Previdenza
Pensioni, i diritti acquisiti porteranno alla bancarotta o alla rivoluzione?
La proposta dell’INPS di riformare il sistema pensionistico ha scatenato varie critiche, soprattutto nella parte in cui prevede la riduzione della parte retributiva delle pensioni in essere sopra i 2.400 euro netti mensili, se l’età di pensionamento è inferiore all’età ricalcolata dall’istituto. In questo modo si andrebbero a intaccare i diritti acquisiti dei pensionati. Qualcosa di (quasi) sacro. “In qualsiasi ordinamento civile – come dice il senatore PD Pietro Ichino – decurtare le pensioni si può solo in due casi: bancarotta o rivoluzione”. Una conseguenza al taglio di alcune delle pensioni in erogazione giudicata intollerabile è quella della revisione inattesa delle scelte di consumo e di risparmio da parte dei pensionati che subirebbero lo shock della decurtazione della rendita.
Sono convinto che almeno in teoria si possa fare molto per riequilibrare il sistema pensionistico senza toccare i diritti acquisiti. Pensiamo ad esempio alla montagna di redditi in nero che – qualora fossero recuperati dal Fisco – potrebbero restituire abbondante gettito contributivo. Ma ripartiamo dal principio enunciato da Ichino.
Il fatto di proteggere i diritti acquisiti non è neutrale rispetto alla bancarotta o alla rivoluzione, perché potrebbe accelerare l’accadimento di una delle due o di entrambe, qualora le alternative non riuscissero a ridurre la profonda iniquità intergenerazionale. L’alternativa del recupero dell’evasione fiscale allontana certamente la bancarotta, ma può darsi che avvicini la rivoluzione. Qualcuno ha mai stimato le conseguenze sul tessuto socio-economico nell’auspicabile caso di grande successo dell’operazione? O è politicamente troppo scorretto dire che la piccola evasione fiscale diffusa in vasti strati della popolazione riduca le probabilità di gravi tensioni sociali?
Non sono poi così certo che la revisione delle scelte di consumo e di risparmio degli attuali pensionati benestanti indotta dalla decurtazione delle loro rendite sia più indesiderabile dei mancati consumi e risparmi da parte dei giovani oppressi da elevata contribuzione (sempre che abbiano un lavoro!). Forse che il fatto di “avere tutta la vita davanti” giustifica di per sé che i giovani siano gli unici destinatari della repressione previdenziale? Ricordiamoci che tra le alternative – addotte dai difensori dello status quo – che i giovani avrebbero a disposizione (a differenza dei pensionati) per fronteggiare questa repressione e quindi per meritarsela c’è anche l’espatrio. Che comporterebbe la perdita certa di gettito contributivo futuro e il trasferimento a titolo gratuito a qualche lungimirante Stato estero di tutto l’investimento sostenuto da noi contribuenti per istruirli.
In sintesi, non credo che gli squilibri pensionistici intergenerazionali possono essere risolti con rigidi principi. Occorre tener conto del fatto che il sistema è complesso, con grandi interdipendenze e vasi comunicanti al proprio interno, e non immune – soprattutto in presenza di elevata rigidità – a eventi estremi a grande impatto.
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