Macroeconomia

La guerra di Tito reloaded: quando tecnica e sinistra coincidono

7 Novembre 2015

Pare proprio che la guerra di Tito sia destinata a finire come la guerra di Piero e il testamento di Tito. E per giunta il buon Tito ha voluto sfidare la sorte mettendo alla sua proposta un titolo strano, “Non per cassa, ma per equità”, che per il suo incipit mi ricorda ancora il titolo di un pezzo di De André. Eppure la proposta di Tito Boeri, che il premier Matteo Renzi ha voluto alla presidenza dell’INPS, è stata gentile, rispetto a quella che avrebbe dovuto e potuto essere una proposta più estrema, come quella che leggerete qui. E soprattutto ha avuto la caratteristica di unire la qualità tecnica e il segno di una proposta di sinistra. E’ chiaro che chi è un tecnico, come il sottoscritto, ed è anche di sinistra, non può non condividerla due volte.

Sarebbe quindi inutile scriverne ancora, se non fosse per estrarre da questa polemica una contraddizione di fondo, che è connaturata alla struttura del nostro sistema pensionistico, che rende vera e falsa allo stesso tempo ogni posizione e ogni conclusione: rende ogni affermazione equa per qualcuno e iniqua per qualcun altro. Così si finiscono per difendere le pensioni d’oro prendendo in ostaggio le pensioni normali, con la minaccia di taglieggiare (perché tagliare non è il termine appropriato) quelle da fame. E tutto questo dibattito potrebbe essere ozioso se sullo sfondo non ci fosse un paese con un debito pubblico ai limiti della sostenibilità (per essere gentili come Tito). In questo dibattito parlare di sostenibilità del sistema pensionistico ha lo stesso senso che parlare di iceberg sul Titanic, e se ne sta parlando proprio come sul Titanic si parlava di iceberg: danzando. Come ricercatore nutro i miei dubbi, che forse non esternerei se fossi il presidente dell’INPS: non sono sicuro che il sistema pensionistico italiano non sia più un iceberg su cui i nostri conti possano fare naufragio.

Per capire la natura bi-fronte del nostro sistema pensionistico, considerate due individui. Non prendiamoli necessariamente estremi, come il possessore del record che mi pare sia di 90.000 euro di pensione al mese. Prendete un cittadino che da lavoratore guadagnava 10.000 euro e ne pagava 3.000 di contributi. Se non ci fosse l’INPS, si sarebbe rivolto a un intermediario finanziario o a un’assicurazione per assicurarsi un reddito dopo la fine della sua attività lavorativa, per assicurarsi di non pesare sui propri figli alla fine della vita, e magari per poter lasciare ai suoi figli di più. L’intermediario finanziario gli avrebbe offerto un servizio di wealth management, raccogliendo da lui una ricca commissione, e l’assicurazione gli avrebbe fatto pagare un bel “caricamento” sulla sua polizza vita. Devono essere chiare due cose. Primo: questo servizio di trasformazione del reddito futuro in reddito nell’età della pensione sarebbe stato pagato caro. Secondo: in caso di fallimento dell’intermediario o di crisi generalizzata (sistemica, il termine tecnico) del sistema finanziario, questo traversata del denaro dall’età lavorativa a quella della pensione si sarebbe potuta trasformare in un naufragio come quello del Titanic. Prendete ora un cittadino che da lavoratore guadagna 2.000 euro al mese. Lui vorrebbe assicurarsi un reddito di 1.000 o 1.500 euro al mese per arrivare alla fine dei suoi giorni, anche nel caso in cui le condizioni avverse della sua vita personale o della vita collettiva non gli abbiano permesso di accumulare in proprio un capitale che gli garantisca questo reddito. Per lui lo Stato, e l’INPS, non rappresenta il Titanic per raggiungere l’America, ma la scialuppa del Titanic che può salvargli la vita. Notate che il diritto a una scialuppa è lo stesso, per chi guadagna 10.000 euro, per chi ne guadagna 2.000 e per chi non guadagna nulla.

Avete capito la contraddizione insanabile del nostro sistema. Da noi lo stesso soggetto offre un servizio di wealth management e un’assicurazione sulla vita. Se gestisse ristoranti, dovrebbe soddisfare allo stesso modo quelli della guida Michelin e le mense della Caritas. Se gestisse l’acqua pubblica, è come se gli si chiedesse anche di gestire la distribuzione del vino. E così ogni tentativo di riequilibrare le spese da parte dell’INPS (e quindi da parte dello Stato) diventa un attacco alle mense dei poveri, o alle città che rimangono senza acqua. Anche un tentativo gentile come quello di Tito Boeri di trasformare una tartina di caviale da Savini in un chilo di pane per le mense dei poveri diventa un attacco alla fame nel mondo. E di fronte a un richiamo a moderare il consumo di vino, i buongustai si trincerano dietro il diritto di ogni cittadino ad avere l’acqua.

