Macroeconomia
L’ISTAT: disoccupazione in diminuzione, PIL in aumento e tutti a far festa
Leggo con grande soddisfazione e soprattutto trepidazione l’enunciazione degli ultimi dati ISTAT, che fanno segnare un sorprendente e inaspettato aumento del PIL, accompagnato da una significativa riduzione della disoccupazione.
Dovremmo gioire, brindare al nuovo vento, far festa, soprattutto nel constatare che finalmente ci stiamo avvicinando alla media europea. Dopo tanti anni di frustrazioni, di cocenti delusioni, l’economia italiana comincia a sorridere, a fare gli scongiuri a tutti i portatori di iella e a tutti i detrattori, generalmente rappresentati dai soliti gufi. E’ come se dopo la tempesta, quando il cielo s’apre, come recita una bella poesia, la gente inizi a far festa. Tutto ad un tratto, alla luce di questi indici, le nuvole vengono spazzate via, temporali, acquazzoni, folate di vento, grandine e freddo appartengono oramai al passato. Tiriamo fuori il nostro abito più bello e accogliamo festosi questa inaspettata crescita, peraltro tanto bistrattata in questi ultimi mesi. Sorridiamo felici a questo nuovo raggio di sole fonte di rinnovato ottimismo che da qualche anno ci veniva rinfacciato.
Gentiloni e Renzi grondanti di gioia e di grande soddisfazione, in formato urbi et orbi si accreditano questo trend favorevole dell’economia italiana dovuto alle loro riforme varate dal governo Renzi Primo, con particolare riferimento a quelle del lavoro.
La sottolineatura auto referenziaria di Renzi, a seguito della felicissima notizia, mi ha spinto, come mio solito, ad approfondire certe enunciazioni, perché determinati indici, per quanto importanti, a volte anche se tendenti al bello, possono assumere una valutazione complessiva meno allegra, in virtù di altri indici che però evidenziano altri settori dell’economia o della vita sociale del paese che sono di tendenza negativa.
Sarebbe straordinariamente bello poter gioire di una crescita del PIL, che se pur inferiore alla media europea si attesti, come detto dall’ISTAT all’ 1,5% per effetto di un incremento strutturale dovuto a riforme efficaci. Lo stesso dicasi della disoccupazione in diminuzione, sempre che l’alchimia tra le varie tipologie di disoccupazione, a volte può lasciarci un po’ perplessi, soprattutto tra disoccupati in cerca di primo impiego, cronici e quelli che oramai il lavoro non lo cercano più, per non parlare poi dello scivolamento di lavoratori dal contratto di lavoro indeterminato a quello determinato, oramai rappresentato da inique forme di servile precariato. L’esame di questi dati se pur avvalorino un aumento dell’occupazione in termini di occupati globali, vede un forte incremento di lavoratori soggetti a precariato.
Si tace, o quanto meno se ne parla meglio è, della crisi del sistema bancario, con oltre 200 miliardi di sofferenze in pancia, che peraltro graveranno in termini ancora più pesanti con le nuove norme in materia di crediti dubbi varate dalla BCE. E cosa dire della prossima sostituzione di Draghi con la sospensione del quantitative easing, il pompaggio sul mercato monetario di 60/80 miliardi al mese di vera e propria carta straccia?
Se poi affrontiamo l’area dell’incremento della produzione manifatturiera, caratterizzata da un buon 5.5% di incremento delle esportazioni, faccio rilevare che nel corso di quest’ultimo anno l’euro nei confronti del dollaro si è apprezzato di circa il 12/13%. Quindi bisognerà verificare se l’incremento è frutto di un aumento della quantità dei prodotti esportati, oppure trattasi di un mero aumento del costo delle nostre merci per effetto dell’aumentato valore dell’euro. Fatto quest’ultimo che se dovese corrispondere al vero, dovrebbe farci preoccupare, in quanto se esportiamo a costi maggiori, avremo più concorrenza estera.
Solo che, aldilà di tutte questi aspetti legati ai vari indici economici che valutano un andamento in un determinato momento della vita del paese, ritengo che l’assenza di una vero programma strutturale che investa armoniosamente i vari comparti produttivi esista. Da decenni si va avanti con soluzioni tampone estemporanee, spesso disarticolate, dei veri e propri tappa buchi o interventi di vera miopia economica quale il tanto decantato Jobs Act renziano, costato sin’ora oltre venti miliardi che avrebbero potuto essere investiti in forme più produttive.
In conclusione se asseriamo che la festa per l’arrivo di questi indici ISTAT positivi, è stata guastata proprio da Renzi, forse non sbagliamo. Una sincera e più giusta autocritica sul proprio operato li consentirebbe di affrontare in termini di maggiore credibilità la campagna elettorale.
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