Previdenza

«Previdenza completare: ciò che fa davvero la differenza è la consulenza»

27 Settembre 2018

Nell’Unione Europea solo il 27% dei cittadini europei tra 25 e 59 anni dispone di un prodotto finanziario con finalità di lungo termine. In Italia il dato sulla penetrazione della previdenza complementare è fermo invece al 21% e si confronta 30% della Francia e il 90% della Germania. La tendenza all’invecchiamento della popolazione interessa tutta Europa ed è destinata ad avere un impatto significativo sulle finanze pubbliche e sui sistemi pensionistici obbligatori, rendendo sempre più evidente la necessità di avere integrazioni previdenziali di secondo e terzo pilastro.

In questo contesto è partita l’anno scorso un progetto volto a introdurre il primo prodotto pensionistico individuale pan-europeo (Pepp, Pan-european personal pension product). «È un piano ambizioso che si propone di favorire lo sviluppo della previdenza complementare nel continente oltre i livelli forniti dai fondi pensione occupazionali, così da ridurre il gap pensionistico dei cittadini europei per i prossimi decenni», scrive l’Ania, l’associazione italiana delle imprese assicuratrici in un recente paper, presentato al convegno sui “Pepp”, che si è svolto lo scorso 19 settembre a Milano.

Obiettivo dei Pepp – progetto su cui si confrontano le proposte Commissione Europea, Parlamento Ue e Consiglio Europeo – è da un lato di incentivare il risparmio previdenziale privato e dall’altro di armonizzare le diverse normative nazionali che tutti concordano nel definire “una babele”. Molti sono ancora i nodi da sciogliere, anche dal punto di vista della portabilità dei prodotti da un paese all’altro. Dalle attuali proposte, infatti, emerge il profilo di un prodotto pensionistico che attualmente non fornisce obbligatoriamente una pensione (ovvero una rendita vitalizia) e di uno strumento che si qualifica come paneuropeo, ma verrà declinato in modo diverso in ogni Paese dell’Unione, con modalità troppo complicate per assicurarne la portabilità.

Punto condiviso da molti è che «il successo dei piani pensionistici dipende, quasi sempre, dall’intensità degli incentivi fiscali che, soprattutto nella fase di accumulo, lo Stato accorda ai propri cittadini per favorire il risparmio previdenziale di lungo periodo». Al tempo stesso si teme che le diversità di trattamento fiscale dei Pepp fra i vari Paesi limitino lo sviluppo di questi nuovi strumenti.

Ma proprio nel corso del convegno, all‘interno di una tavola rotonda fra gli operatori del settore, Andrea Lesca, responsabile Relazioni e Reti Welfare aziendale di Intesa Sanpaolo Vita è andato un po’ controcorrente rispetto alla vulgata prevalente che vede negli incentivi fiscali un “provvidenziale propellente”. «Non credo le differenze di fiscalità tra i vari Paesi Europei possano davvero incidere sulla crescita della previdenza integrativa – afferma Lesca –. La fiscalità è una misura necessaria, ma non sufficiente a sostenere un forte sviluppo della previdenza complementare. Anche dove sono presenti fortissimi incentivi fiscali sia sui contributi, sui rendimenti e sulle prestazioni, non ci troviamo di fronte a  un’adesione totalitaria come ci si potrebbe aspettare. Gli incentivi fiscali è giusto che ci siano, ma è illusorio pensare che da soli creino la coda allo sportello».

In Italia gli iscritti a forme di previdenza complementare sono 8 milioni di iscritti. All’appello ne mancano ben 18 milioni. Forse servirebbe una maggiore consapevolezza. «Allo stesso modo – aggiunge il manager – le azioni di comunicazione e trasparenza, quali la busta arancione, certamente favoriscono una sensibilizzazione sulla domanda, ma da sole non bastano a innescare un aumento delle adesioni alla previdenza complementare».

Nell’esperienza di Intesa Sanpaolo Vita, che con la sua offerta di previdenza ha raggiunto 514mila iscritti e un patrimonio gestito di 4 miliardi di euro, il vero motore dello sviluppo sta altrove. «A ben vedere – dice Lesca – ciò che fa davvero la differenza è la consulenza, che anche quando non dovesse essere coronata da una vendita, contribuisce ad accrescere la consapevolezza collettiva sugli scenari previdenziali. Alla luce dei dati di sistema italiano e dell’esperienza del Gruppo Intesa Sanpaolo, posso senz’altro affermare che la previdenza decolla laddove c’è la consulenza: se un operatore ben preparato è in grado di spiegare con competenza e trasparenza vantaggi e limiti, allora il cliente farà le sue valutazioni e magari aderisce al fondo, a un Pip o, in futuro, a un Pepp».

«Se la consulenza previdenziale è modesta o pressoché inesistente – osserva – difficilmente le cose potranno cambiare. Ovviamente intendo una consulenza che offra il massimo, sia in termini di competenze tecniche sia in termini di trasparenza in merito alle caratteristiche del prodotto di previdenza complementare e del suo funzionamento. Per esempio, a fronte delle importanti agevolazioni fiscali occorre sempre ricordare che si tratta di un prodotto è poco liquido e può essere riscattato anticipatamente solo in pochi casi». È grazie a questa strategia che Intesa Sanpaolo Vita è arrivata a essere uno dei pochissimi operatori del panorama italiano in grado di registrare costantemente 80-85mila adesioni l’anno.

È ragionevole che l’introduzione dei Pepp, dia una reale spinta propulsiva alla diffusione della previdenza complementare nell’Unione Europea e in Italia, in particolare? «Tra pochi mesi il quadro normativo dei Pepp, i prodotti di previdenza individuali paneuropei, sarà definitivo e di conseguenza potremo comprendere più in dettaglio le opportunità di sviluppo», conclude Lesca. «Oggi già sappiamo che questo nuovo salvadanaio previdenziale lo potrà attivare chiunque (lavoratore e non) e sarà fortemente agevolata la mobilità dei lavoratori tra gli Stati membri dell’Unione Europea».

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