Ambiente
Palette per il caffè: il no che mette a rischio il 90% di posti di lavoro
Alla fine la sentenza è arrivata: pena di morte per gli articoli monouso in plastica.
Vietata la vendita di bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie, piatti e posate usa-e-getta (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette), cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini, oltre a tutti gli articoli monouso in plastica oxodegradabile e i contenitori, con o senza coperchio, (tazze, vaschette con relative chiusure) in polistirene espanso (EPS), per consumo immediato (fast-food) o asporto (take-away) di alimenti senza ulteriori preparazioni.
Lo scorso venerdì è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge di Delegazione Europea (22 aprile 2021 n* 53) che recepisce, tra le altre, la Direttiva Europea sugli articoli monouso in plastica (cosiddetta Direttiva SUP 2019/904).
Per i seguaci di Greta Thunberg una vittoria, per le filiere produttive una condanna a morte. Si poteva, anzi si doveva, fare meglio, cercando soluzioni più virtuose per il rispetto dell’ambiente, senza penalizzare eccessivamente il comparto produttivo. Ma andiamo con ordine. Non tutti sanno che quasi il 95% della plastica dispersa negli oceani e nei mari è portato da 10 grandi fiumi asiatici e africani. In Europa la quantità di plastica usata per produrre piatti e posate monouso è lo 0,6% di quella usata per tutto il packaging plastico. Sarebbe quindi minimo l’impatto sul problema dato dalla proibizione di posate e piatti in plastica, che peraltro sarebbero almeno in parte sostituiti da altri oggetti monouso. Come tutti, non vorremmo vedere la plastica nei fiumi, nelle strade, nei mari. Tuttavia va ricordato che questo materiale non arriva lì da solo, ma si trova in quei luoghi per un cattivo comportamento e perché non è stato gestito in modo corretto.
Va però anche ricordato che l’inquinamento marino è in larga misura provocato da Paesi extra UE e che quindi una soluzione radicale ha una dimensione planetaria.
Purtroppo quest’incivile abitudine di gettare rifiuti dove capita, senza curarsi dell’ambiente, rappresenta un fenomeno in crescita.
E’ chiaro che solo una sinergia CONDIVISA tra cittadini, amministrazioni, ed aziende della filiera possono riuscire vincenti nella “lotta” al littering.
La normativa prevede inoltre che le bottigliette di plastica (PET) entro il 2025 dovranno essere realizzate con il 25% minimo di plastica riciclata che salirà al 30% entro il 2030 e i tappi di chiusura dovranno essere attaccati alla bottiglia. Le stesse bottiglie avranno un obiettivo di raccolta differenziata del 77% entro il 2025 (che salirà al 90% entro il 2029).
Ora da imprenditore che opera nel comparto vending, non voglio annoiare chi legge nell’elencare tutte le difficoltà che il settore attraversa per cercare di rispettare quanto sopra. Mi limito a dire che la sostituzione del solo bicchiere in plastica, con uno in carta o bio compostabile, ha causato moltissimi problemi di smaltimento, in quanto la filiera, non ancora pronta, genera compresenza sul mercato di manufatti computabili con quelli realizzati in materiali plastici convenzionali, con conseguente rischio di un decadimento delle qualità delle raccolte differenziate. Inoltre l’aumento dei quantitativi di queste plastiche compostabili, delle più diverse fogge e dimensioni all’interno degli scarti di cucina, produrrà un significativo cambiamento delle caratteristiche dei rifiuti organici.
Risultato: la maggior parte dei rifiuti verranno inceneriti, i seguaci di Greta ringraziano, ma poco si è fatto per l’ambiente. La soluzione è dare nuova vita alla plastica, smaltendola correttamente in un’ottica di una virtuosa economia circolare. Meno male che molti clienti/consumatori l’hanno capito e continuano ad usare il bicchiere in plastica naturalmente più virtuoso, di ultima generazione, realizzato utilizzando una nuova formulazione, a cui è associato un minore impatto ambientale, in termini di emissioni di CO2, rispetto al tradizionale bicchiere in plastica vecchia maniera. Riciclato correttamente ritorna bicchiere. Risultato per l’ambiente: ottimo!
Ma veniamo all’imputato numero uno, il mescolatore comunemente conosciuto come “paletta”, quella che si usa per mescolare il caffè erogato dai distributori automatici. Dai primi di luglio non sarà più utilizzabile, salvo lo smaltimento delle scorte. Alternativa? Ad oggi non esiste. La paletta in bio plastica non regge il calore delle alte temperature di erogazione delle bevande calde, la paletta in legno ci lascia invece più di qualche dubbio in merito alle certificazioni. Arrivando dalla Cina e dall’India, via nave, su container, il legno è esposto, per diverse settimane, a un ambiente umido che potrebbe portare muffe e non rispondere più ai requisiti prescritti.
“In base alla direttiva europea – commenta Massimo Trapletti, presidente di CONFIDA – laddove non esistano alternative, come in questo caso, i singoli Paesi dovrebbero perseguire solo gli obiettivi di riduzione del consumo e non di divieto di immissione sul mercato. Quanto previsto dalla legge di recepimento italiana, quindi, prevede delle restrizioni sproporzionate e discriminatorie nei confronti dei produttori di palette che subirebbero un danno economico ingente. L’intero settore del vending – conclude il Presidente – dopo il 3 luglio sarà in difficoltà per la mancanza di un accessorio fondamentale per l’erogazione del servizio.”
Il mescolatore in legno oltre a non avere certificazioni di riciclabilità e ad essere meno resistente della plastica all’umidità e al calore interni alla macchina, è un prodotto di importazione e quindi gli attuali produttori italiani, ad oggi leader europei nella produzione di palette in plastica, rischiano di trasformarsi in semplici rivenditori di prodotti esteri. Il comparto delle palette in plastica è composto da aziende italiane, la cui attività si basa esclusivamente solo su questo prodotto. I macchinari all’avanguardia che vengono utilizzati nel processo di produzione non possono essere riconvertiti nella produzione di accessori diversi dalla plastica e la loro conseguente dismissione causerà alle aziende una perdita di valore pari a milioni di euro, che si andrebbe a sommare alla crisi già in atto causata dal Coronavirus. L’impatto della mancanza delle palette in plastica avrà inoltre ripercussioni sull’intero settore della distribuzione automatica, comparto in cui l’Italia è leader in Europa con oltre 820 mila distributori automatici, 3 mila aziende di gestione e oltre 33 mila lavoratori.
“Le palette in plastica, inoltre –conclude il Presidente Trapletti – sono prodotti riciclabili composti dallo stesso materiale dei bicchierini utilizzati nei distributori automatici. Per questo motivo, sono state incluse nel progetto RiVending voluto e promosso da CONFIDA, Corepla, e Unionplast che si sposa con i principi europei dell’economia circolare fornendo un “fine vita” virtuoso alla plastica dei distributori automatici”.
Quindi, cominciamo a collezionare le vecchie palette, tra un po’ saranno introvabili, diventeranno un oggetto vintage. Speriamo che non spariscano anche le aziende che le producono.
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