Sindacati
110 anni di Cgil: un compleanno che parla al futuro
La Cgil compie 110 anni. Li festeggerà in piazza del Popolo a Roma giovedì 29 settembre a partire dalle 17.00 in una grande manifestazione/ festa di piazza, come nel suo stile migliore.
Questa importante ricorrenza cade in uno dei momenti più difficili della storia del sindacato italiano, in una fase storica in cui molti si chiedono se servano ancora nel 2016 sistemi organizzati di rappresentanza dei lavoratori, soprattutto se questi ultimi appaiono sempre più disabitati dai lavoratori.
La percezione diffusa è infatti che chi lavora sia profondamente cambiato, mentre il sindacato o come in modo impreciso e semplificatorio si tende a definirlo al plurale “i sindacati”, sia/siano rimasto/i gli stessi e soprattutto stiano altrove rispetto alle reali esigenze di un mondo del lavoro e di una società sempre più frammentati, individualistici, a rischio di solitudini immense.
Sgomberiamo subito il campo da ogni equivoco: il movimento sindacale è stato elemento essenziale della faticosa costruzione democratica del nostro paese.
La sua funzione è e deve continuare ad essere decisiva nel connettere un tessuto sociale che la recente crisi economica ha contribuito a ferire e in alcuni casi a dilaniare. La sua quotidiana azione di riequilibrio fra diversi e opposti interessi è un baluardo insostituibile verso le derive di un capitalismo spurio, liquido e per questo molto pericoloso, perché pervasivo della mentalità prima ancora che dei processi economici.
Per la Cgil 110 anni di vita sono indubbiamente “tanti” ma sta unicamente in capo a lei non farli diventare “troppi”.
Un genetliaco rappresenta una occasione non solo di festeggiamenti ma anche di bilanci, riflessioni e di buoni propositi per il futuro. Lo stesso deve accadere per la più grande organizzazione di rappresentanza italiana.
Renzi ha picchiato duro contro la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, utilizzata a più riprese come “arma di distrazione di massa”, quando serviva parlare d’altro, arrivando a tacciarla di essere la prima responsabile dell’esistenza del precariato in Italia.
Sono stati attacchi spesso meschini, tra l’altro errati non solo nella forma ma anche nei contenuti (il jobsAct che da Corso d’Italia è stato fieramente osteggiato, si sta rilevando per quello che è, un flop dannoso, una bufala crudele sulla pelle dei giovani innanzitutto, quegli stessi giovani cui Renzi si rivolgeva per aizzarli contro il sindacato reo di averli abbandonati al loro destino), ma anche utili a incentivare una riflessione interna.
L’esigenza di cambiamento è ormai tema masticato, a volte ancora a fatica, a tutti i livelli di questa organizzazione: il vero problema è come cambiare e per diventare “cosa”.
La Cgil è una organizzazione sentita all’esterno come attempata ed in effetti l’età media dei suoi dirigenti è assai alta, ma il ringiovanimento di cui si percepisce la necessità non è solo anagrafico, ma soprattutto di idee, linguaggi, strumenti.
Le idee nuove non debbono fare paura solo perché apparentemente distoniche rispetto ad una tradizione tra l’altro sempre meno rassicurante: se nascono costruttive e non per esercitare una sterile critica potenziano e ridisegnano i confini dello stare insieme in una organizzazione, non ne minacciano il senso profondo, lo rinvigoriscono.
Il rinnovamento generazionale va perseguito con determinazione, ma un rinnovamento meramente anagrafico, senza visione e un pizzico di visionarietà sarebbe un mero lifting incapace di sgessare e finirebbe per ridursi ad un atto esiziale di autoconservazione.
I cambiamenti possono essere una scelta consapevole e allora richiedono coraggio; se sono forzati e poco convinti spesso si riducono a gattopardismi inutili e soprattutto poco credibili.
Per rappresentare un mondo del lavoro sfiduciato, diffidente ed ontologicamente votato all’individualismo servono scelte importante financo dolorose; bisogna cioè avere il coraggio di assumere paradigmi di lettura nuovi che non siano solo variazioni sul tema di quelli su cui si è retta fino ad ora la rappresentanza sindacale ossia quello metalmeccanico e quello del pubblico impiego. Bisogna scegliere di abbandonare in alcuni casi la rappresentanza “a specchio” ossia la mera difesa dei diritti esistenti per pochi, per costruire, quasi inventare dirti nuovi per tanti.
È necessario investire nelle nuove forme di comunicazione di massa, conoscerla e finalmente piegarla a nobili funzioni come quella di informare lavoratori che in fabbrica non si trovano ma esistono e necessitano di unirsi in dimensioni spazio temporali diverse da quelle tradizionali per avere una coscienza collettiva.
Settori come la logistica, la grande distribuzione, il lavoro stagionale, quello autonomo, chiedono una attenzione nuova perché è in questi luoghi materiali e immateriali che si scatena la nuova feroce avanzata del capitale sul lavoro, un capitale finanziarizzato, asettico ma più crudele del passato, che sa giocare sulla debolezza di lavoratori che nascono deboli e deboli e soli arrivano a morire durante un picchetto o per il mancato rispetto delle più basilari norme sulla sicurezza.
Da qui bisogna ripartire o qui bisogna tornare per riacquistare quel consenso e quella autorevolezza di cui il paese, prima ancora del sindacato, ha bisogno.
Il 29 settembre la Cgil consegnerà al Parlamento le firme raccolte a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare denominata Carta Universale dei Diritti.
In primavera con ogni probabilità si voterà sui referendum per cui la stessa Confederazione ha raccolto più di un milione di firme e che riguarda l’abolizione dei voucher, il ripristino dell’articolo 18, la responsabilità solidale e (la legalità) negli appalti.
La CGIL si candida cioè ad essere protagonista di una operazione politica di primo ordine che mira non solo a riscrivere tutte le leggi che governano il mercato del lavoro ma a veicolare un modello di società incardinato su valori quali l’equità, la solidarietà e l’inclusione.
Un obbiettivo così alto e nobile è anche molto rischioso.
Per traguardarlo bisogna che esso viva nel cuore della società e parli ai singoli cittadini di questo paese con un linguaggio semplice e con un entusiasmo che riscopra il significato della militanza troppo spesso oggi relegato alle forme più o meno becere di populismo con cui una buona fetta della politica nostrana vivacchia.
Non sarà facile superare il fuoco di fila di chi proverà in tutti i modi (e saranno tanti e di ogni colore) a far naufragare questo progetto e con esso buona parte del futuro stesso delle prospettive di rilancio della rappresentanza sociale in Italia.
Non sarà facile ma nemmeno impossibile se si pensa al vuoto di valori e di speranza che sta sfigurando la nostra quotidianità, un vuoto che si vuole pervicacemente ignorare ma che una grande organizzazione di massa, votata alla difesa degli ultimi, degli invisibili vecchi e nuovi, non può non cercare di colmare.
Buon Compleanno CGIL, il futuro di questo paese dipende ancora anche da te.
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