Finanza
E’ ancora vivida l’edera incorruttibile di Napoleone Colajanni?
Strano destino quello dei Repubblicani italiani. Oggi tutti gli schieramenti celebrano il 2 giugno e tra questi mancano, in veste ufficiale, proprio loro. I famosi nobilissimi “quattro gatti” che nel dopoguerra, prima con Oronzo Reale, furono poi guidati da Ugo La Malfa nelle battaglie più cogenti della ricostruzione morale e materiale dell’Italia massacrata dalla guerra fascista. Togliatti, Pertini, Nenni, De Gasperi e Ugo La Malfa hanno plasmato la coscienza civile di almeno due generazioni. Ma senza i repubblicani avremmo patito chissà per quanto tempo i traffici di Sindona e dello IOR dell’epoca. La Malfa fu il vero artefice del PRI, ebbe un ruolo innegabile nella ricostruzione industriale, impostò con successo la politica dei redditi e, con Enrico Berlinguer, pose come prioritaria la questione morale.
Tuttavia, nell’Italia unita che nasceva a fine secolo XIX e dunque nei decenni post-mazziniani, alla base del Pensiero Repubblicano ci fu un uomo ribelle per natura, controcorrente sempre, che diede vita a movimenti sindacali e battaglie decisive come quella contro la Banca Romana, Napoleone Colajanni. Nacque 170 anni addietro, nell’aprile del 1847, a Castrogiovanni, oggi Enna, dove poi morirà nel 1921. Medico, saggista, Professore di Statistica all’Università di Palermo, fu, giovanissimo, garibaldino catturato dai governativi sull’Aspromonte, internato alla Palmaria e poi a 43 anni deputato alla Camera per ben 10 legislature. Fondò con Giuffrida i Fasci Siciliani, dando luogo al più largo e diffuso organismo di difesa dei contadini del latifondo siciliano e dei minatori di zolfo, quelli di Pasquasia che appunto si trovava nel suo Collegio. Complessivamente il potenziale industriale dell’Isola era poco competitivo e incapace di contrastare la concorrenza dell’industria settentrionale. Questa situazione influiva, chiaramente, sulla condizione degli operai, i quali, più che costituire una moderna classe sociale, costituivano un ceto. Né migliore la situazione dei solfatari, simile a quella dei contadini del latifondo, anch’essi sfruttati, per lo più, da gabellotti mafiosi. I gabellotti delle miniere, al pari di quelli agrari, prendevano in affitto le miniere dai proprietari e sfruttavano il più possibile i “picconieri” e i “carusi“. ( Renda, 1956).
Da questo contesto di decadenza industriale, incapace di garantire alla classe operaia una giusta condizione, nasce il primo movimento organizzato che si è contrapposto allo sfruttamento ed alla mafia che lo gestiva: il movimento dei Fasci Siciliani. Dunque per primo Colajanni, con Giuffrida, intuisce che, per scardinare le incrostazioni mafiose, la chiave di volta è la riforma del latifondo. Pone dunque le basi per quella Riforma Agraria che verrà attuata con la Legge Segni 30 anni dopo la sua morte.
I Primi Fasci Urbani
Il primo Fascio siciliano, in assoluto, fu costituito a Messina, il 18 marzo 1889 raggruppando non i singoli ma le società operaie della città. Esso venne organizzato sull’esempio dei fasci che erano già sorti nell’Italia centro-settentrionale a partire dal 1871. Seguì il Fascio di Catania, fondato il 1° maggio 1891 da Giuseppe De Felice Giuffrida. Il fascio di Catania non reclutava solo “socialisti”, ma permetteva a qualunque lavoratore di iscriversi liberamente alla associazione. Giuffrida preferiva questo sistema perché, al momento erano “delle coscienze da formare, dei lavoratori da conquistare, della propaganda da fare, non dei socialisti da raggruppare” ( Romano, 1959, Renda, 1977).
Con la costituzione del Fascio di Palermo, il 29 giugno 1892, e con la fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani, il 4 agosto, a cui il fascio di Palermo aderì fin dall’inizio, nasce una sorta di Statuto fondativo che avrà piena legittimazione quando avverrà la fusione con la realtà del centro dell’Isola ossia la componente contadina. Una sorta di fusione a freddo delle componenti centrale e periferica, urbana e rurale, che avrebbe potuto condizionare l’intero gioco degli equilibri. I Fasci fino al 1892 mantennero una connotazione urbana ma alcuni avvenimenti dovevano cambiare la loro strategia. Nel 1893 lo scoppio dello scandalo della Banca Romana coinvolge anche la Banca di Sicilia. Le accuse non solo di Napoleone Colajanni ma anche del senatore Notarbartolo di S. Giovanni ai vertici del Banco di Sicilia ed in particolare al suo direttore generale, portarono all’assassinio del Notarbartolo sul treno Termini-Palermo. Vengono dunque sovvertiti alcuni equilibri politici di cui si era fatto garante Francesco Crispi.
Pieno di significato dunque il “Je accuse” di Napoleone Colajanni in Parlamento, il dito puntato per ben 22 minuti contro Crispi ne fece lo Zola italiano.
Un esempio indelebile malgrado siano passati 170 anni dalla sua nascita. Spese tutti i suoi soldi nei viaggi travagliati dell’epoca tra Castrogiovanni e Roma. Mise tutto sé stesso, volto e anima, contro la corruzione impersonata da Bernardo Tanlongo, morì pressocchè dimenticato. Comprese tutta la gravità della Banca Romana e, se fosse vissuto fino ai nostri giorni, avrebbe avuto conferma delle sue intuizioni nei mille scandali-fotocopia che si sono susseguiti, per l’intreccio perverso tra politica e affari.
Oggi dobbiamo ricordarlo come uno dei primi a comprendere la necessità della difesa degli operai e dei loro diritti . Forse ancor prima che in Emilia Romagna nascessero le Cooperative e i primi sindacati. Non importa perché lottò contro i socialisti ritenuti bolscevizzati, fu un “ribelle” illuminato e uno dei pochi Siciliani ad entrare nella Storia. Gli altri appartengono alla cronistoria. Uno dei primi a porre l’anima laica nella politica italiana così come Don Luigi Sturzo, anch’egli siciliano di Caltagirone, vi pose quella cristiana.
Biblio
Renda F. , Il movimento contadino nella società siciliana. Palermo, 1956
Renda F., I fasci siciliani. 1892-1894, Einaudi, Torino, 1977.
Romano S.F., Storia dei fasci siciliani, Laterza, Bari, 1959
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