Geopolitica

Una globalizzazione democratica è possibile

18 Gennaio 2016

Quando si tratta il fenomeno globalizzazione il primo aspetto che comunemente emerge è quello economico. Un mercato potenzialmente concorrenziale nel quale ogni azienda ed ogni individuo possono competere nel mercato globale vendendo i propri prodotti ad un pubblico nettamente più ampio.

Diversamente dai mercati nazionali, che sono sostenuti e controllati dalle istituzioni politiche locali, i mercati globali sono debolmente intrecciati con il contesto politico  locale, sfuggendo alle governance autoctone.

Lo squilibrio tra la dimensione nazionale dei governi e la natura globale dei mercati è la fonte di scontro principale tra i due soggetti economico-istituzionali in quanto dare un potere eccessivo ai governi potrebbe portare all’autarchia ed al protezionismo, invece lasciare troppa libertà ai mercati potrebbe generare un’economia nazionale instabile, snaturando il fine sociale della crescita economica ovvero il miglioramento delle condizioni economiche di chi si trova in condizioni di povertà, oltre che all’indebolimento politico degli Stati nazionali e delle relative democrazie.

Fino al diciottesimo secolo gli eccesivi costi di transizione degli scambi commerciali su lunga distanza ( rappresentati principalmente dalle difficoltà di comunicazione, dalle vie di trasporto, dai dazi doganali e dai maggiori rischi per chi investiva fuori dal mercato nazionale ) rallentarono l’espansione del commercio mondiale. Solo gli imperi coloniali incrementarono il mercato interno ( ad esempio il Commonwealth britannico ) grazie a endemici fattori interni quali, ad esempio l’uso di una lingua e di una moneta comune oltre che ad accordi commerciali privilegiati.

Il novecento può essere considerato come il secolo della svolta. Infatti,  grazie alle nuove tecnologie che rivoluzionarono il trasporto delle merci, alle rivoluzionarie innovazioni tecnologiche e agli effetti del gold standard , si posero le basi per la prima vera globalizzazione finanziaria ed economica del pianeta.

Il gold standard, in accordo tra le più influenti economie del tempo, consentiva ai capitali di spostarsi liberamente tra i mercati internazionali senza il timore di cambiamenti arbitrari nel valore delle valute. Ogni valuta nazionale aveva infatti la sua parità aurea la quale fissava rigidamente sia il suo valore all’oro che i tassi di scambio tra le monete. Un qualsiasi investitore poteva così investire le proprie risorse finanziare riducendone al minimo il rischio.

Essendo il gold standard incentrato sul rapporto moneta/oro ( ad ogni unità di moneta in circolazione corrispondeva una determinata quantità d’oro nelle casse della banca nazionale ) non permetteva alle banche centrali ed ai governi nazionali di esercitare il diritto di poter operare autonome politiche monetarie.

Questo primo tentativo di governance globale non resse però alle conseguenze socio-politiche della prima guerra mondiale a causa del diffondesi di un sentimento nazionalista che fu da propulsore per le rivendicazioni dei governi nazionali di voler incidere autonomamente sulle politiche economiche e monetarie. Una società politicamente più forte che richiedeva, a causa della mancanza di estese reti di protezione e di ammortizzazione sociale come quelle attuali, politiche protezionistiche più incisive per tutelare le proprie industrie dagli effetti negativi del mercato internazionale. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra intrapresero così politiche protezionistiche con l’obiettivo di salvaguardare l’economia interna ma, per i primi, fu una delle cause della Grande depressione del 1929.

Ancor prima che cessasse la Seconda guerra mondiale emerse la necessità di istituire  un nuovo ordine mondiale all’economia ed al commercio post bellico. Dopo il fallimento del gold standard emerse con forza la volontà di liberalizzare maggiormente i mercati e gli scambi commerciali assicurando però ai governi un giusto margine di autonomia.

Nel 1944 a Bretton Woods  si incontrarono i delegati di 44 paesi ( tra cui  l’inglese Harry Dexter White e l’americano John Maynard Keynes ) per elaborare una nuova governance economica che rispondesse alle nuove esigenze politico-economiche: un concetto che fu da propulsore per l’economia mondiale dei successivi trent’anni, il multilateralismo.

Multilateralismo indicava che l’imposizione del rispetto dei rapporti economici tra le nazioni doveva avvenire grazie alla mediazione di istituzioni internazionali anziché attraverso la politica di potenza o di governo imperiale. Un sistema per dare voce alle nazioni più povere e meno potenti economicamente e politicamente, tutelandone gli interessi. Vennero così istituite organizzazioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale ( FMI ), la Banca Mondiale e il GATT ( Accordo generale sulle tariffe e il commercio ).

