Srl, società che gestisce i servizi di consegna a domicilio del brand internazionale Glovo in Italia, colpevole di condotta antisindacale per non aver assolto agli obblighi di informazione dei lavoratori introdotti dal decreto legislativo 104/2022 in materia di utilizzo di “sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”. La causa era stata intentata dalla CGIL, che accusa la piattaforma di non aver risposto a una serie di domande intese ad accertare quali siano i parametri che regolano il funzionamento dell’algoritmo Jarvis, che sovrintende alle consegne, e quindi anche il rapporto della piattaforma coi propri fattorini, nonché il peso specifico di ciascuno di essi.
Si tratta di un interrogativo rilevante, perché dall’algoritmo dipende non solo l’assegnazione dei turni di lavoro e degli ordini ai rider, ma anche la stessa prosecuzione del rapporto di lavoro. Glovo, infatti, continua a considerare i propri fattorini lavoratori autonomi, come del resto tutte le piattaforme che operano in Italia tranne Just Eat, che da marzo del 2021 li assume con contratto di lavoro subordinato. Dunque per sbarazzarsi di un lavoratore basta un clic per scollegarlo dalla app su cui i fattorini prenotano i turni e ricevono gli ordini.
Ed è tanto più rilevante da quando il Tribunale di Bologna, sempre su iniziativa della CGIL, nel dicembre 2020 ha accertato la discriminatorietà dei parametri utilizzati da un’altra piattaforma, Deliveroo, per elaborare il ranking reputazionale del proprio algoritmo “Frank”, evidenziando, secondo una nota dello stesso sindacato, “un’esasperata logica di cottimo digitale che penalizza i lavoratori ritenuti meno produttivi”.
La vertenza ha avuto inizio, ci spiega Francesco Brugnone, segretario generale del Nidil CGIL di Palermo, “dopo che alcuni rider si sono presentati da noi denunciando l’arbitrario abbassamento del loro ranking, il punteggio assegnato dall’algoritmo di Glovo in base alle prestazioni di lavoro”. L’abbassamento del ranking, ci spiega ancora Brugnone, implica una riduzione degli slot, così vengono chiamati i turni di lavoro assegnati ai ciclofattorini e, dunque, una diminuzione del loro reddito. Di qui la richiesta di spiegazioni e il ricorso ai giudici di fronte all’evasività dell’azienda.
Nel 2022 il governo Draghi è intervenuto col decreto legislativo 104 per introdurre anche in Italia, sull’esempio delle misure indicate dall’Unione Europea, l’obbligo di informare il lavoratore “dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”. La legge precisa in modo dettagliato gli aspetti che devono essere messi a conoscenza, tra cui gli aspetti del lavoro su cui incidono tali sistemi, il loro funzionamento e la loro logica, i dati e i parametri utilizzati per addestrarli e programmarli. Informazioni su cui Glovo si è dimostrata reiteratamente elusiva e che in tribunale ha cercate di proteggere da una parte contestando una serie di vizi formali – la maggiore rappresentatività della CGIL, la competenza territoriale del Tribunale di Palermo, l’applicabilità dello Statuto dei Lavoratori ai propri rider – da un’altra opponendo alle richieste del sindacato la tutela del segreto industriale e commerciale e appellandosi al recente “Decreto Lavoro” del governo Meloni, che limita gli obblighi di informazioni fissati dal d.lgs. 104 ai “sistemi integralmente automatizzati” ed esclude, appunto, quelli protetti da segreto industriale e commerciale. Il tribunale, ci spiega Giorgia Lo Monaco, del pool di avvocati della CGIL che ha patrocinato la causa dei rider palermitani insieme a Vacirca, De Marchis e Bidetti, ha respinto a una a una le obiezioni di Glovo, intimandole di fornire le informazioni richieste dal sindacato e, “con un’interpretazione innovativa dell’articolo 614 bis del c.p.c. ha fissato in 200 euro al giorno, a partire dal quindicesimo giorno dalla comunicazione del decreto, la sanzione che l’azienda dovrà pagare qualora non assolva a tale prescrizione”. “In particolare è stata confermata la rappresentatività della CGIL e l’applicabilità dello Statuto dei Lavoratori, in quanto i giudici ormai danno per scontato che i rider non vadano considerati lavoratori autonomi, ma almeno etero-organizzati”. Mentre sulla questione del segreto commerciale l’obiezione di Glovo è stata respinta perché, ci spiega ancora la legale del sindacato, “noi abbiamo chiesto delucidazioni circa il funzionamento dell’algoritmo e la sua logica, non certo il codice sorgente, che non sapremmo neanche decifrare”.
La sentenze di Palermo e di Bologna potrebbero avere implicazioni più generali, perché l’utilizzo di algoritmi per regolare l’esecuzione delle prestazioni lavorative negli ultimi anni si è ampliata in modo significativo. Il caso che viene in mente per primo è il lavoro nei magazzini di Amazon, anche se, osserva Nicola Marongiu, coordinatore nazionale per la contrattazione collettiva e il mercato del lavoro della CGIL, l’azienda americana, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 104 ha formalmente fornito le informazioni richieste dalla norma. “Si tratta di capire se queste informazioni sono sufficienti e se il funzionamento degli algoritmi di Amazon non prefiguri comportamenti discriminatori da parte dell’azienda, ma questa è una valutazione che al momento come sindacato non siamo ancora stati in grado di fare”, precisa Marongiu.
Questa nuova vittoria giudiziaria dei lavoratori delle piattaforme si svolge mentre in Europa continua il dibattito sulla natura giuridica del rapporto di lavoro tra piattaforme e lavoratori. “Noi continuiamo a ritenere che si tratti di lavoro subordinato”, ribadisce Brugnone, “e la nostra convinzione è stata rafforzata dal Tribunale di Torino, che nei giorni scorsi a ha confermato a otto ciclofattorini di Glovo il riconoscimento dello status di lavoratori dipendenti, ribadendo quanto affermato la sentenza di primo grado e respingendo il ricorso dell’azienda. Un pronunciamento che ci sprona a seguire la stessa strada dei colleghi torinesi”. Una norma di legge per regolare la questione a questo punto appare necessaria e anche urgente, “sennò ogni volta saremo costretti ad andare in tribunale”, conclude Giorgia Lo Monaco.
L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 7 luglio
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