Geopolitica
Ucraina, dove ci porta la nuova globalizzazione?
Gli effetti domino della guerra in Ucraina, insieme agli altri conflitti in atto, le condizioni meteorologiche estreme, le crisi economiche, l’impatto persistente del COVID-19, spingono milioni di persone in tutto il mondo verso povertà e fame, mentre l’aumento del prezzo del cibo e del carburante spingono le nazioni verso l’instabilità.
Mentre le catene di approvvigionamento entrano nel loro terzo anno di congestionamento i governi e le aziende stanno ripensando a come affrontare il tema della loro vulnerabilità, autosufficienza e sicurezza. I principali economisti ritengono probabile o molto probabile che nei prossimi tre anni le multinazionali regionalizzino e diversifichino le loro catene di approvvigionamento, riallineandole lungo linee di frattura geopolitiche.
L’edizione di novembre 2021 del Chief Economists Outlook ha identificato la “deglobalizzazione” come una tendenza emergente alimentata dall’impatto della pandemia. La guerra in Ucraina e le sue ricadute geopolitiche ed economiche stanno accelerando queste tendenze, con l’integrazione fisica in declino e l’attrito nello spazio virtuale in crescita. La maggior parte dei principali economisti intervistati prevede un’ulteriore frammentazione dei mercati dei beni, della tecnologia e del lavoro nei prossimi tre anni, mentre i servizi rimarranno stabili o diventeranno più globalizzati.
La guerra in Ucraina, le ondate in corso di varianti COVID-19 e gli shock associati all’offerta stanno pesando sulle aspettative di inflazione. La maggior parte dei capi economisti intervistati dal World Economic Forum prevede un’inflazione alta o molto alta nel 2022 in tutti i mercati tranne Cina e Asia orientale: il 96% prevede un’inflazione alta o molto alta negli Stati Uniti, il 92% in Europa e l’86% in America Latina.
Parallelamente due terzi dei più autorevoli economisti si aspetta che i salari reali medi diminuiscano a breve termine nelle economie avanzate, mentre un terzo non è sicuro che ciò avvenga. Il 90% degli intervistati si aspetta che i salari reali medi diminuiscano nelle economie a basso reddito.
La guerra in Ucraina sta esacerbando la fame nel mondo e la crisi del costo della vita. Nei prossimi tre anni i principali economisti prevedono che l’insicurezza alimentare sarà più grave nell’Africa subsahariana, nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Procedendo sulla traiettoria attuale il mondo è diretto verso la peggiore crisi alimentare della storia recente, aggravata dall’ulteriore pressione degli alti prezzi dell’energia.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) ieri hanno diffuso un avvertimento riguardo alle molteplici crisi alimentari incombenti, trainate da conflitti, shock climatici e dalle ricadute del COVID-19. La pandemia e il massiccio onere del debito pubblico, acuito dall’effetto domino della guerra in Ucraina, hanno spinto molte nazioni del mondo verso violente speculazioni sui prezzi dei generi alimentari e dei carburanti, in contesti già caratterizzati da emarginazione rurale e grandi fragilità.
Il rapporto “Hunger Hotspots: FAO and WFP Early Warnings on Acute Food Insecurity”, pubblicato ieri, chiede un’azione umanitaria urgente per prevenire gravi situazioni di carestia in 20 hunger hotspots (focolai di fame), dove si prevede un peggioramento della fame acuta tra giugno e settembre 2022.
Il rapporto non dimentica che la guerra in Ucraina ha aggravato il costante aumento dei prezzi di cibo ed energia in tutto il mondo, che sta già pregiudicando la stabilità economica in tutte le regioni. Si prevede che gli effetti saranno particolarmente acuti quando l’instabilità economica e l’aumento vertiginoso dei prezzi si combineranno col calo della produzione alimentare dovuto a shock climatici come siccità o inondazioni ricorrenti.
