Parlamento

I furbetti delle ambasciate, salvati da un peones del Pd

13 Ottobre 2016

Cene a lume di candela, affitti di case destinate ad amanti e seconde mogli, manutenzioni di ogni tipo, mediazioni immobiliari, servizi fotografici, meeting in alberghi lussuosi, noleggi di yacht, speciali su giornali e in tv, notti in alberghi 5 stelle della Capitale, attività di lobby ad alto livello. La lista degli ‘oggetti’ non pagati da ambasciatori e consoli esteri è lunga, vale centinaia di migliaia di euro ogni anno e produce un inimmaginabile contenzioso stragiudiziale e nelle aule di tribunale. Che in tantissimi casi va avanti per anni senza produrre alcuno sbocco positivo.
Il Ministero degli Affari Esteri (MAE), nel proprio organigramma, ha addirittura Consigliere diplomatico che media tra le sedi diplomatiche debitrici ed i creditori. C’è pure un dossier che fotografa con puntualità il fenomeno dei mancati pagamenti da parte delle rappresentanze estere in Italia in tutti quei casi – e sono la minore parte – in cui il Ministero retto da Paolo Gentiloni viene chiamato in causa. Vista le implicazioni sui rapporti tra l’Italia e Paesi di primissimo piano accusati di essere inadempienti o morosi, sulla materia vige però una sorta di segreto di Stato. E’ unicamente noto, come si ricava da una statistica presente in un rapporto risalente al 2014, che nel solo 2013 si sarebbero generate circa 70 nuove liti per prestazioni lavorative e professionali mai pagate.

Saqer Alraisi

I casi sono tantissimi. C’è Mario Rossi (nome di fantasia, ndr) che da un anno e mezzo attende una cifra attorno a 50mila euro dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti, dopo aver svolto per essa attività di pubbliche relazioni ad altissimi livelli. Che hanno fruttato addirittura un incontro tra Pietro Grasso, seconda carica dello Stato, e Saqer Alraisi, ambasciatore finito nell’occhio del ciclone per altre vicende e richiamato recentemente in patria.

A nulla, per ora, sono valsi i tentativi di ottenere quanto pattuito. E non hanno prodotto alcun effetto una serie di ‘note verbali‘ (questo il nome della corrispondenza in diplomazia, ndr), inviate dal MAE per sollecitare il pagamento del compenso. A dir poco incredibile è il caso di John Phillips, ex giornalista del Times e attuale direttore della rivista Italian Insider. Nel settembre del 2014 Phillips concorda con Ali Khaled Al Jaber Al Sabah, ambasciatore del Kuwait, la produzione di un report dedicato al 50° delle relazioni tra il Kuwait stesso e l’Italia. Il materiale, con l’impiego di almeno tre mesi di lavoro, viene preparato e consegnato in bozza ad uno stretto collaboratore del diplomatico. Segue l’invio della fattura d’acconto, che non verrà però mai pagata. Al mancato versamento del corrispettivo si associa poi l’interruzione di ogni relazione tra l’ambasciata e Phillips. Che decide dunque di affidarsi ad uno studio legale nell’intento di recuperare almeno 10,000 euro. Di cui Phillips, ad oggi, non ha comunque ricevuto neppure una piccola anticipazione.

Poco più di 5,000 euro sono invece quelli che cerca di ottenere da anni un fotoreporter romano dall’ambasciata della Repubblica dell’Angola dopo aver effettuato per essa una serie di lavori fotografici commissionati e consegnati nel corso degli anni 2011 e 2012. Sono ignote le motivazioni per le quali l’ambasciata si è resa inadempiente agli impegni assunti con il fotoreporter ed a nulla, fino ad ora, sono serviti i tentativi esperiti dal professionista, anche con l’ausilio di un legale, per essere pagato: diverse email sono rimaste senza risposte, le raccomandate spedite non hanno generato alcuna reazione, così come una serie di diffide e messe in mora dell’Ambasciata. Rimarrebbe, come extrema ratio, la carta della causa giudiziaria. Che però, oltre all’esito incerto, avrebbe dei costi nettamente superiori all’oggetto del contendere.

Oltre al danno per il fatto di non aver ricevuto le proprie spettanze, nei mesi scorsi è poi arrivata una vera e propria beffa. Che di fatto mette definitivamente al riparo i ‘furbetti delle ambasciate’ dalle legittime pretese dei propri creditori. Perché nell’ambito della conversione in legge di un decreto firmato da Matteo Renzi,(“misure urgenti di de-giurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile“, il titolo della norma, ndr), Giuseppe Luigi Salvatore Cucca, uno dei tanti peones del Pd al Senato, è stato artefice di un comma, che di fatto rende impignorabili i conti correnti delle sedi diplomatiche estere anche in presenza di una condanna giudiziaria.

Giuseppe Cucca

Così recita il comma incriminato, denominato ‘Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere’: «Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullita’ rilevabile anche d’ufficio, le somme a disposizione dei soggetti di cui all’articolo 21, comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 5, depositate su conti correnti bancari o postali, in relazione ai quali il capo della rappresentanza, del posto consolare o il direttore, comunque denominato, dell’organizzazione internazionale in Italia, con atto preventivamente comunicato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e all’impresa autorizzata all’esercizio dell’attivita’ bancaria presso cui le medesime somme sono depositate, ha dichiarato che il conto contiene esclusivamente somme destinate all’espletamento delle funzioni dei soggetti di cui al presente comma».

Pare che subito dopo il varo definitivo della norma ci sia stata una letterale corsa di ambasciate e consolati a produrre al Ministero la dichiarazione che le somme depositate in banca sono destinate allo svolgimento delle funzioni di rappresentanza diplomatica. Rendendo di fatto i conti correnti delle rappresentanze singolarmente extra territoriali.

@albcrepaldi

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