Macroeconomia

Le parole di Obama che sembrano una lezione all’Europa

3 Febbraio 2015

Dopo anni di prediche nel deserto, finalmente qualcuno si sta accorgendo che il rigore duro e puro rappresenta un danno, incarnando la vera forma di euroscetticismo. Perché la visione punitiva dei Paesi che “hanno sbagliato”, spendendo troppo, è il prodotto di una logica tutt’altro che unitaria. Ma purtroppo, per l’ennesima volta, sono gli Stati Uniti a impartire una lezione economica alla Vecchia Europa.

I recenti dati sulla ripresa americana erano già un importante indicatore per capire come, in fondo, a Washington abbiano saputo muoversi con intelligenza di fronte alla crisi, mentre la pachidermica Ue continua a baloccarsi in quisquilie formali e si avvita su misure di austerità da imporre ai Paesi, come la Grecia, rei di aver speso troppo. Senza tacere delle tensioni sul quantitative easing, salvo poi sorprendersi quando gli elettori premiano partiti che si pongono al di fuori del perimetro del rigore: lo scenario greco può riproporsi in Spagna, con Podemos, dilagando altrove, magari anche in Italia con un’eventuale risalita del  Movimento 5 Stelle, e con l’ulteriore pericolo che avanzino partiti nazionalisti in Paesi di grande tradizione democratica. Basti pensare alla Francia con il Front National di Le Pen.

Il discorso di Obama, concentrato sulla presentazione della finanziaria negli Stati Uniti, sembra guardare Oltreocenao con tanto di promozione alla svolta-Tsipras ad Atene. «Non puoi continuare a spremere i paesi che sono nel mezzo della depressione. Ad un certo punto, ci deve essere una strategia per la crescita, affinché possano pagare i loro debiti ed eliminare una parte dei loro deficit», ha detto Obama indicando una rotta keynesiana per l’uscita dalla crisi.

L‘analisi del capo della Casa Bianca suona come una musica soave per le orecchie di chi si è sgolato a criticare l’Europa del rigore cieco, sostenendo che era un suicidio. Le riforme strutturali, un mantra per i vertici di Bruxlles, sono difficili da fare «se il tenore di vita della gente è sceso del 25%. Alla lunga il sistema politico, la società non possono sopportarlo», ha affermato Obama. Quindi, dinanzi a un’economia disastrata serve un programma di “guerra”, senza spese pazze e incontrollate, ma verificando che gli investimenti siano funzionali alla crescita e non ingigantiscano il buco nero del bilancio statale.

L’Europa, in quanto Istituzione sovranazionale, potrebbe e dovrebbe rappresentare una garanzia in tal senso, evitando di ragionare su parametri ragionieristici (come il fatidico rapporto deficit/Pil da tenere sotto il 3%). Le soluzioni non sono a portata di mano, come insegna proprio la lezione obamiana. La crescita è arrivata dopo anni di crisi, ma solo grazie a un’azione lungimirante. E senza soffermarsi sui dettagli percentuali.

 

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