Previdenza
Germania: ‘Tra 20 anni un pensionato su cinque sarà povero’
Intervista a Johannes Geyer (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung – DIW, Berlino)
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto di Ricerca Economica di Berlino (DIW) più di un pensionato tedesco su cinque, il 21,6%, rispetto all’attuale 16%, entro vent’anni vivrà sotto il livello di povertà. E una delle cause di questa tendenza – ci spiega Johannes Geyer, uno degli autori della ricerca – è che la Germania negli anni ’90 ha creato una consistente sacca di lavoro a basso costo. Era l’epoca della ‘terza via’, in cui Gerhard Schröder poteva andare a Davos e vantarsi di quella che per un esponente tedesco dell’Internazionale Socialista all’epoca era una rottura netta col passato. Una rottura i cui frutti avvelenati si raccolgono ancora oggi. A dispetto dell’immagine diffusa della Germania come un’oasi felice, oggi secondo il DIW ci sono 6,5 milioni di persone che fanno i Mini-Jobs, lavori sottopagati senza versamenti fiscali e previdenziali, e per 4,5 milioni di loro, oltre il 5% della popolazione, si tratta dell’occupazione principale.
Oggi, nel complesso sistema previdenziale tedesco a tre gambe, 100 lavoratori in attività coi propri contributi finanziano gli assegni di 31 ex lavoratori in quiescenza, ma si calcola che nel 2038 ogni 100 lavoratori attivi ci saranno 47 pensionati, in pratica un rapporto di un pensionato ogni due attivi. Insomma meno salari, molti dei quali bassi, che finanziano più pensioni. La grande coalizione di Angela Merkel sta tentando di anticipare in qualche modo questo effetto perverso della deregulation del mercato del lavoro tedesco. L’obiettivo è che nel 2045 gli assegni pensionistici coprano almeno il 46% del reddito netto (oggi siamo al 48%) e la riforma contempla anche un innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni. Ma anche se la Grundrente (pensione base) di cui si parla nell’intervista venisse introdotta, chi ha un Entgeltpunkt (il moltiplicatore che determina l’importo dell’assegno sulla base della retribuzione) inferiore a 0,24, ad esempio tutti coloro che hanno un Mini-Job, non ne ricaverebbero alcun beneficio. Partiamo da qui.
La vostra ricerca si occupa del rischio di povertà in età avanzata. Puoi spiegarci qual è il problema?
Abbiamo studiato il modo in cui il rischio di povertà in età avanzata si svilupperà in futuro. Al momento la Grundsicherung, cioè i sussidi statali per chi è in difficoltà, riguardano solo il 3% degli anziani, il che ci fa presumere che in molti non presentino neppure la domanda. Si stima che sia oltre il 60% degli aventi diritto a non presentare la domanda di sussidio, per varie ragioni: perché si vergognano, perché non sono informati o per i costi di presentazione delle domande nei casi in cui i benefici sono minori.
Quando misuriamo statisticamente il fenomeno della povertà tra gli anziani prendiamo in considerazione chi ha un reddito netto equivalente inferiore al 60% del reddito mediano e in questi termini il problema riguarda una quota compresa tra il 16% e il 17% della popolazione. Ma in futuro presumibilmente la povertà aumenterà. Secondo le nostre stime potrebbe arrivare a oscillare intorno a una media del 20%. Anche in questo caso le ragioni possono essere diverse. Le riforme previdenziali in passato hanno abbassato il livello delle pensioni di legge e inoltre da tempo in Germania abbiamo una disoccupazione rilevante. A ciò si somma una sacca relativamente consistente di lavoro con basse retribuzioni.
Ecco appunto. Osservando la Germania da fuori si ha la sensazione che negli ultimi vent’anni la strategia della politica tedesca sia stata cercare di ridurre il tasso di disoccupazione creando posti di lavoro scarsamente retribuito. E’ così?
La politica in realtà non crea alcun lavoro. Semmai può modificare le condizioni in cui si sviluppa l’occupazione. Ma allo stesso tempo ha modificato le condizioni in base alle quali è possibile ricevere i sussidi pubblici. Questo cambiamento ha portato a una compressione del potere negoziale dei lavoratori. La politica infatti ha alzato notevolmente i requisiti fondamentali per poter accedere al sussidio di disoccupazione. Il che significa che in generale i disoccupati sono tenuti ad accettare qualunque tipo di lavoro. Anche la durata massima del sussidio di disoccupazione vero e proprio, quello che in Germania chiamiamo Arbeitslosengeld 1, è stata abbreviata. Le persone al di sotto dei 50 anni possono ricevere il sussidio per un massimo di 12 mesi e anche una prestazione sostitutiva del salario pari al 60% dell’ultima retribuzione netta (67% se si hanno dei figli). Dopo di che però si cade nell’Hartz IV, un sussidio concesso nei casi comprovati di indigenza, che attualmente è fissato in 424 euro al mese (per una persona adulta che vive da sola). Inoltre è stato liberalizzato il campo di applicazione dei cosiddetti Mini-Job, rapporti di lavoro sottopagati in cui il lavoratore non matura alcun versamento fiscale e previdenziale. Gerhard Schröder, cancelliere dal 1998 al 2005, ha dichiarato in un discorso tenuto al Forum Economico Mondiale di Davos, nel 2005: ‘Abbiamo liberalizzato il nostro mercato del lavoro e ora abbiamo creato uno dei migliori serbatoi di lavoro a basso costo in Europa’.
