Macroeconomia

Ultima chiamata – Dal 31 ottobre 2019 per l’Italia è game over

22 Dicembre 2016

Con ogni probabilità il 31 ottobre 2019 suonerà la campana del game over” per l’Italia e non si tratterà del solito “penultimatum” di andreottiana memoria. In quella data andrà a scadenza l’attuale presidenza della BCE e, verosimilmente, sarà eletto il primo presidente tedesco della Banca centrale europea.

Mancano 34 mesi: un tempo infinito per il corto respiro della politica italiana, un attimo per la dimensione dei problemi che abbiamo davanti. Se si dovesse sprecare anche questa possibilità, sarebbe la terza (terza!) occasione mancata per l’Italia negli ultimi 20 anni. Quello che succederà non è difficile da immaginare. Alcuni importanti “soggetti”, in giro per il mondo, senza alcuna necessità di complotti palesi o occulti, si muoveranno in perfetto sincronismo per far vedere al paese, come si dice a Roma, i “sorci verdi” ovvero per farci passare un brutto quarto d’ora, meglio: di secolo.

Ci sono state già 2 occasioni che, come paese, abbiamo sciaguratamente mancato. La prima è stata l’apertura di credito ottenuta con l’ingresso nell’euro, il 1° gennaio 1999. Quella che oggi è considerata da molti la causa (!) dei nostri mali, è stata una” manna dal cielo” (in realtà una faticosa e sudata conquista) che ha abbattuto l’inflazione e i tassi a due cifre per dare a noi, paese indebitato con gravi problemi strutturali e di investimento, un’occasione lunga 10 anni (10 anni) per riprendere un sentiero di sviluppo sano e duraturo.

Nessun grafico come il seguente fa toccare con mano questa enorme opportunità (Beniamino Andreatta l’aveva chiamata il dividendo europeo) irrimediabilmente sfumata.

Dieci anni (1999-2008) di spread, rispetto al Bund tedesco, azzerati per tutti i paesi dell’Euro; dieci anni di tassi nominali bassi e stabili (sul 3.5% il BTP a 5 anni) e tassi reali sull’1.8% in linea con la crescita reale.
Un’opportunità che ha fatto scendere il rapporto debito/pil dal 113 al 100%, il minimo storico mai più raggiunto (oggi siamo oltre il 135%).

Poi c’è stata la terribile crisi mondiale del credito, la nostra seconda grande occasione mancata. Constatata la relativa robustezza del nostro sistema bancario allo scoppio della bolla dei derivati non si è colta l’opportunità di rafforzarlo dove invece era estremamente carente: governance e patrimonializzazione. E anche quegli anni, pre bail-in e pre burden sharing, se ne sono andati.

Infine, alla crisi economica si è sommata la crisi dei debiti sovrani del 2011. Lo spread ha raggiunto in poco tempo (novembre 2011) qualcosa come 630 punti base. Il collasso economico-finanziario del sistema italiano si è materializzato in modo drammatico. Eppure in quei giorni, complice la stessa crisi europea, si è creata l’ultima occasione per l’Italia e, in realtà, per la stessa costruzione europea.

La presidenza di Mario Draghi ha subito invertito il segno della politica monetaria della BCE e ha messo gradualmente in campo tutti gli strumenti (OMT, LTRO, QE…) perché, “whatever it takes”, l’euro fosse messo al riparo dagli attacchi della speculazione internazionale.

Draghi ha piegato le aspettative generali e ha ridotto lo spread italiano (e non solo) da 600 a meno di 100 punti base.
Il problema è che il “whatever it takes” si è ormai trasformato in “whenever he stays”. Mancano 34 mesi. Questo è il tempo che ci resta per costruire un nostro “scudo” anti-spread disinnescando, con un credibile piano di rientro e un grande progetto nazionale, la bomba del debito e la crisi di crescita che ci attanaglia da oltre 20 anni.

Diversamente la drammatica crisi del 2011 sarà stata solo un antipasto.

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