Professioni
Lo stato con i professionisti fa come Weinstein, e i giudici gli danno ragione
In questi giorni il mondo parla di come il produttore americano Harvey Weinstein ha sfruttato la sua posizione dominante nel mondo hollywoodiano, e non solo, per ottenere favori sessuali da giovani donne.
Da decenni questa sua pratica risultava essere abituale. Accettata e conosciuta da chi gli stava vicino, subita dalle ragazze. Poi un giorno, di botto si può dire, il 5 ottobre 2017 tutto è stato scoperchiato dal New York Times. Da li decine di donne, famose e meno famose, hanno cominciato a non avere più paura dell’orco e a raccontare le loro esperienze. Chi era riuscita ad evitare l’approfondimento, con fughe più o meno frettolose, chi non c’era riuscita e si era sottomessa – per mille ragioni che non conosco ma sopratutto perché “giudico” il comportamento di lui, e non il loro – ad uno dei produttori cinematografici più potenti di Hollywood e quindi del mondo.
Due giorni prima dell’articolo del New York Times, manco a farlo apposta, in Italia era successa una cosa che, a mio modesto parere, è molto simile all’affaire Weinstein, solo che i protagonisti sono, o appaiono, del tutto diversi. A perpetrare l’ingiustizia, qui, non è un produttore ma semplicemente lo Stato Italiano nei confronti dei liberi professionisti.
La sentenza del Consiglio di Stato n° 4614 del 3 ottobre 2017 infatti, ribaltando un dispositivo di primo grado del TAR della Calabria, dichiarava legittimo un bando comunale del comune di Catanzaro il quale prevedeva per la redazione del Piano Strutturale e relativo Regolamento Edilizio Urbanistico (R.E.U) un importo a base di gara di 1 euro e un rimborso spese non superiore a 250 mila euro. Per dirla facile, il compenso per il lavoro non te lo riconosco, ti pago solo, eventualmente, le spese. E, sempre per facilitare il concetto di fondo alla sentenza del Consiglio di Stato, lavorare gratis per la Pubblica Amministrazione sarebbe portatore di alcuni vantaggi per il Professionista (quali, mi chiedo io) che compenserebbero il mancato guadagno relativo al compenso per il lavoro svolto.
Redigere un Piano Strutturale e il relativo Regolamento, peraltro, comporta almeno qualche mese di lavoro, se non qualche anno: tempi parecchio più dilatati di quelli di una prestazione sessuale.
Naturalmente sono sorte anche in questo caso polemiche, e tutti gli enti competenti si sono attivati per poter scongiurare il pericolo che si consolidi la prassi – la regola, addirittura – secondo cui si deve prestare la propria opera gratis allo Stato, cioè il minimo del minimo ribasso. Non essere equamente ricompensati per il lavoro svolto per un bene che dovrebbe essere pubblico.
Ora, in un paese – l’Italia – dove il primo articolo della Costituzione cita il lavoro come elemento fondamentale per il benessere dei suoi cittadini, ma dove già migliaia di giovani, stagisti, neo laureati, professionisti con il timbro, vengono sfruttati a gratis da migliaia di Weinstein per le più disparate mansioni, fare renders, fare bilanci o seguire un processo in un’aula di tribunale, con l’illusione di imparare, può la Pubblica Amministrazione, cioè lo Stato, che quei lavoratori dovrebbe invece difendere, sfruttare in questo modo i professionisti, illudendoli, al massimo, con la promessa di una parte in un film?
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