Sindacati
FOOD DELIVERY. La CGIL lancia “No easy rider”
Intervista con Tania Scacchetti (Segretaria Nazionale CGIL)
Si chiama ‘No easy rider’ la campagna lanciata nei giorni scorsi dalla CGIL in otto grandi città italiane e rivolta ai lavoratori del Food Delivery, quelli che vediamo in questi giorni pedalare nella canicola trascinando sulle proprie bici contenitori dai colori sgargianti col logo del proprio gruppo – Foodora, Glovo e Deliveroo i più famosi – per consegnarci non solo pizze, ma ormai quasi ogni tipo di cibo sia disponibile sul mercato. La condizione di questi lavoratori, portata alla ribalta qualche anno fa dalle iniziative di un gruppo di rider auto-organizzati di Foodora a Torino e a Milano, oggi è per la prima volta al centro di una campagna nazionale lanciata dal primo sindacato italiano. La CGIL per questi lavoratori chiede il riconoscimento di diritti elementari comuni a tutti i lavoratori (in primo luogo un contratto di lavoro, ma anche sicurezza, riposi, ferie, INPS e INAIL e, non ultimi, i diritti sindacali, ma anche alcune tutele legato allo specifico di questo tipo di lavoro, ad esempio il diritto a non vivere connessi 24h alle app aziendali e con la spada di Damocle della ‘classifica reputazionale’ stilata in base alla prestazioni di ogni rider. Ci è sembrata un’iniziativa interessante e l’occasione propizia per parlare con Tania Scacchetti, segretaria confederale della CGIL che coordina la campagna, e approfondire non solo questo tema, ma, più in generale, di chiederle in che modo la CGIL si propone di organizzare i lavoratori in un mondo del lavoro che cambia rapidamente e sempre più dominato, soprattutto nel campo dela web economy, dai grandi gruppi internazionali.
In che cosa consiste la campagna?
E’ un’iniziativa che stiamo lanciando in otto città metropolitane – Bari, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino –dove abbiamo già una presenza in questo settore come NIDIL, la categoria che si occupa di ‘nuovi lavori’ (ad esempio a Firenze e Napoli), mentre altrove interveniamo come FILCAMS e FILT, cioè le nostre federazioni del commercio e dei trasporti. Il nostro obiettivo è fare una campagna di ascolto nelle strade, dove nei prossimi giorni saremo presenti distribuendo i volantini in tre lingue con le nostre proposte e dei braccialetti colorati di sicurezza ad alta visibilità per ricordare il problema della sicurezza.
In che senso di ascolto?
Si tratta di un mondo che in larga parte non vede nel sindacato confederale un mezzo di rappresentanza e dove invece ci sono forme di autorganizzazione e una presenza del sindacato di base. Noi non vogliamo una contrapposizione con le Rider Union. Ci interessa spiegare cosa abbiamo fatto in questo anno e ascoltare la voce dei lavoratori.
Che immagine vi siete fatta di questo settore e della sua composizione?
E’ una popolazione lavorativa abbastanza disomogenea. L’INPS ha pubblicato alcuni dati in un rapporto dedicato al lavoro digitale. Se ne ricava che in Italia ci sono circa 10.000 rider. E’ un lavoro contrassegnato da un fortissimo turn-over, in cui si arriva anche a fare 40-50 ore di lavoro la settimana. Ma in generale ci sono molte variabili sia geografiche sia legate alla condizione sociale di chi sceglie questo lavoro. Ci sono città in cui prevalgono gli universitari che lo fanno nelle pause dello studio, mentre a Milano ci sono più adulti, spesso espulsi da processi produttivi, per i quali si tratta di un lavoro vero e proprio. Insomma ci sono esigenze diverse. Per il rider straniero, ad esempio, la domanda di un riconoscimento dello status di lavoratore subordinato di solito è più forte che per l’universitario. Aggiungo che nelle grandi città per il sindacato è più difficile intercettare questi lavoratori, perché sono di più e disseminati in un tessuto urbano più ampio e complesso.
Che cosa chiedete alle aziende? E cosa alla politica?
Per noi sono essenzialmente due le strade da battere. La prima è il contratto. Noi non chiediamo un contratto dedicato, perché significherebbe creare una fattispecie ad hoc per un numero molto limitato di lavoratori e per un‘attività così specifica che rischierebbe di indebolirli invece di rafforzarli. Però pensiamo che questi lavoratori possano essere portati dentro, pur tenendo conto della loro specificità, a contratti collettivi che già esistono, come quello della logistica oppure quello del commercio.
Ok, questo è quello che chiedete alle imprese. E al Governo?
Al Governo diciamo che serve un intervento legislativo, in particolare sulle collaborazioni e sul lavoro occasionale, in modo che ci sia un perimetro di diritti garantiti per legge. Il primo è la sicurezza, perché quando un lavoratore viene considerato autonomo non ha alcuna tutela da questo punto di vista. La politica ci aveva pensato e aveva fatto alcune cose, ad esempio il Jobs Act aveva previsto la possibilità di applicare alcune tutele tipiche del lavoro subordinato alle cosiddette collaborazioni etero-organizzate. Si tratta di capire se proseguire su questa strada oppure introdurre una normativa specifica per i rider che riguardi l’INPS, gli infortuni e il divieto del cottimo. Oppure pensare a una soluzione mista. E’ chiaro che dobbiamo essere pronti anche a trovare strade nuove rispetto al passato, ma quello che non deve capitare è che ci siano dei ‘lavoretti’ – come spesso vengono definiti con tono un po’ dispregiativo – in cui non vengono riconosciuti i diritti elementari. Quello che osserviamo come sindacato è che anche se fanno un nuovo lavoro, perché passano attraverso una app, questi ragazzi esprimono bisogni comuni anche al lavoro classico: uno stipendio dignitoso e certo, sicurezza, turni di riposo e ferie. Le cose che chiediamo nel volantino.
