Previdenza
Tasse più basse a chi è più giovane: finalmente una proposta di sinistra
Il consigliere economico di Renzi, Tommaso Nannicini in una intervista al quotidiano Messaggero ha proposto di ridurre le tasse sulle nuove generazioni: più sei giovane, meno tasse paghi. La ragione, spiega Nannicini, è la necessità di rimuovere alcune storture nel rapporto tra generazioni e favorire l’occupazione giovanile.
La proposta è di portata rivoluzionaria e già fa molto discutere. Ma quali sarebbero le storture di cui parla Nannicini che giustificherebbero una differenziazione per età del peso fiscale?
Innanzitutto c’è l’irrisolto tema pensionistico. I più giovani stanno pagando contributi sul proprio reddito pari a circa il doppio o il triplo di quelli pagati dai loro genitori e nonni che godevano di aliquote assai più ridotte delle attuali. A fronte di tali versamenti, in ragione del passaggio da sistema retributivo a contributivo, le nuove generazioni riceveranno un assegno che potrà arrivare ad essere pari alla metà di quello che i pensionati di oggi ricevono ogni mese. In più, come se non bastasse, i giovani potranno andare in pensione, se va bene, dai 15 (quindici) ai 20 (venti!) anni dopo rispetto a quando si sono potuti ritirare gli anziani di oggi. Il triplo dei contributi, per un assegno dimezzato preso 20 anni dopo. Questa iniquità spaventosa è garantita e intoccabile grazie a sentenze scandalose della Corte Costituzionale che hanno riconosciuto questo stato di cose come “diritto acquisito” non modificabile.
Ma non finisce qui. E’ cosa nota che il carico fiscale particolarmente elevato è dovuto in buona parte al rilevante peso degli interessi sull’enorme debito pubblico che le passate generazioni hanno accumulato per finanziare la propria spesa corrente (prebende varie, baby pensioni, etc.). Questi interessi e questo debito dovrà essere rimborsato dalle generazioni future e pesa come un macigno sul futuro dei giovani.
E ancora, insieme a un Paese che non cresce e che registra tassi di disoccupazione giovanile vicini al 50%, le nuove generazioni hanno ereditato un sistema di regole ad hoc che ampliano il divario di diritti e protezioni che esiste con le generazioni più anziane. Le regole del Jobs Act, ad esempio, scaricano sui neoassunti tutta la flessibilità di cui il Paese ha bisogno lasciandoli privi delle protezioni e delle tutele di cui le precedenti generazioni hanno fin qui goduto e continueranno a godere fino alla fine del loro percorso lavorativo.
Per non parlare infine dell’assottigliamento del welfare di cui i giovani non potranno godere come in passato (cassa integrazione, sanità, sussidi) e del fatto che, insieme alle pensioni, l’altro grande capitolo della spesa pubblica (gli stipendi pubblici) è rivolto principalmente alle generazioni più anziane visto il blocco del turn over e delle assunzioni della PA che consente solo a pochi fortunati di accedere all’impiego pubblico.
Insomma, siamo in un Paese che spende (e ha speso) la gran parte delle proprie risorse pubbliche (comprese quelle che non aveva) a favore delle generazioni attualmente più vecchie e che ha, in questo modo, ucciso ogni speranza di futuro, occupazione e prospettiva ai giovani.
Il disagio delle nuove generazioni è tutto qui: niente lavoro, poche certezze, pochi soldi, pochi consumi, pochi progetti, nessun figlio. E’ il ritratto di una nazione che si sta suicidando, sperperando le proprie risorse su chi è poco produttivo e su chi ha già avuto tanto.
L’idea di riequilibrare questo scempio alleggerendo il carico fiscale sulla generazione perduta dei millenials è quindi rivoluzionaria in un Paese in cui anche le forze sindacali rappresentano ormai quasi solo i più anziani (la maggioranza degli iscritti alla CGIL, maggior sindacato italiano, sono pensionati).
Le forze della conservazione già si sollevano sostenendo l’incostituzionalità di un sistema a doppia progressività, per reddito e per età. La critica è sinuosa ma non coglie nel segno: si tratta di un incentivo pienamente legittimo che è offerto a una fascia della popolazione che, come tale, è ampiamente svantaggiata. D’altra parte non sarebbe il primo caso di fiscalità di vantaggio a favore dei giovani: le partite Iva sotto i 35 anni già godono di una aliquota di favore e, in questo caso, non è stata ravvisata alcuna incostituzionalità.
La verità è che il sistema che si regge sui nonni che mantengono i nipoti che a 30-40 anni non sono in grado di mantenersi da soli in un ricatto economico, morale e sociale inaccettabile, piace a molti. Piace soprattutto a quegli anziani che non mancano mai di partecipare al voto e di far sentire la loro voce.
Speriamo che di fronte a questa novità anche i giovani capiscano che è il momento di alzarsi dal divano, mobilitarsi e difendere i propri diritti, i propri interessi e il futuro di un Paese che senza i giovani non ha nessuna speranza.
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