Lifestyle
Fashion law, il diritto di non essere imitati
Gli strumenti giuridici a difesa della moda made in Italy
Il business del falso non conosce crisi. La contraffazione vale infatti nel mondo ben 80 miliardi di euro ogni anno. In Italia i numeri del fenomeno delineano un quadro preoccupante: 6,9 miliardi di euro di fatturato, 1,7 miliardi di euro di gettito fiscale sottratto allo Stato, 100.000 posti di lavoro persi, 14.800 attività di sequestro di merce contraffatta da GdF e Agenzia Dogane per un totale di circa 26 milioni di pezzi.
Uno dei settori più minacciati dalla contraffazione è quello del fashion e luxury goods, dove il marchio gioca un ruolo fondamentale sia come agente attrattivo che come indicatore di qualità. Secondo un rapporto pubblicato dall’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), la contraffazione di abbigliamento e accessori costa ai marchi europei 26,3 miliardi di euro, ovvero il 9,7% delle loro vendite totali. Una percentuale che ha sicuramente subìto un aumento con l’avvento dell’e-commerce: negli ultimi 5 anni nell’UE il valore dei sequestri di merci contraffatte spedite per posta e tramite corriere espresso è aumentato dal 5,7% al 23%.
Cosa rende la moda così appetibile per i contraffattori? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Bana, avvocato penalista, partner dello Studio Bana di Milano e autore del libro “Tutela del Made in Italy: tra profili giuridici, brand storytelling e litigation pr” (The Skill Press, 2019), tra i più autorevoli esperti in Italia di Fashion Law e diritto della proprietà industriale.
“Sicuramente l’industria della moda è uno degli ambiti economici più dinamici, a livello nazionale e internazionale, in quanto è dettato da tendenze in continua evoluzione. I marchi della moda, infatti, devono costantemente reinventarsi e lanciare sul mercato nuovi e diversi prodotti nello sforzo di essere sempre al top e di affrontare in modo efficace le sfide del mercato digitale. La moda italiana, in particolare, è tra le più copiate in assoluto, determinando ogni anno ben 9,9 miliardi di euro di mancate vendite. Quanto alla provenienza, il produttore primario è la Cina, cui è riconducibile il 48,8% dei beni contraffatti sequestrati in commercio”.
Ma quali sono le armi a disposizione della lotta alla contraffazione?
“Negli ultimi anni si sono affinati gli strumenti di contrasto al mercato del falso. La legge 23 luglio 2009 n.99 ha introdotto ad esempio sanzioni più severe adeguate alla gravità del fenomeno, nuove fattispecie di reato e certezza del momento consumativo del reato a garanzia dei marchi-brevetti già oggetto di registrazione. La legge 13 agosto 2010 n.136 ha esteso ai reati più gravi di contraffazione i poteri investigativi un tempo riconosciuti dalla sola legislazione antimafia. La Legge 14 gennaio 2013 n. 9 ha consentito l’avvio e l’uso di intercettazioni telefoniche per i reati di contraffazione. La Finanziaria 2004 infine ha previsto che l’ingresso nel territorio italiano di prodotti falsi «Made in Italy» si configura già in dogana”.
I mezzi dunque non mancano ma, conclude l’avv. Bana, “diverse sono le criticità che si possono riscontrare nelle attività di sequestro e svariate anche le problematiche attinenti alla procedura penale, ad esempio: individuare le fattispecie di reato da contestare, predisporre un’efficace comunicazione delle notizie di reato che contenga una motivazione idonea a sostenere il sequestro dei prodotti contraffatti, oppure ancora ottenere adeguata collaborazione durante il sequestro dai titolari/consulenti delle aziende dei marchi contraffatti”.
Devi fare login per commentare
Accedi