Allarghiamo il discorso. Il mondo cambia e al suo interno cambia anche il mondo del lavoro. Qualche mese fa abbiamo intervistato un’altra dirigente della CGIL che segue i lavoratori Amazon di Passo Corese, vicino a Roma. Come si sta attrezzando la CGIL?
Intanto abbiamo capito che dobbiamo superare le barriere tra le singole categorie. Per quanto riguarda i rider una delle domande che ti devi porre è: chi li rappresenta? Quale delle nostre categorie? Come dicevo prima: la FILT? La FILCAMS? Il NIDIL? Per noi la risposta è: la CGIL. Cioè si tratta di uno di quei settori dove è particolarmente necessario avere un approccio confederale. Secondo punto. Spesso questi lavoratori incontrano il sindacato a partire da un problema individuale: hanno bisogno del patronato oppure devono farsi controllare la busta paga. Tu, come sindacato, devi partire da lì e avere la capacità di far maturare un approccio più collettivo. Sapendo che spesso questi lavoratori hanno paura o sono diffidenti nei tuoi confronti. Per questo parliamo di sindacato di strada.
Concretamente cosa vuol dire?
Vuol dire che devi uscire dalle stanze del sindacato e che quando parli non solo dei rider, ma in generale di questi ‘nuovi lavori’ devi ripartire dall’abc del fare sindacato. Ci sono ambiti in cui alcuni diritti sindacali elementari – come l’assemblea in orario di lavoro o la bacheca sindacale – sono scontati e altri in cui quei diritti magari ci sono formalmente, ma è più difficile renderli esigibili. Perciò capita di fare le assemblee di sera, lontano dal luogo di lavoro (una volta ci è capitato persino che alcuni lavoratori venissero in assemblea cercando di nascondersi il volto) e che le mobilitazioni le fai quando ci riesci. E’ una situazione molto difficile perché oggi il potere del capitale sul lavoro è sempre più forte e si esercita in modi diversi. In alcuni luoghi di lavoro il problema è il salario, altrove si starelativamente bene dal punto di vista economico, ma aumentano i ritmi e diminuiscono i diritti.
La web economy e la gig economy sono dominate da grandi gruppi internazionali. Il sindacato come si sta attrezzando?
Per quanto riguarda gruppi come Amazon è prevista la creazione del CAE, la forma di rappresentanza aziendale europea e già facciamo parte di un board internazionale. Inoltre come CGIL abbiamo anche organizzato un incontro a Roma coi sindacati inglesi, tedeschi e di altri paesi e partecipiamo a incontri analoghi in Europa. E partecipiamo alle mobilitazioni internazionali, come quelle organizzate in occasione dei Black Friday. Tieni presente che l’Italia è un paese importante perché l’accordo sindacale che abbiamo sottoscritto a Piacenza è un unicum nel mondo.
E per quanto riguarda i rider e la gig economy?
Ci sono riunioni del sindacato europeo a cui partecipiamo e che sono interessanti perché è un’occasione per conoscere e analizzare i diversi orientamenti della legislazione e della giurisprudenza nei vari paesi e anche un luogo di confronto. Ad esempio per quanto riguarda gli autisti di Uber la Gran Bretagna riconosce loro lo status di lavoratori subordinati, mentre in Francia vengono considerati autonomi. Poi ci sono le iniziative delle Rider Union, che hanno organizzato incontri tra lavoratori di diversi paesi e lanciato alcune iniziative di mobilitazione internazionale. Anche se è un settore in cui l’organizzazione dei lavoratori è ancora fragile, se riesci a fermarti due ore in tutti i paesi lo stesso giorno dai comunque il segnale che hai un embrione di organizzazione internazionale e questo ti dà una visibilità pubblica ed è un fattore importante. Un altro capitolo su cui bisognerebbe interrogarsi è rappresentato dai consumatori. Bisognerebbe far capire loro che se vuoi la pizza a casa in cinque minuti e vuoi pagarla poco più del suo prezzo le conseguenze poi sono queste. E’ un business costruito così e non a caso quando le imprese hanno sentito su di sé la minaccia di alcuni interventi normativi sgraditi hanno minacciato immediatamente di andarsene per mettere pressione sugli utenti.
Hai citato più volte le Union e mi sembra di capire che la CGIL non voglia avere un atteggiamento pregiudiziale verso queste forme di auto-organizzazione.
Intanto bisogna precisare che le Union non sono un soggetto unitario. Noi abbiamo incontrato per la prima volta i loro rappresentanti quando siamo stati invitati al tavolo da Di Maio insieme alle organizzazioni datoriali. La situazione all’inizio è stata un po’ difficile, perché sembrava quasi che il sindacato fosse la controparte delle Union. Detto questo col passare del tempo si è visto che c’è un pezzo di loro che ci vede come una parte del problema e ci sono territori dove non c’è dialogo, mentre altrove sono più propensi al confronto. A Bologna ad esempio abbiamo visto le Union portare una lettera ai segretari di CGIL CISL e UIL alla manifestazione del Primo Maggio. Io personalmente penso che come sindacato dovremmo evitare atteggiamenti di chiusura e provare a rafforzare i punti di convergenza. In una situazione così difficile per i lavoratori marciare disuniti sarebbe dannoso e credo anche che cercare di creare punti di convergenza sia utile per il sindacato ma anche per le stesse Union e soprattutto per i lavoratori.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 9 luglio 2019
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