“Siamo profondamente preoccupati per l’impatto combinato di crisi sovrapposte che mettono a repentaglio la capacità delle persone di produrre e accedere al cibo, spingendo altri milioni di persone a livelli estremi di grave insicurezza alimentare”, ha affermato il Direttore Generale della FAO, WH Dongyu. “Siamo in corsa contro il tempo per aiutare gli agricoltori nei paesi più colpiti, anche occupandoci del rapido aumento della produzione alimentare potenziale e della costruzione della loro resilienza di fronte alle sfide future”.
“Siamo di fronte a una tempesta perfetta che non solo danneggerà i più poveri tra i poveri, ma travolgerà anche milioni di famiglie che finora hanno tenuto la testa fuori dall’acqua”, ha avvertito il Direttore Esecutivo del WFP David Beasley.
“Le condizioni ora sono molto peggiori che durante la Primavera araba del 2011 e la crisi dei prezzi alimentari del 2007-2008, quando 48 paesi sono stati scossi da disordini politici, rivolte e proteste. Abbiamo già visto cosa sta succedendo in Indonesia, Pakistan, Perù e Sri Lanka: questa è solo la punta dell’iceberg. Abbiamo soluzioni, ma dobbiamo agire e agire in fretta”, ha avvertito David Beasley.
Infatti, tra le varie difficoltà incontrate dalle popolazioni che vivono nei paesi in via di sviluppo, la crisi dei prezzi alimentari è una delle peggiori.
Ciò riguarda anche i rifugiati. Anche gli aiuti alimentari umanitari sono diminuiti. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati, ma il budget del WFP rimane lo stesso. Il contenuto del paniere di beni elementari garantito ai rifugiati in Africa e Medio Oriente nell’ultimo periodo è diminuito fino al 44%. Non è un caso che le razioni alimentari distribuite dalle Nazioni Unite nei campi profughi Saharawi di Tindouf o in quelli del Sahel, situati nel sud della Mauritania, diminuiranno probabilmente ancora di più, del 50% secondo i calcoli del WFP, a causa all’aumento dei prezzi di cereali e merci varie.
Il rapporto rileva che, insieme ai conflitti, gli shock climatici frequenti e ricorrenti continuano a causare una fame acuta e mostra che siamo entrati in una “nuova normalità” in cui siccità, inondazioni, uragani e cicloni decimano ripetutamente l’agricoltura e il bestiame, causano sfollamento della popolazione e spingono milioni di persone al limite della sopravvivenza nei paesi di tutto il mondo.
Il rapporto sottolinea anche la gravità delle terribili condizioni macroeconomiche create in diversi paesi dalle ricadute della pandemia di COVID-19 e aggravate dalle recenti turbolenze nei mercati alimentari ed energetici globali. Queste condizioni stanno causando drammatiche perdite di reddito tra le comunità più povere e stanno mettendo alla prova la capacità dei governi nazionali di finanziare gli ammortizzatori sociali, le misure di sostegno al reddito e l’importazione di beni essenziali.
Secondo il rapporto Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen rimangono in “allerta elevata” come hotspot con condizioni catastrofiche e Afghanistan e Somalia, nell’ultimo rapporto sugli hotspot pubblicato nel gennaio 2022, vengono registrati come nuovi ingressi in questa preoccupante categoria. Questi sei paesi hanno settori della popolazione che affrontano la fase 5 “Catastrofe” dell’IPC o rischiano di veder deteriorare le proprie condizioni precipitando verso la catastrofe, con un massimo di 750.000 persone che rischiano la fame e la morte. 400.000 si trovano nella regione del Tigray in Etiopia, il numero più alto registrato in un paese dalla carestia in Somalia nel 2011.
Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Sahel, Sudan e Siria continuano a essere “molto preoccupanti” per il deterioramento delle condizioni già critiche, come già registrato nell’edizione precedente di questo rapporto, con il Kenya new entry nella lista. Sri Lanka, paesi costieri dell’Africa occidentale (Benin, Capo Verde e Guinea), Ucraina e Zimbabwe sono stati aggiunti all’elenco dei paesi hotspot, unendosi ad Angola, Libano, Madagascar e Mozambico, che continuano a essere hotspot della fame, secondo il rapporto.
