Moda & Design

Le baby modelle come Vlada, morta a 14 anni per la fatica della passerella

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29 Ottobre 2017

“Mia madre voleva che diventassi una modella e a dodici anni mi ha iscritta a una scuola specializzata. Il corso era meraviglioso, erano tutti gentili. Ho fatto la mia prima sfilata a Taiwan e sono anche stata alla settimana della moda in Cina. Ora mi trovo a Shanghai e voglio andare avanti, sfilare per marchi sempre più importanti, aprire spettacoli famosi”.

Così – riportando le parole di Vlada Dzyuba, pubblicate dieci giorni fa sul sito online 59.ru di Perm, la sua città negli Urali centrali – Elvira Serra oggi su Il Corriere della Sera racconta della giovanissima modella russa morta in Cina per il troppo lavoro. Gli elementi ci sono tutti: una madre ambiziosa, una ragazza che sogna il successo, le aspirazioni che si sublimano in: “sfilare per marchi sempre più importanti”. Esattamente come accade in Italia. Esattamente come mi hanno detto bambine di quattro, cinque, sei anni che ho intervistato negli ultimi anni. L’ossessione per il successo e per la visibilità: è sempre la stessa storia.

La storia di Vlada è una storia di ordinario sfruttamento nel mondo della moda. La sintesi della vampirizzazione che il Fashion System porta avanti ai danni di giovanissime. La fotografia di un business multimiliardario che se ne infischia della salute delle modelle, considerate spesso soltanto oggetti, e anzi ne alimenta le aspirazioni e lo smodato desiderio di visibilità, sfruttandone l’ingenuità e la sete di successo. 

 

 

Mi sono occupata dell’argomento a lungo. Prima con un audiodocumentario per Radio3, dunque per un reportage. Per finire di scrivere Bellissime – pubblicato da Fandango Libri il giorno in cui ha inaugurato, a fine giugno Pitti Bimbo, la più importante manifestazione della moda bimbo italiana – sono andata a Shanghai, e qui ho incontrato una mamma italiana di due baby modelli che mi ha raccontato dei tour de force cui venivano sottoposte le modelle russe e cinesi. “Sembrano dei robot, non si fermano mai”. Qualcosa di simile a ciò che mi aveva detto una mamma italiana. Anzi, a dir la verità, più d’una.

La condizione nel nostro Paese per le baby modelle è certamente diversa, ma ho personalmente assistito a sfilate cui i bambini non vedevano minimamente rispettati i loro diritti: sfilate cui  non veniva loro concesso da bere, ma anche prove trucco interminabili, pesanti sedute di prove e di fitting fatte spesso senza genitori, in barba a qualsiasi normativa. Protagonisti bambini di tre, quattro, cinque, sei anni. Tanto che la Senatrice Fabiola Anitori ha pensato bene di andare a proporre  un DDL per la tutela del lavoro minorile in Italia (un lavoro in deroga).

Non dobbiamo però sorprenderci se Vlada sia morta di stanchezza, perché il suo è solo il caso più drammatico e sconvolgente di un mondo che non rispetta i diritti e non tutela i minori impiegati nel mondo dello spettacolo. Secondo quanto riportato dal Siberian Times, la modella, che lavorava in Cina senza assicurazione sanitaria, sarebbe crollata prima di una sfilata alla sua tredicesima ora di lavoro, con la febbre alta, probabilmente per una meningite cronica cui si era aggiunto un esaurimento fisico.

La vicenda racconta come la moda cinese se ne infischi dei diritti delle giovanissime, obbligandole a orari interminabili e creando una vera e propria “tratta delle giovani russe” da sfruttare senza limiti. Vlada infatti avrebbe dovuto lavorare soltanto tre ore la settimana (orario consentito per legge, al giorno, per i baby modelli italiani fino a tre anni). Qualcosa di molto diverso rispetto a quello che è accaduto che dovrebbe farci riflettere sul trattamento di tutti i minori. Anche quelli italiani.

 

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