Economia e Lavoro

Report, Moncler e l’esclusiva della «schiena dritta»

10 Novembre 2014

In questa Italia il tema della «schiena dritta» si presterebbe a interpretazioni e sfumature, ma chi se ne ritiene detentore e autentico interprete generalmente non sente ragioni e considera gli altri, tutti gli altri, variamente immeritevoli di rimanere in rapporto continuativo con l’autorevole fondatore della moralità lombare. Quando l’esercizio della schiena dritta viene espresso pubblicamente, uscendo quindi dalla propria condizione interiore e pudica e abbatte così i confini della discrezione personale, ciò travalica in modo netto il territorio del semplice e buon giornalismo, assumendo i tratti distintivi della rivendicazione etica. Così tracciando una linea di demarcazione senza più speranza: di qua i buoni, di là i cattivi.

Fa una certa impressione, quindi, lo scambio di mail piuttosto infuocate tra Sabrina Giannini, la scrupolosa giornalista di Report, autrice della stranota puntata sulle piume Moncler, e un cronista di Libero, Nicolò Petrali, che l’aveva interpellata sulla vicenda. Mail che la Giannini considerava private e che invece il collega ha reputato meritevoli di pubblicazione. (Su questo aspetto ci sono visioni diverse, per esempio Michele Serra difende il diritto a considerare la mail un elemento privato e personale e, in via paradossale, conclude che se devi veramente insultare qualcuno, ciò merita un linguaggio meno banale e scritto male di una mail).

Ma, nel caso nostro, non è questo ciò che vogliamo evidenziare. Se avrete il buon cuore di leggere le mail tra la Giannini e il cronista di Libero, noterete che alla fine dei suoi scritti, la giornalista di Report conclude sempre nello stesso modo, rivolgendo al Petrali una sorta di espressione-invettiva: “Schiena dritta, mi raccomando” nella prima, “ Schiena dritta, Nicolò”, nella seconda. Anche a un osservatore distratto, apparirà chiara la lezioncina che la Giannini intende impartire al suo “collega”, dividendo il mondo tra chi la schiena dritta la ha – lei – e chi invece ne è sprovvisto – lui.

La domanda che si porrebbe è abbastanza semplice: chi sente di avere la schiena dritta è necessario anche che lo esibisca, non ne fanno già ampia testimonianza l’impegno del lavoro, lo scrupolo, i rapporti chiari trasparenti con tutti gli interlocutori incontrati sulla propria strada?

Ogni epoca porta con sè un’asticella etica, che gli eventi della storia si incaricano di porre a una certa altezza. La nostra epoca ha vissuto sui vent’anni berlusconiani, un periodo piuttosto intricato per definire la misura esatta della moralità. Prendiamola alla lontana, ma poi neanche tanto: lo sapete, vero, che in questi vent’anni c’è chi ha considerato amorale pubblicare per Mondadori, casa editrice notoriamente di proprietà del Cavaliere? Erano i primi anni berlusconiani e nessuno perdonava nulla a nessuno, e anche un simile atteggiamento, che oggi potremmo considerare alla stregua di uno scempio del pensiero, in quel momento da molti era considerato una questione morale insormontabile.

Nel nostro piccolo, nel piccolo dei giornali, fonte di dibattito era il noto “dilemma”: lavoreresti mai in un giornale di proprietà di Silvio Berlusconi? Varie le risposte, in buona misura improntate alla generale irreprensibilità morale, salvo poi finire tra le braccia del Caimano per motivi notoriamente umanitari (Santoro). Ma se finalmente un Paese ha potuto discutere e dividersi sul valore da dare alle questioni etiche, dobbiamo proprio a Silvio Berlusconi averne definito la labilità dei confini, soprattutto quando il terreno di discussione è “sceso” sino agli inferi della sessualità e del vizio, quei luoghi oscuri che hanno portato l’uomo e il politico a non considerare più le differenze dei ruoli. Qui l’Italia si è parcellizzata al punto tale da frantumare l’atomo della morale in più e più particelle. Salvo poi considerare come fragile approdo etico le sentenze dei Tribunali.

Oggi che Berlusconi è giudiziosamente fidanzato e non può più nuocere alla nostra morale, forse sarà utile riprendere la via maestra del decoro e della dignità personale. Che passa sì da molte e molte schiene dritte, le quali non hanno bisogno di autocertificazioni, ma solo del fragoroso silenzio del proprio lavoro.

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