Scuola
Chi non può o chi non vuole
Chi scrive è un dirigente scolastico, da poco meno di due anni, che crede fermamente nella necessità di un sindacato forte, rappresentativo e capace di svolgere appieno il proprio ruolo di corpo intermedio che gli è affidato dalla storia. La necessità di tutelare i lavoratori e le lavoratrici, spesso parte debole, è una necessità assai evidente, specie quando questa manca, si pensi ad esempio ai lavoratori agricoli immigrati di cui si sente parlare, ma che raramente emergono con continuità e documentazioni giornalistiche all’attenzione diffusa dell’opinione pubblica.
Questo ruolo, tuttavia, deve essere onesto e tenere conto di variabili complessive. Nel mondo dell’agricoltura, ad esempio, ad un osservatore esterno come me, il sindacato sembra latitare (non credo per sue colpe), mentre nel contesto che vivo personalmente, la sua presenza è predominante a tutti i livelli. Dal singolo istituto scolastico, alla direzione degli Uffici Scolastici Territoriali (già provinciali), a quella degli Uffici Scolastici Regionali, fino al Ministero dell’Istruzione. In tutti questi segmenti, peraltro, la presenza di ex sindacalisti è rilevante, è naturale e non è una brutta notizia. È naturale perché chi fa il sindacalista, normalmente studia, partecipa alle riunioni, fa proposte e controproposte e, in questa posizione, coglie opportunità che altri distrattamente ignorano. Non è una brutta notizia perché quando ci sono negoziazioni, la precedente appartenenza può essere facilitatrice nel trovare un’intesa. Beninteso ci sono pericoli, come quello di approfittare di conoscenze per emergere o di cedere senza motivo, se non quello di una precedente appartenenza che occorre ripagare. Ma il mondo non è perfetto e ci muoviamo tra infinite approssimazioni.
Considerato quindi l’alto valore etico del sindacato nella società di un paese evoluto, spiace rilevare quando questi interpreta questo ruolo in termini regressivi, come ad esempio nel caso della gratuità dei tamponi per gli insegnanti che non vogliono vaccinarsi. Si rileva, peraltro, anche una scorrettezza comunicativa piuttosto evidente al lettore non ingenuo, ma proprio per il tentativo di contrabbandare questioni incommentabili con quelle legittime, particolarmente vergognosa.
In un comunicato della FLC CGIL, si legge:
«Alla luce delle dichiarazioni del Ministro Bianchi, al quale esprimiamo solidarietà per gli attacchi ricevuti, circa i contenuti del protocollo firmato ieri notte dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali sul quale anche ANP aveva espresso condivisione salvo cambiare posizione la mattina dopo, vorrei evidenziare che non è ammissibile per nessuna controparte in nessuna condizione interpretare unilateralmente un accordo. – Lo afferma Francesco Sinopoli, segretario Flc Cgil – Il testo – sostiene Sinopoli – parla chiaramente di risorse disponibili anche per sostenere il costo dei tamponi anche se in via indiretta attraverso convenzioni con asl o altre strutture. Certamente la norma dovrà essere tradotta in soluzione pratiche. Esistono per questo sedi opportune, ma sono le parti a condividere le modalità, non una parte sola. Ribadiamo poi che tutta la polemica in parte orchestrata per rappresentare il sindacato come addirittura contrario ai vaccini è strumentale e inaccettabile. È del tutto chiaro- rileva il segretario di Flc Cgil – che la scelta del Green pass come abbiamo detto fin da subito, avrebbe dovuto comportare anche la gratuità dei tamponi che sono nei fatti una ‘opzione obbligatoria’ per chi non può o non vuole vaccinarsi. Qui non c’entra nulla essere no vax ma si tratta di una ovvia questione collegata all’assurdità di far ricadere sui lavoratori, peraltro un numero esiguo e ben al di sotto del 15% della categoria, i costi delle mancate scelte del governo che avrebbe potuto introdurre da subito l’obbligo vaccinale. Non lo ha fatto perché la maggioranza che lo regge sarebbe implosa. Bisogna dire la verità. Ridurre questa complessa vicenda e tutto il protocollo a quello che leggiamo su molti media tra favorevoli e contrari al green pass nei luoghi di lavori – secondo Sinopoli- è funzionale ad occultare queste mancanza di chiarezza politica. Per altro, lo ribadiamo, ci siamo impegnati affinché il governo rendesse disponibili più investimenti per la scuola in presenza che purtroppo non si realizzerà solo con la vaccinazione del personale. Questo tuttavia, pur essendo acquisito nel protocollo, è scomparso dalle cronache. Facciamo il nostro lavoro con serietà e nell’interesse della scuola e non ci facciamo intimidire né condizionare da nessuna campagna denigratoria».