Grazie agli accordi multilaterali diminuì l’incidenza delle restrizioni alle importazioni in vigore dagli anni Trenta ( per mezzo di una sensibile riduzione delle tariffe doganali ) offrendo nuovi stimoli agli scambi commerciali internazionali. La ritrovata crescita economica che ne conseguì contribuì a ridare ai mercati quel senso perduto di sicurezza e di stabilità. Anche i paesi più poveri vennero trascinati da quest’ondata di ottimismo riuscendo a ricavarne benefici interni.

Ma nel 1995, con l’istituzione del l’Organizzazione mondiale per il commercio ( OMC ), la governance del mercato globale cambiò verso in quanto la conduzione dell’economia venne sottomessa sempre più al libero arbitrio del commercio e della finanza internazionale. L’integrazione globale dei mercati e dei capitali doveva dunque diventare una fine in sé, integrando o inglobando le agende economiche e politiche nazionali.

I governi dei paesi meno inclusivi e reticenti diventarono così un ostacolo al mercato globale anziché essere indispensabili al suo funzionamento e quindi dovettero essere ridimensionati incorrendo anche in possibili ritorsioni politiche e commerciali. Anche le normative nazionali vennero sottoposte ad esame dell’OMC per essere armonizzate con il quadro normativo internazionale.

Se nel mercato dei beni si operò per un’armonizzazione delle normative, nel mercato finanziario e nella gestione dei flussi di capitali delle transazioni internazionali venne preso un indirizzo diametralmente opposto: un far west normativo per impedire sempre più un coordinamento tra le diverse istituzioni economiche nazionali stimolando così la “ perversa “ creatività delle maggiori piazze finanziarie ( in particolare Wall Street e la City londinese ) diventando una delle principali cause dell’attuale crisi economica.

La storia del travagliato rapporto tra le necessità dell’economia globalizzata e l’autonomia decisionale dei governi nazionali avvalora la tesi che per superare lo scontro tra i mercati globalizzati ed i governi nazionali si dovrebbe pensare ad una soluzione intermedia: una governance globale composta da istituzioni sovranazionali con poteri legislativi e sanzionatori, insediate e vincolate dalla legittimità democratica come ad esempio l’Unione Europea.

L’Unione Europea ha raggiunto un elevato livello di integrazione: sono state infatti abbattute le frontiere per abbassare sia i costi di transizione che per consentire una maggiore libertà di movimento dei lavoratori e dei cittadini europei all’interno dei confini comunitari, sono stati sottoscritti trattati su innumerevoli materie allo scopo di armonizzare il mercato interno, è stata istituita una Corte Europea di giustizia per vigilarne l’attuazione, sono state create istituzioni legiferanti legittimate democraticamente quali il Parlamento Europeo e si è adottata una moneta comune.

Se l’Europa può essere presa ad esempio come regione del mondo con la maggior integrazione economica, deve purtroppo essere considerata un work in progress per quanto concerne l’integrazione politica. Infatti il parlamento democraticamente eletto più che organo legiferante funziona da arena di scontro tra i maggiori gruppi politici presenti, in quanto il potere effettivo risulta essere nelle mani del Consiglio Europeo ( composto dai capi di Stato e di Governo ) e della Commissione Europea.  L’applicazione delle leggi comunitarie deliberate sarà comunque demandata ai governi nazionali i quali, prendendosi tutto il tempo necessario, omogeneizzeranno le rispettive leggi nazionali alle direttive europee.

Ma la mancanza di una struttura europea di governance politica forte e radicata determina inoltre che in caso di emergenze o decisioni politiche tempestive ogni nazione agisca per conto proprio senza alcun coordinamento, in virtù delle rispettive convenienze.

Il dopo Bretton Woods testimonia che se ci si dirige unicamente verso una fusione a freddo dei mercati si produrranno effetti negativi sia a livello economico che a quello democratico-sociale. E’ doveroso dunque ripensare ad un concetto diverso di globalizzazione che si ponga l’obiettivo di realizzare una bilanciata convivenza tra le necessità del mercato globale e il rispetto delle prerogative democratiche dello stato di diritto.

Come per l’Unione Europea, se il processo di integrazione economica mondiale è in uno stato avanzato, quello politico è in un uno stato embrionale in quanto risente  degli egoismi interni e delle rendite di posizione dei singoli Stati. Per garantire una governance capace di confrontarsi con le nuove sfide del mondo globalizzato è imperativo dunque che, chi detiene il potere politico in ogni Stato, faccia un passo indietro per farne fare uno in avanti al futuro del nostro pianeta.

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