A maggio l’Indice FAO dei prezzi alimentari è sceso
I parametri di riferimento mostrano che i prezzi internazionali degli olii vegetali e dei prodotti lattiero-caseari sono in calo, mentre quelli del grano, del riso e del pollame sono in aumento. L’Indice FAO dei prezzi alimentari a maggio 2022 ha raggiunto una media di 157,4 punti, in calo dello 0,6% rispetto ad aprile. Tuttavia, l’indice, che tiene traccia delle variazioni mensili dei prezzi internazionali per un paniere di prodotti alimentari comunemente scambiati, ha registrato prezzi superiori del 22,8% rispetto a maggio 2021.
L’Indice FAO dei prezzi dei cereali è aumentato del 2,2% rispetto al mese precedente, trainato dai prezzi del grano, che sono aumentati del 5,6% da aprile e del 56,2% rispetto a marzo di un anno prima. I prezzi internazionali del grano in media si trovano al di sotto del massimo storico raggiunto nel marzo 2008 solo dell’11% e sono aumentati in risposta a un divieto di esportazione annunciato dall’India e alle preoccupazioni per le condizioni dei raccolti in molti dei principali paesi esportatori, nonché per le ridotte prospettive di produzione in Ucraina a causa alla guerra. Anche i prezzi internazionali del riso sono aumentati su tutta la linea, mentre i prezzi dei cereali grossi sono scesi del 2,1% e quelli del mais sono ulteriormente diminuiti in linea con le condizioni leggermente migliori del raccolto negli Stati Uniti d’America, le forniture stagionali in Argentina e l’imminente inizio della principale produzione di mais del Brasile.
“Le restrizioni alle esportazioni creano incertezza nel mercato e possono portare a picchi e a una maggiore volatilità dei prezzi. Il calo dei prezzi dei semi oleosi mostra quanto sia importante rimuoverle e consentire alle esportazioni di fluire senza intoppi”, ha affermato Máximo Torero Cullen, capo economista della FAO.
Le prime prospettive per la produzione cerealicola mondiale nel 2022 ora indicano un probabile calo, il primo in quattro anni, a 2.784 milioni di tonnellate, in calo di 16 milioni di tonnellate rispetto alla produzione record stimata nel 2021, secondo quanto afferma l’ultimo Rapporto sull’offerta e la domanda di cereali della FAO.
Tra cibo ed energia: nuovi legami economici delle imprese private
La guerra in Ucraina ha creato all’Europa un urgente bisogno di riconsiderare non solo la sua politica alimentare, ma anche la sua politica energetica.
Il World Economic Forum ha convocato uomini d’affari e responsabili politici per guidare la transizione verso l’energia pulita, vista la carenza di petrolio e gas indotta dalla guerra. Nel quadro della globalizzazione economica sta diventando sempre più concreto un nuovo business. A Davos, il settore privato ha mostrato il suo ruolo fondamentale, da svolgere, ovviamente, solo se incoraggiato da un adeguato quadro normativo e politico.
In questo senso il CEO Action Group for the European Green Deal ha pubblicato il suo Manifesto sull’attuazione del Green Deal europeo nel nuovo contesto globale. Il CEO Action Group, che rappresenta 50 aziende europee con un fatturato annuo complessivo di 1.400 miliardi di euro, ha rinnovato il suo impegno per l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030. Il gruppo ha affermato che concentrerà i suoi sforzi non solo sull’energia ma anche sui sistemi alimentari, la cui insicurezza è stata svelata anche dopo l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio.
Il manifesto specifica quattro obiettivi cruciali per realizzare questa trasformazione verde: ecosistemi di innovazione; mercati del lavoro; standard di sostenibilità e finanziamento. E chiede una più stretta collaborazione coi responsabili politici nazionali e regionali per facilitare tale trasformazione. In questo modo le aziende private si avvicinerebbero sempre piu ai governi dei paesi.
