Moda & Design
Di moda e spauracchi: magrezza è mezza bellezza?
Siamo alle solite: diciamo sempre che è una questione vecchia come il mondo, che non può considerarsi neanche una notizia, ma appena scoppia una querelle sulla magrezza di una modella in copertina ci incuriosiamo. L’ultima cover di Marie Claire Italia, in edicola da qualche giorno, omaggia una modella un tantino emaciata, quasi esangue. Neanche a dirlo: i lettori hanno sommerso la redazione di reclami, rimbalzati anche in rete dopo una presa di posizione di Michela Murgia, scrittrice (“Quando cominceremo a reagire sul serio e tutte insieme alla costruzione di una simile idea di donna?”). La secchezza della ragazza ha urtato più di una sensibilità, segno che la bellezza è una questione politica e sociale.
Non ha tardato ad arrivare la replica di Antonella Antonelli, direttore della rivista targata Hearst Italia. La Antonelli, scusandosi per aver suscitato indignazione, ha precisato che la redazione non crede in un solo ideale di bellezza femminile, bensì “nella consapevolezza di ogni donna di sentirsi bene nella propria pelle, compresa in una sana taglia 38”. Ha poi avvalorato questa posizione ricordando ai suoi lettori che la copertina di Ottobre celebrava una donna più in carne. Ma non è servito a molto.
Sono anni che la moda, le copertine vengono additate come la matrice dei disturbi alimentari delle donne. Per questo, allorché una fiera Kate Moss dichiarò che “Niente è meglio che essere magri”, si accese l’ira di quanti lessero nella frase choc uno spot pro anoressia. Stessa storia qualche mese fa: la top model inglese Charli Howard non le ha mandate a dire alla sua agenzia che la voleva ancora più magra di una taglia 38. Sulle responsabilità di stilisti, editori, caporedattori, fotografi e compagnia cantante del settore potremmo discettare fino a Natale e non cavare un verme dal buco.
Ai tempi della swinging London, il Daily Express incorona Lesley Hornby, per tutti Twiggy (la smilza), volto dell’anno, e di un’epoca. Le teenagers (specie inglesi, americane e francesi) impazziscono per l’inglesina nata in un sobborgo di Londra. Vogliono il suo taglio di capelli e il suo girovita. Twiggy è l’archetipo di nuova bellezza, in antitesi al mito di Marilyn. Delle pin-up, dei loro corpi pieni e delle loro chiome cotonate non è più il tempo. E neanche della venustà di Audrey Hepburn.
La moda è un’industria, interessata a mettere bene in mostra i capi, le cuciture, le rifiniture, nient’altro. Certo, ci sono al suo interno personalità, direi icone, che potrebbero impegnarsi sul serio a veicolare messaggi nuovi, alternativi, al di là dello spiegone circostanziato all’ennesima diatriba. L’ostinazione per la donna androgina è da condannare. È massificante e pure poco originale.
Più interessante sarebbe una moda che invita all’ironia, alla ricerca della propria personalità, suggerendo modelli che, nella storia, hanno coniugato stile e cultura. Lo va dicendo con forza Patrizia Finucci Gallo, fashion blogger, scrittrice e giornalista, che con un che di retrò, incalza tutte noi ad andare contro corrente, imitando le grandi della letteratura e del giornalismo. Singolare in questo senso l’ultima campagna pubblicitaria di Patrizia Pepe W.o.m.a.n., spiritosa e sopra le righe.
Cambiare si può, se si vuole. Come in tutte le politiche, d’altronde.
La verità è che oggi sfogliamo le riviste con tre, quattro stati d’animo: curiosità, ansia, invidia, perplessità. È ingiusto, dal momento che le prime destinatarie di tutte queste immagini, di tutti questi messaggi siamo proprio noi donne. Desideriamo magazine, servizi fotografici con modelle che scartano caramelle, leggono libri, guardano film, mettono il broncio, sognano, cucinano, lavano i piatti. Sarebbe tutta un’altra moda.Una moda più popolare e meno elitaria. Una moda vicina alle donne, con le donne.
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