In Italia c’è una discussione in corso sul salario minimo. Le grandi confederazioni sindacali sostengono che la sua introduzione indebolirebbe la loro capacità negoziale e non contribuirebbe ad aumentare i salari. In Germania il salario minimo è stato introdotto quattro anni fa e tuttavia, a quel che dici non ha risolto il problema. Perché? Possiamo dire che se non fosse stato introdotto la situazione sarebbe ancora peggiore?
Guarda, anche in Germania sono state sollevate – e lo sono ancora – delle obiezioni al salario minimo e gli argomenti sono gli stessi che hai citato. Chiedere un salario minimo equivale ad ammettere che i sindacati non sono in condizione di ottenere salari migliori per chi sta ai gradini inferiori della scala retributiva. Gli effetti del salario minimo sono relativamente complessi da analizzare. Innanzitutto ovviamente innalza la paga oraria dei settori di lavoratori che ne vengono direttamente toccati. Molti economisti avevano paventato che questo istituto avrebbe influito negativamente sull’occupazione, ma questa previsione non si è realizzata e questo fatto, anche dal punto di vista della politica occupazionale, rappresenta una notizia positiva.
Ulrich Schneider, presidente del Deutsche Paritätische Wohlfahrtsverband, l’associazione degli enti benefici tedeschi, ha dichiarato che per funzionare il salario minimo dovrebbe salire dagli attuali 8 euro e 50 ad almeno 14 euro l’ora. Cosa ne pensi?
Penso che con un salario minimo di 14 euro l’ora la situazione sarebbe presumibilmente diversa, ma anche che una proposta di questo tipo non è realistica, perché purtroppo molti di questi lavori mal retribuiti sono lucrativi, intendo dal punto di vista dei datori di lavoro, solo se il salario non è troppo alto, e con un salario minimo così alto scomparirebbero.
La vostra ricerca evidenzia che il problema dei bassi salari non riguarda solo il breve termine, ma si scarica soprattutto sul lungo. In che modo la povertà in età avanzata e il fenomeno dei working poors influirà sui conti pubblici in termini di costi crescenti del sistema di welfare tedesco?
I costi aumenteranno, ma non è il principale problema che abbiamo di fronte. Le prestazioni degli enti assistenziali sono gestibili anche se il numero degli aventi diritto aumenta e per una semplice ragione: quasi tutti in età avanzata hanno una qualche forma di reddito o di patrimonio, che viene sottratta nel calcolo della prestazione da erogare. Dunque solo la differenza si scarica sul bilancio dello Stato.
I governi tedeschi come hanno cercato di affrontare questo tema?
Al momento si sta discutendo di una Grundrente, un trattamento pensionistico di base, anche se in realtà non è una vera pensione di base. Si tratta di una misura che dovrebbe migliorare la posizione di chi ha maturato coefficienti pensionistici bassi pur avendo alle spalle lunghi periodi di contribuzione, rivalutando quei coefficienti. Si tratta di una ‘pensione di base’ non nel senso di un assegno minimo uguale per tutti, ma che interviene su quei coefficienti rivalutandoli a seconda di quanto alto è il punto di remunerazione medio (Entgeltpunkt) e in base alla durata del periodo di contribuzione. Ma nel governo ci sono parere discordanti circa la necessità che i richiedenti debbano anche sottoporsi a una verifica del loro effettivo stato di necessità.
Tu cosa faresti?
Personalmente penso che questa riforma si limiti a cercare di alleviare un sintomo, ma manchi di un’autentica volontà di rendere il sistema di assicurazione sociale per la vecchiaia non solo finanziabile ma anche efficiente per i cittadini nel lungo periodo. La Germania in linea di massima ha un sistema a previdenziale a tre gambe, cioè la pensione pubblica di legge, quella privata/aziendale e un ulteriore piano pensionistico. Nelle pensioni private e aziendali osserviamo grosse lacune, in particolare nei settori a basso reddito. Qui c’è bisogno di una soluzione: o si sviluppa subito una gamba finanziata mediante un meccanismo di capitalizzazione o bisogna cercare di rafforzare la pensione pubblica. Entrambe le strade sono percorribili e bisognerà discutere apertamente i vantaggi e gli svantaggi – o se vogliamo i rischi – di entrambe le opzioni e poi prendere una decisione. Ma temo che purtroppo non assisteremo ad alcuna decisione su quale direzione intraprendere. Al momento si tratta di problemi del futuro, a lungo termine e ancora non così acuti che la pressione affinché la politica se ne occupi sia sufficientemente grande.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’11 ottobre.
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