Previdenza
Morti bianche e numeri neri: strage permanente
Bruno Giordano: “In una democrazia fondata sul lavoro, ogni lesione sul lavoro è una lesione della democrazia. Il lavoro è il diritto di avere diritti e per questo tutti abbiamo il dovere di avere, dare, consentire un lavoro dignitoso e sicuro, altrimenti non saremo in una democrazia compiuta e non saremo buoni cittadini”
I numeri parlano chiaro, anche se provvisori e risentono dell’effetto pandemia. Nonostante questo, si tratta di numeri impressionanti perché le denunce d’infortunio sul lavoro con esito mortale, presentate all’Inail tra gennaio e aprile di quest’anno, sono state 306, ovvero 26 in più rispetto alle 280 registrate nel primo quadrimestre del 2020 e analoghe a quelle del primo quadrimestre 2019 quando si contarono 303 eventi mortali.
Ha suscitato scalpore, soprattutto sui social, la morte di Luana D’Orazio, la giovane mamma che lavorava da circa un anno in un’azienda tessile, la “Orditura Luana”, azienda sita a Oste di Montemurlo, in provincia di Prato. E’ morta il 3 maggio 2021 all’età di 22 anni finendo all’interno dell’ingranaggio dell’orditoio, una macchina che permette di preparare la struttura verticale della tela che costituisce la trama del tessuto. Luana viveva a Pistoia con i genitori e il fratello e aveva un figlio di 5 anni. Ma, ahimè, Luana D’Orazio è solo un numero che si aggiunge alle 306 vittime dei primi mesi dell’anno 2021 e, nonostante lo sdegno nazionale, nulla è cambiato. C’è necessariamente la necessità di alzare il livello dei controlli, la loro capillarità e la loro incisività perché inevitabilmente il numero di morti e la mancanza del rispetto delle norme di sicurezza all’interno delle azienda, ovviamente non in tutte, è altissima.
Ne abbiamo parlato con il dottor Bruno Giordano, del Massimario della Cassazione, già Pretore a Torino e Gip a Milano, già consulente giuridico del Senato della Repubblica e docente di diritto della sicurezza del lavoro presso l’Università degli studi di Milano.
Dottor Giordano, noi c’eravamo sentiti diversi mesi fa. Sembra che da allora non sia cambiato nulla nonostante lo sdegno e gli slogan che si sono succeduti dopo alcuni, forse perché anche in questo caso esistono le vittime di serie A e quelle di serie B, incidenti mortali occorsi sul lavoro. Facciamo il punto su questo 2021?
Strage permanente. In trent’anni che mi occupo di questa materia non ho mai visto tanti morti, e aumentano i disastri ferroviari, stradali, industriali. Dalla Costa concordia al ponte Morandi, dal disastro di Corato alla Thyssen, dal caso Lamina al disastro di Pioltello. Mi chiedo sempre se le colpe così diffuse siano ancora solo colpa o la collettività non debba interrogarsi su una propria responsabilità per una disattenzione permanente, interrotta solo dall’ultima tragedia. La sicurezza del lavoro è diventata un problema di sicurezza pubblica, e la società non può più interessarsi a questi disastri quando si verificano ma deve fare qualcosa prima, uscire da un torpore congenito, capire che se la campana suona a morto, suona per tutti.
Siamo tutti colpevoli?
In una democrazia fondata sul lavoro, ogni lesione sul lavoro è una lesione della democrazia. Il lavoro è il diritto di avere diritti e per questo tutti, cittadini, imprenditori, amministratori, operai, braccianti, non solo magistrati e ispettori, abbiamo il dovere di avere, dare, consentire un lavoro dignitoso e sicuro, altrimenti non saremo in una democrazia compiuta e non saremo buoni cittadini.
Che fine ha fatto la “Commissione monocamerale d’inchiesta sulle condizioni di lavoro e la sicurezza”, creata nel 2019 al Senato?
