Beni comuni

La gestione dell’INPS fa solo peggiorare l’economia italiana

12 Febbraio 2015

I contributi dell’INPS sono un disastro sia per il paese che per l’individuo in quanto non seguono le regole più basiche della gestione patrimoniale. Io ho appena avuto una figlia. E, nei tanti modi che questo evento ha cambiato la mia vita, mi ha spinto anche  a pensare a cosa fare per programmare per il suo futuro. I soldi che avrò  a 70 anni quando andrò in pensione dovranno bastare per non pesare su di lei quando sarà più giovane  di me adesso. Insomma finalmente voglio risparmiare e investire sul serio perché il futuro è diventato più presente.

Quindi guardo ai contributi che verso, il 30% della base imponibile (cioè più o meno i miei ricavi meno i costi del lavoro), e chiedo al commercialista come posso investire questi soldi. La risposta: «Solo con l’INPS». Va bene vado a chiedere all’INPS come i soldi vengono investiti. La risposta: «Non vengono investiti, vengono spessi adesso per le pensioni di oggi, la cassa integrazione, la maternità, etc..». Ma leggo che i miei contributi vengono maggiorati ogni anno «ad un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale, calcolata dall’Istat, cioè in base alla crescita della ricchezza nazionale». Quindi un rendimento c’è. Anche se dal 2011 mi sembra che sia stato zero, per chi vuole farsi una risata amara grazie ai benpensanti che parlano della crescita della ricchezza nazionale.

Prima di andare avanti faccio un esempio di un conto economico sintetico di un contribuente:

100.000 Ricavi
-30.000 Costi
70.000 Reddito prima dei contributi Inps e Imposte sul reddito
-21.000 Contributi verso INPS
49.000 Base imponibile Irpef
-14.940 Irpef
34.060 Reddito netto

Per fare vedere che, per la maggior parte della gente, l’investimento maggiore il risparmio più grande sarà ottenuto  tramite i contributi verso l’INPS. Quanto potrebbe risparmiare uno che ha  un reddito di €34.000? Forse € 3.000 o € 4.000 o il 15-20% dei contributi che vanno verso l’INPS.

Allora, dove sono gli errori nel modo di gestire questi soldi?

1. Non esiste nessuna diversificazione, il contribuente deve avere tutti i suoi risparmi legati al rischio paese Italia. E solo il rischio paese perché non può neanche investire nel mercato azionario del paese. La prima lezione per investire è diversificare per rendere meno a rischio di un evento negativo specifico il portafoglio. Invece il contribuente italiano non solo vede le sue prospettive di lavoro, etc., diminuite se l’Italia va male, vede anche un rendimento minore dai contributi. Penalizzato due volte. Un portafoglio diversificato a livello globale dovrebbe invece crescere piano, relativamente immune ai problemi di un paese specifico. Almeno che il mondo continua a crescere, il contribuente vede un aumento dell’investimento;
2. Questo modo di non diversificare e, soprattutto, non fare nessun investimento azionario probabilmente riduce l’ammontare finale che spetta al contribuente e quindi impone un costo su di lui. Se io devo attenere 30 anni prima di toccare i miei risparmi posso accettare il rischio di un calo azionario di un anno, anche cinque, se i benefici a lungo termine sono maggiori. Un investimento azionario dovrebbe rendere intorno al 8% mediamente sui 20 anni se prendiamo gli Stati Uniti come un esempio. Diciamo il 6% per l’Italia per la crescita del PIL minore. Rispetto al tasso di capitalizzazione utilizzato dall’INPS che sarà del 3-4%. La differenza per me se i contributi sono di € 10.000 ogni anno è fra avere € 573.000 se l’INPS investe i contributi al 3,5% e € 909.000 se sono investiti al 6%, € 753.000 se dico che diversifico il portafoglio con qualche investimento obbligazionario e il rendimento è del 5%. Parliamo comunque di € 180.000 in più;
3. Lo Stato spende subito i soldi che il contribuente dovrebbe investire. Che i contributi debbano essere alti va bene, ma che debbano andare tutti allo Stato non aiuta perché, come sopra, serve per diminuire gli investimenti privati. In pratica, il contribuente che deve investire i soldi per il futuro, li da’ allo Stato che li spende subito. Da dove devono venire i capitali per investire a creare nuove capacità produttive e fare crescere questa ricchezza nazionale?  Sì, chi ha i soldi di famiglia riesce ad utilizzarli, ma chi deve iniziare da niente si trova con uno svantaggio enorme perché, invece di avere la possibilità di investire € 25.000 nella sua azienda, riesce ad investire solo € 4.000. Moltiplicate questo per 5 o 10 anni e chi magari vorrebbe aprire una start up  a 35 o 40 anni si trova con un capitale privato di € 30.000 e dei contributi di € 100.000/150.000 che non può toccare.
Il rimedio per questo sarebbe di permettere alla gente di investire oltre una somma predefinita i contributi dove sceglie. Entro certi parametri approvati, fondi consigliati, i.e. a basso costo (se il rendimento medio dal mercato azionario è del 6-8%, non conviene pagare 3-4% al gestore), la sua azienda, l’efficienza energetica che produce un rendimento oltre una soglia definita.

Un ammontare di risparmi privati da investire in aziende potrebbe aiutare la successione generazionale nelle aziende piccole medie italiane. Perché rende più facile la quotazione siccome ci sono dei risparmi che cercano un investimento. E, perché no, fare confluire questi soldi dentro la Cassa dei Depositi e Prestiti per investire nelle attività dove esiste un monopolio naturale e conviene che l’attività sia regolata dallo Stato, come già accaduto con Terna e Snam Rete Gas e come avrebbe senso accadesse  con la rete di fibra ottica o le autostrade, per esempio.

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