Macroeconomia

Reddito minimo: Ricolfi e il suo reddito di Pulcinella

29 Dicembre 2016

Luca Ricolfi, sul Sole24ore del 29 Dicembre, sostiene che il reddito di cittadinanza sarà uno dei temi principali del dibattito politico nel 2017.

Non solo perché dopo il M5S anche Silvio Berlusconi, a cui non difetta l’istinto su dove tira il vento, ha manifestato un certo interesse, ma perché si presta più di altri temi ad essere manipolato.

Perciò Ricolfi nel seguito dell’articolo cerca di fare un po’ di chiarezza.

Distingue tra reddito di cittadinanza, l’erogazione di un reddito a tutti i “cittadini” indipendentemente dalle loro condizioni economiche, e reddito minimo, ovvero un’integrazione al reddito per chi non guadagna abbastanza da raggiungere o superare la soglia di povertà.

Ricolfi tiene a precisare che mentre in televisione gli esponenti del M5S parlano di reddito di cittadinanza, in Parlamento hanno depositato un disegno di legge per una forma di reddito minimo.

Del primo non esistono casi reali, il secondo è diffuso al punto che davvero, come sostiene il M5S,  solo l’Italia è fra i pochissimi a non contemplarlo, perché ha preferito adottare ciò che Ricolfi ha battezzato il reddito Arlecchino, inefficiente e inefficace.

In sintesi, secondo Ricolfi, il reddito di cittadinanza è insostenibile per le casse dello  Stato e ingiusto (aiuta anche chi non ne ha bisogno), il reddito minimo è costoso nella sua applicazione e alimenta comportamenti opportunistici (lavoro poco perché lo Stato integra il mio reddito fino al raggiungimento della soglia di povertà e poi champagne a fiumi).

Dopo questa disamina, Ricolfi scarta a destra e introduce un ulteriore forma di integrazione al reddito: l’imposta negativa.

Una soluzione caldeggiata da von Hayek e Milton Friedman, che i liberali come Ricolfi vedono come i cavalieri Jedi, con J. M. Keynes nella ruolo di Darth Vader, tirato per la giacchetta dal lato oscuro della Forza.

L’imposta negativa funziona così:

“coloro che non guadagnano nulla o guadagnano di meno della soglia che individua la no-tax area, e dunque sono “incapienti” , il fisco applica una aliquota negativa  ovvero colma in parte il gap fra quel che il soggetto guadagna effettivamente e la soglia della no-tax area.”

Per Ricolfi i vantaggi dell’imposta negativa sono evidenti e superiori a quelli del reddito minimo. Anche se non è affatto così.

Innanzitutto, entrambi prevedono un integrazione del reddito fino al raggiungimento di una certa soglia. Il reddito minimo è un caso particolare di imposta negativa del 100%.

Poi, non è vero che l’imposta negativa è meno onerosa da gestire rispetto al reddito minimo. Dipende dai sistemi di gestione e controllo che presidiano i due sistemi.

Infine, non è vero che l’imposta negativa riduce il rischio di comportamenti opportunistici rispetto al reddito minimo. Se non per una visione un po’ paranoica della società.

A leggere Ricolfi, le persone consultano avidamente il bollettino Istat per sapere qual è la soglia di povertà (in Italia intorno agli  800 € mensili), poi con il proprio commercialista pianificano la propria vita lavorativa di conseguenza.

La credenza che individui abbiano un attaccamento quasi feticistico alla soglia di povertà è molto diffusa fra i liberali ed è uno degli argomenti più frequenti nel loro opporsi ad ogni forma di integrazione del reddito.

Ma quel furbacchione di Ricolfi cosa ha escogitato?

Un’integrazione che non consenta mai di raggiungere la soglia di povertà comunque definita che, secondo lui, è il Nirvana del cittadino scansafatiche.

Effettivamente con un’imposta negativa inferiore al 100% l’integrazione non è mai sufficiente a raggiungere la soglia di povertà.

Prendiamo il caso limite di un’imposta negativa del 99%, se manca 1 Euro per raggiungere la soglia di povertà lo Stato erogherà solo 99 cent.

E’ tutto da dimostrare che con un’imposta negativa sempre più bassa si riduca il rischio di comportamenti opportunistici. E non solo perché ricorda il vecchio adagio: abbassate le tasse e vedrete.

E’ certo  però che con un’imposta negativa inferiore a 100% si tradiscono le ragioni per cui si introduce una qualche forma di integrazione: lotta alla povertà e riduzione della disuguaglianza.

Questi obiettivi possono e devono essere discussi, ma lo stesso Ricolfi che dice di voler fare chiarezza, non accenna mai al perché uno Stato dovrebbe farlo e ipocritamente non si dice né favorevole né contrario.

E se non si identifica lo scopo ogni discussione risulterà sterile. Infatti Ricolfi e molti altri si nascondono dietro argomenti di apparente buon senso, che ricordano certi nonni, ma che in fondo riecheggiano gli imprenditori dell’800 per cui non bisogna pagare troppo e non bisogna lasciare tempo libero agli operai altrimenti si ubriacano e fanno figli.

Era Keynes o Darth Vader che diceva che gli uomini più spregiudicati sono vittime dell’influsso di qualche pensatore morto qualche tempo prima?

L’esempio portato da Ricolfi, di un’imposta negativa del 70%, forse e sottolineo forse disincentiva i comportamenti opportunistici, ma certamente non raggiunge l’obiettivo di combattere la povertà, per stessa ammissione del suo ideatore.

Per certi versi l’imposta negativa inferiore a 100% contraddice proprio i principi per cui in teoria andrebbe introdotta, penalizza chi non ha reddito e premia chi comunque riesce ad aver uno, per quanto basso.

Applicando lo stile di Ricolfi a se stesso, potremmo dire che lui suggerisce di passare dal reddito Arlecchino al Reddito Pulcinella, sempre di maschere si tratta.

Ai liberali in generale ricordo  invece che l’unica imposta negativa che azzera il rischio di comportamenti opportunistici è quella con valore nullo. Laffer docet

 

 

 

 

 

 

 

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