Osservando questo processo la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha sottolineato il ruolo cruciale che il settore privato dovrà svolgere. “Il passaggio a emissioni nette zero [la rimozione dall’atmosfera di tutto il gas serra prodotto dall’uomo] può avere successo solo se il settore privato fornisce un contributo decisivo”, ha affermato. “È importante che i leader delle imprese e del settore mantengano gli impegni del Green Deal europeo”.
“L’Unione Europea è determinata a porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili russi il prima possibile. Dobbiamo aumentare gli investimenti nelle tecnologie del futuro e smettere di finanziare la macchina da guerra di Putin”, ha avvertito il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans. “Le energie rinnovabili sono la risposta. Accelerando la diffusione di energia solare, eolica, biometano e idrogeno rinnovabile, il piano RePowerEU accelera notevolmente la transizione dell’Europa verso la neutralità climatica”.
“L’attuale panorama geopolitico globale ha segnato una svolta per l’Europa. L’esigenza della sicurezza energetica ha accresciuto la necessità di raggiungere gli obiettivi climatici con un calendario accelerato, pertanto il CEO Action Group per il Green Deal dell’UE sarà fondamentale per definire la traiettoria per la transizione verde dell’Unione europea. Il manifesto di oggi segna un momento importante per la comunità e rafforza la necessità di una cooperazione pubblico-privato per raggiungere le ambizioni climatiche”, ha affermato Børge Brende, presidente del World Economic Forum.
“Ora è il momento di posizionare l’Europa come leader riconosciuta della transizione verde”, ha affermato Ester Baiget, CEO e presidente dell’azienda biotecnologica danese Novozymes. “Con la biotecnologia, possiamo raggiungere una società climaticamente neutra e nutrire il nostro mondo in crescita in modo più sostenibile riducendo il consumo di suolo, l’uso di sostanze chimiche e gli sprechi alimentari. Il potenziale è davvero sorprendente”, ha affermato Baiget. “Ma richiede una leadership coraggiosa e forze congiunte, con un quadro normativo che supporti lo sviluppo e i giusti incentivi per spostarci nel futuro, invece di restare nelle soluzioni del passato basate sui combustibili fossili. Le imprese e i leader dell’UE devono collaborare per rendere l’Europa più verde e più sostenibile, guidando il percorso verso una crescita economica inclusiva”.
La domanda è: vogliamo davvero attuare finalmente il Green Deal dell’UE o vogliamo trovare una scusa affinché le aziende private prendano più spazio e rilevanza nella politica energetica e alimentare nazionale?
“La libertà deve venire prima del commercio”.
Così dice il Segretario Generale della NATO accogliendo Finlandia e Svezia. In un mondo in cui la pace si cerca facendo la guerra, il segretario generale Jens Stoltenberg è fiducioso che Finlandia e Svezia saranno accolte nella famiglia NATO delle nazioni libere, rivolgendo un “severo rimprovero all’aggressione russa e diffondendo pace e democrazia”.
In risposta alla guerra la NATO aumenta le spese per la difesa, dispiega gruppi di battaglia nella parte orientale dei paesi dell’Alleanza, mette in allerta 100.000 soldati e, per la prima volta, un gruppo pronto anfibio statunitense è posto sotto il comando della NATO. Non ci sono fondi per il WFP e per combattere la crisi alimentare, ma non sentiremo mai parlare di crisi degli armamenti.
In una sessione di domande e risposte con Børge Brende, presidente del World Economic Forum, dopo il suo discorso, Stoltenberg ha sottolineato una lezione chiave della guerra in Ucraina: le relazioni economiche con i regimi autoritari possono creare vulnerabilità. “La libertà è più importante del libero scambio”, ha affermato, e “proteggere i nostri valori è più importante del profitto”. Ma, Zelensky e Azov sarebbero democratici, per caso?
Pubblicato nella newsletter di PuntoCritico del 7 giugno 2022
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