Finanza

La ripresa economica si consolida senza l’aiuto delle banche

26 Gennaio 2018

L’attenzione dei media è ora concentrata sulla campagna elettorale, ma dall’estero c’è sempre più curiosità su un fenomeno emergente dell’economia nazionale: una crescita economica che fa a meno del credito. Il Paese ha indubbiamente fatto considerevoli progressi nell’affrontare i problemi del sistema finanziario che hanno impedito una reale ripresa economica negli anni passati. A dispetto dei problemi strutturali nazionali e dell’Eurozona, l’economia sta crescendo di nuovo; il punto è che la crescita sembra avere una relazione scarsa con quanto sta accadendo all’interno del sistema bancario italiano, e non si può dire con certezza se il collegamento tra ripresa dell’economia e un più facile accesso al credito possa essere ripristinato a breve.

Il 2018 si è aperto con ottime notizie su due fronti cruciali per le banche italiane. Il totale dei crediti deteriorati (non-performing loans) sta continuando a scendere, anche se a gradoni, arrivando a novembre 2017 alla cifra di 173 miliardi di € lordi, 66 miliardi al netto delle riserve a copertura delle perdite potenziali. In ogni caso, è un declino superiore al 30% da inizio 2017 (cfr. Figura 1).

Figura 1

Le banche italiane hanno ridotto anche l’ammontare di titoli governativi in portafoglio, uno dei grossi punti deboli del sistema finanziario nazionale secondo le valutazioni della Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea. Le banche nazionali ora detengono “solo” 336 miliardi di debito pubblico italiano, una discreta riduzione dai massimi di 433 miliardi del febbraio 2015, con un’accelerazione significativa nelle cessioni di -47 miliardi nel corso dell’ultimo anno (cfr. Figura 2).

Figura 2

Da un lato, sembra che questa pulizia dei bilanci bancari stia avendo l’effetto atteso. Le banche hanno ripreso a prestare alle famiglie di nuovo, con il credito ai privati non-corporate che ha registrato una crescita annua del 2,9% tra novembre 2016 e 2017 (cfr. Figura 3). Resta una cifra bassa se paragonata alla crescita registrata in Francia (5,8%), ma comunque migliore che in Spagna o Portogallo e Grecia, dove il credito alle famiglie continua a contrarsi dopo anni di declino persistente.

Figura 3

Il puzzle che non si ricompone riguarda il credito alle imprese non finanziarie, che continua a non godere del miglioramento dei fondamentali dell’economia. Secondo gli ultimi dati BCE aggiornati (cfr. Figura 4), la crescita dei prestiti corporate è ferma intorno allo zero da novembre 2015 dopo un declino ininterrotto durato oltre 3 anni, mentre sta accelerando nel resto dell’Eurozona: +5,8% in Francia e + 4,7% in Germania. Questo comportamento continua a persistere nonostante una buona crescita della produzione industriale italiana (+2,2% annuo) e degli investimenti in impianti e macchinari (+3,2%).

Figura 4

Diversi fattori possono essere addotti per spiegare questa situazione. La prima ragione è che sui bilanci bancari c’è ancora molto da lavorare: circa il 60% della riduzione di crediti deteriorati registrata nel 2017 può essere attribuita essenzialmente a meno di 10 banche: le due più grandi, Unicredit (17 miliardi) e Intesa San Paolo (2,5 miliardi), che oramai hanno sostanzialmente azzerato i loro NPL, ed altre banche di dimensione minore tra cui le quattro oggetto di bail-in nel novembre 2016 (2,2 miliardi). Questo suggerisce che nonostante dati aggregati in miglioramento, la maggior parte delle banche ha tutt’ora una situazione di bilancio che non consente di aumentare i prestiti alle imprese.

C’è anche qualcos’altro che salta all’occhio nella riduzione del peso dei titoli di Stato in portafoglio. Il principale fattore in questo caso sono stati gli acquisti di Banca d’Italia come parte del Quantitative Easing della BCE (cfr. Figura 5) e non una particolare attitudine al ribilanciamento del rischio da parte delle banche nazionali. Più che di una ricomposizione “virtuosa” dei portafogli delle banche in cui i proventi della vendita dei titoli alla banca centrale vengono utilizzati per favorire altre forme di impieghi più remunerativi tra cui il credito alle imprese, si può tranquillamente parlare di accumulo di liquidità. Insomma, le banche non intendono o sono impossibilitate a far crescere il credito alle imprese ai livelli antecedenti la crisi.

Figura 5

Il fattore fondamentale resta in ogni caso la pressione regolamentare da parte delle Istituzioni europee. Le banche nazionali restano sotto la minaccia costante dell’Addendum BCE sui crediti deteriorati che potrebbe accrescere in misura incontrollata le richieste di nuovo capitale necessario per la copertura da perdite potenziali se come pare avrà effetto retroattivo anche sugli stock  di crediti deteriorati immagazzinati nel bilancio delle banche. Allo stato attuale, si parla di aprile 2018 per la presentazione delle nuove norme, anche se la loro applicazione potrebbe essere ritardata a gennaio 2019. Nel frattempo incombono nuovi stress test per maggio che potrebbero portare sorprese sgradite in termini di nuove ricapitalizzazioni.

Le banche nazionali dunque non hanno mai abbandonato la linea prioritaria del “deleveraging“, cioè della riduzione dei rischi. La strategia scelta dal management  bancario è stata anzi quella del razionamento del credito. Grazie alla politica monetaria accomodante di Draghi, in Italia i tassi di interesse per i prestiti al settore privato appaiono in linea con l’Europa: il tasso medio è oramai al 1,74%, uno spread con la Germania di appena 0,06% (cfr. Figura 6). Tuttavia il gap di competitività con l’industria tedesca – che un tempo nasceva da un maggior costo del credito (cioè lo spread) – oggi che lo spread è vicino a zero deriva dal razionamento dei prestiti, cioè le banche evitano di finanziare le imprese se non con abbondanti garanzie.

Figura 6

Ampia evidenza di una “fame” di nuovi capitali non soddisfatta dai canali bancari tradizionali sta nell’esplosione dell’accesso ai PIR (i Piani Individuali di Risparmio). Questo strumento di investimento, introdotto con la Legge di bilancio 2017, mette in contatto diretto l’ampia fetta di risparmio delle famiglie con le imprese in cerca di capitali. In questa maniera le piccole e medie imprese italiane sono riuscite a raccogliere 10 miliardi nel 2017, grosso modo il 50% dei prestiti bancari al settore corporate del 2017. La scarsità di capitale sta anche guidando un management del settore manifatturiero tradizionalmente conservativo verso la quotazione sui mercati classici (+118% sul mercato AIM di Borsa Italiana), fenomeno realmente inusuale per le medie imprese nostrane.

La ripresa economica in atto senza crescita del credito è un fenomeno storicamente senza precedenti per il Paese. La domanda è: per quanto tempo l’Italia potrà continuare a fare a meno delle sue banche?

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