Giacché ho brillantemente superato la seconda elementare (successo che, nel mio caso, è stato sancito da un esame), sono in grado di fare le moltiplicazioni. Supponiamo che il personale della scuola assommi a un milione di persone (sono di più, quindi la stima che verrà sarà per difetto). Abbiamo quindi 150.000 persone non vaccinate. Cosa costerebbe fare il vaccino per queste persone? Semplicemente 150.000×20 euro (i prezzi sono varii, ma qui si valutano gli ordini di grandezza). Quindi da un lato abbiamo una spesa di 600.000 euro e persone che, con il loro stesso corpo, svolgono una funzione di barriera alla pandemia. Dall’altro abbiamo la spesa dei tamponi. Considerato il fatto che l’anno scolastico è di 200 giorni, occorrono 100 tamponi a persona. Immaginiamo che costino 8 euro (il prezzo calmierato citato in qualche documento ufficiale), allora abbiamo 150.000 x 100 x 8 euro = 120.000.000 cioè centoventi milioni di euro.
Seguire la strategia di Sinopoli costa quindi: centoventunomilioniequattrocentomila euro.
Queste persone, peraltro, non svolgerebbero un ruolo attivo nel contenimento della pandemia, giacché il tampone meramente rileva uno stato temporaneo, infatti vale solo due giorni, e persone sane possono infettarsi e questo succede molto più facilmente con le non vaccinate. Abbiamo quindi da aggiungere costi sanitari giacché anche se la sanità pubblica è gratuita, questa è finanziata dalle tasse di ciascuno e, di conseguenza, va finanziata.
La scorrettezza più grave che si legge nel comunicato è quella di accomunare “chi non può e chi non vuole” vaccinarsi. È evidente che chi abbia malattie e fragilità che sconsiglino il vaccino, non può essere caricato di costi, ma ben diversa è la situazione di chi si rifiuti di vaccinarsi e gli oneri conseguenti vanno senz’altro accreditati alla responsabilità di ciascuno.
Occorre assolutamente rilevare il fatto che spendere centoventi milioni di euro in questo modo, sottraendo queste risorse a quelle stanziate, che stiamo spendendo per altre linee di intervento, ad esempio quella dei purificatori d’aria (dove possibile) rappresenta un grave danno alla sostanza della sicurezza che si vuole perseguire. Aggiungere invece centoventi milioni di euro al carico del debito dello Stato, significa invece avere in spregio il futuro delle prossime generazioni.
C’è da sperare che la sollevazione che è emersa di fronte a questa situazione e che ha costretto Sinopoli a questo “comunicato difensivo” produca due effetti. Il primo è quello di restituire senso alla questione, rientrando entro politiche accettabili e non così marcatamente vergognose. La seconda è che l’attenzione dell’opinione pubblica sia più continua giacché, purtroppo, il ruolo del sindacato sempre più spesso si è trasformato in quello di “ricorsificio” e sostegno al precariato scolastico in termini di formazione (a pagamento) e costruzione di accordi che si trasformano in nuove occasioni di ricorso e formazione a pagamento. Nel merito della “politica sindacale”, questa è orientata alla difesa dello status quo entro il quale emergono chiaramente i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, ma soccombe clamorosamente il diritto all’istruzione delle studentesse e degli studenti, delle alunne e degli alunni, delle bambine e dei bambini italiani.
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