Da pochi giorni si è insediata, purtroppo solo a metà legislatura ma al centro di un periodo particolarmente critico. Le inchieste parlamentari, dalla Commissione Lama del 1989 fino a oggi, sono servite ad andare ben oltre le indagini penali e a radiografare non solo i temi giuridici ma soprattutto le linee politiche e istituzionali, le scelte di politica economica, le responsabilità, i fenomeni sociali che sono alla base degli infortuni. Credo che anche l’attuale commissione punti l’attenzione subito sulla gravità del momento. Voglio sottolineare che per la prima volta l’attuale commissione parlamentare d’inchiesta ha per oggetto non soltanto gli infortuni ma anche lo sfruttamento del lavoro. È importante seguire la linea della dignità del lavoro che unisce le vittime di sfruttamento, caporalato, infortuni, immigrazione.
Il Testo unico del 2008 fu ritenuto una conquista. Mantiene ancora oggi la sua attualità o è necessario ripartire proprio dalla legislazione?
Qualcosa va modificato per dare effettività e immediatezza alla prevenzione. Mancano vari decreti attuativi ma per il resto il testo unico va solo applicato. E per questo ci vogliono ispettori del lavoro e organizzazione delle indagini.
Morire sul lavoro non è destino, è il risultato di carenze nelle misure di sicurezza e a volte di stress e fatica causati da problemi organizzativi. Si parla sempre di prevenzione. Ma abbiamo le strutture adeguate per garantirla?
La prevenzione devono farla le aziende a casa loro e lo Stato per i controlli. Oggi la riforma del sistema di vigilanza esige urgentemente l’unificazione di tutte le competenze e le forze, abbiamo troppi organi di vigilanza distribuiti tra enti, ministeri, agenzie. La pandemia peraltro ha dimostrato che il sistema della prevenzione incentrato sulle competenze regionali e sulle asl ha fatto il suo tempo. Ma non basta.
Cosa altro servirebbe?
Una Procura nazionale del lavoro e dell’ambiente, con procure distrettuali, come per l’antimafia e per l’antiterrorismo. È necessario concentrare le competenze, avere pubblici ministeri specializzati, solo così si possono fare indagini veloci, scegliere buoni periti e consulenti veramente preparati, avere linee investigative che rispondano non agli infortuni che accadono ogni giorno, ma a una programmazione investigativa per settori, tipi di rischio, categorie di lavoratori e competenze ispettive. C’è un disegno di legge. Aspettiamo che il parlamento se ne occupi. Se non ora quando?
L’”Ispettorato nazionale del lavoro”, istituito dal Jobs Act con l’ambizione di accorpare le funzioni di vigilanza di ministero, Inps e Inail, conta circa 1.500 ispettori che, peraltro, devono svolgere anche compiti amministrativi. All’Inail d’ispettori ne sono rimasti meno di 250. Quindi?
L’ispettorato nazionale del lavoro è un’agenzia unica che per legge doveva accorpare anche gli ispettori dell’Inps e dell’Inail per fare controlli incrociati e verifiche complete delle aziende e questo soprattutto nell’interesse delle imprese per evitare duplicazione di controlli, sovrapposizioni di competenze e moltiplicazione degli intralci burocratici. Ma l’unificazione è rimasta ancora sulla carta anche perché necessita dell’unificazione delle banche dati mai avvenuta.
Abbiamo veramente, come previsto, un rappresentante per la sicurezza in ogni pmi?
Teoricamente si, praticamente nelle piccole realtà è una figura finta che non crea per i rapporti personali con il datore di lavoro alcuna dialettica, il risultato è che quasi tutti gli incidenti gravi accadono nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Ma non parliamo solo di imprese, ricordiamoci dei pubblici dipendenti. Il più grande datore di lavoro è la pubblica amministrazione. E per lavoro pubblico si intende non solo chi sta dietro una scrivania, che comunque corre i suoi rischi, ma anche chi lavora con forze dell’ordine, in ospedale, in una scuola. Non solo impresa, dunque.
C’è traccia di un cambio di rotta nel PNNR?
Si assumeranno presto circa 2000 ispettori del lavoro e poco più di 200 ispettori delle Asl. Potrebbe essere questa la vera riforma, iniziare dalle nuove competenze, assumere esperti di organizzazione aziendale, di gestione, di ergonomia, capaci di studiare entrare in azienda e offrire prevenzione e non solo di fare repressione. Bisogna stare un passo avanti agli altri, soprattutto quando qualcuno è rimasto indietro.
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