Sindacati
Camusso, la smetta, o Renzi ce lo teniamo davvero per vent’anni
«Lo sciopero generale è lo sciopero generale, se non fa male, che sciopero generale è?» Chi si intende di sindacato, chi conosca un minimo le grammatiche dell’azione, risponde così all’obiezione sull’opportunità di fissare uno sciopero generale – il primo da tempo immemore – venerdì 5 dicembre. Un giorno in cui fa molto male, perché blocca i servizi pubblici, rende difficile o impossibile spostarsi, impedisce insomma di gestire in maniera normale l’inizio di un fine settimana lungo. La spiegazione “vera”, dunque, sarebbe diversa da quella ufficiale fornita dal sindacato di Susanna Camusso che, nel chiedere convergenza a Cisl e Uil, annuncia di aver scelto per il 5 dicembre (invece del 12, di cui si parlava fino a ieri) a sostegno della mobilitazione già annunciata, per quella data, dai lavoratori del pubblico impiego.
Poi – come hanno prontamente sottolineato le cinguettanti truppe renziane – c’è il fine settimana: e infine lunedì 8, festa nazionale, con tanto di ponte incorporato. “E il ponte è servito”. Un ponte che inizia con più difficoltà perché, appunto, al suo inizio c’è uno sciopero generale. Quindi, potenzialmente, niente treni, niente scuole, niente trasporti pubblici in città, eccetera eccetera.
Il punto qui non è quello di seguire, sostenere o smontare l’attacco (efficace? volgare? entrambe le cose? decidete voi) del Minculpop 2.0 renziano nei confronti di uno sciopero generale che è, naturalmente, strumento di lotta e rivendicazione del tutto legittimo. Il punto, piuttosto, è un’analisi spietata del rapporto che lega il sindacato italiano oggi alla realtà sociale e politica in cui viviamo. La sensazione è che, dopo la manifestazione del 25 ottobre, quella piazza piena, nel piccolo (ormai) popolo dei lavoratori iscritti alla Cgil abbia già assunto tinte mitologiche, sia un ricordo da tenere al caldo, da cullare con entusiasmo e fremito mentre si pensa a un futuro di nuove mobilitazioni. Come appunto quella del prossimo 5 dicembre. Come se quella piazza – pur piena, non discutiamo – rappresentasse davvero il mondo del lavoro italiano oggi, tutte le sue sfumature, tutte le sue contraddizioni, o almeno uno spettro ampio di questa complicata tavolozza cromatica.
La verità, purtroppo o per fortuna, è diversa. La Cgil e i sindacati hanno perso il treno di un rapporto vero con il lavoro parecchio tempo fa, e hanno lasciato per strada pezzi importanti, decisivi e bisognosi di società. Un’occhiata ai dati del tesseramento del 2013 dice molto: su 5,6 milioni autocertificati, quasi 3 sono pensionati, mentre i lavoratori atipici sono meno di 70 mila. È anche per questo, probabilmente, che mentre proprio sui temi del lavoro Matteo Renzi sembra in calo di popolarità, o comunque è su questi temi che soffre di più la sua macchina di grande comunicatore, non è certo dal sindacato che questo vuoto di rappresentanza può essere riempito.
È per questo, in fondo, che uno sciopero generale in una data così ambigua probabilmente funziona bene dentro alle mura di un sindacato che ha poca percezione della realtà, soprattutto scarsa percezione della propria immagine nella società che dovrebbe rappresentare, mentre là fuori, nel mondo, l’umore somiglierà più spesso a quelli dei tweet renziani, che ancora una volta trovano nel sindacato Novecentesco uno dei migliori alleati della propria permanente strategia di distrazione rispetto a un’azione di governo parecchio confusa. Sarà difficile, per i sindacati, schivare l’onda di perplessità e fastidi generati nelle famiglie che lavorare devono, se no si perde il lavoro, che i figli all’asilo e a scuola faceva comodo poterli portare, e invece speriamo che ci siano i nonni. Che poi, per definizione, i nonni son pensionati. E se anche loro aderiscono allo sciopero e non fanno nemmeno il mestiere di nonno, questo 5 dicembre sarà davvero un casino.
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