Se vogliamo tornare dalle allegorie al caso concreto e a questioni tecniche, il paradosso più eclatante di questa doppia natura dell’INPS è emerso nel momento più profondo della crisi, a proposito della rivalutazione della rendita pensionistica. Ricordiamo che in un certo momento il fattore di rivalutazione della rendita pensionistica, legato alla media dell’andamento del PIL, è diventato negativo. Ricordo che sul punto qualche politico propose di introdurre una norma per cui la ricchezza pensionistica non avrebbe mai potuto diminuire. Giusto o sbagliato? La risposta è: indecidibile. Infatti, per chi utilizza l’INPS per un servizio di wealth management questa proposta avrebbe significato la vendita aggiuntiva di un’opzione finanziaria (di tipo asiatico) sul PIL. Non sappiamo se questa norma sia stata approvata, e per questo utilizziamo il condizionale. Imporre questa opzione, a costo zero per legge, sarebbe stato un regalo al nostro benestante e ai suoi figli. Per chi usa l’INPS per avere un reddito minimo è invece ragionevole ritenere che questo reddito minimo sia rigido verso il basso, come sono rigidi verso il basso i salari.

Tutte queste discussioni sull’equità potrebbero comunque essere considerate sofismi o ragionamenti da salotto tra professori (sebbene forse l’equità potrebbe essere ricondotta a un’idea di sinistra, non necessariamente estrema). La discussione diventa invece puramente tecnica, e nel pieno dominio e responsabilità di Tito Boeri come presidente dell’INPS, se affrontiamo la questione della sostenibilità. Possiamo permetterci di tenere nella stessa istituzione, e sotto la garanzia pubblica, un servizio di wealth management e un servizio di assicurazione contro la povertà? Possiamo tenere insieme l’offerta di acqua e quella di vino? Certo è che parlare di diritto all’acqua (soprattutto in questi giorni) è una questione estremamente seria, mentre parlare di diritto al vino è un pezzo che suggeriamo a Crozza. Possiamo permetterci di garantire acqua e vino?

Sulla questione della sostenibilità del sistema pensionistico sento dire da tutti, da troppi, che è sotto controllo. Troppa concordanza di pareri, e zero numeri: su questo il mio senso di ricercatore pizzica, e ho deciso di inaugurare un gruppo di ricerca sul tema. È chiaro che se l’analisi di sostenibilità è fatto su previsioni di medie, come si calcola la sostenibilità del debito pubblico, non ci siamo proprio. È mai stata fatta un’analisi di stress dei conti dell’INPS su scenari estremi? Si è mai definito di quanto capitale avrebbe bisogno l’INPS per fronteggiare questi scenari? C’è un risk management dell’INPS? Ci dovrebbe essere, perché questo capitale che dovremmo calcolare è una passività occulta che grava sui conti dello Stato. In fondo, se l’INPS offre un servizio di wealth management, sebbene per clienti con profilo di rischio molto basso, dovrebbe misurarsi con intermediari che per questa attività accantonano capitale.

Sulla questione sostenibilità c’è poi un’interpretazione che grida vendetta. Se i contributi previdenziali un giorno salissero al 50%, per equilibrare i conti dell’INPS, significa che il nostro sistema pensionistico sarebbe sostenibile? I nostri contributi previdenziali non solo sono elevati, ma sono mostruosamente iniqui. Volete un esempio estremo? Quando un docente straniero viene a insegnare nel mio corso di laurea (pagato direttamente dalle rette degli studenti), per ogni 1.000 euro di onorario o rimborsi gli trattengo 270 euro di contributi INPS. Invano ho chiesto spiegazioni sul perché questi 270 euro debbano essere a carico di un canadese o di un indiano. Ritengo che la prassi sia solo italiana, a giudicare dalle amicizie finite con colleghi stranieri per questo motivo. A proposito, tra un paio di settimane dovrò portare a pranzo un collega svizzero (rigorosamente a spese mie) per scusarmi di non aver risposto a una sua mail molto dura su questo tema. Siccome è uno dei massimi esperti di assicurazione, e viene da me a insegnare proprio quello, non potrò accampare storie: potrò, ancora una volta, solo scusarmi di essere italiano.

Sotto il profilo dell’economia nel suo complesso, quindi, usare l’aggettivo “sostenibile” sembra molto dubbio. Tutti, ricchi e poveri, italiani e stranieri, versano carburante in questo vascello che potrebbe essere il Titanic. E il problema dell’equità e della sostenibilità è molto più profondo della questione del calcolo, retributivo o contributivo. Il problema di equità e sostenibilità  sta nel fatto che il servizio di wealth management offerto a un solo dirigente o politico viene pagato con i contribuiti imposti a decine di operai e impiegati.  Per questo, analizzare la sostenibilità del sistema pensionistico attuale richiede di mettere insieme tre tipi di ricercatore: un demografo, che sappia analizzare in condizioni normali e sotto stress l’evoluzione della popolazione e della forza lavoro; un economista, che sia in gradi di disegnare scenari sull’evoluzione dell’occupazione, dei salari (e dei contributi) e della finanza pubblica; un esperto di rischi finanziari, che sappia tradurre questi scenari in garanzie occulte di capitale che sono a carico dell’INPS. Questo il nostro gruppo di ricerca, da cui avrete i risultati.

Infine, se Tito Boeri ha dovuto fare una proposta di riequilibrio riteniamo che sia anche per un problema di sostenibilità. E la proposta è stata gentile. Di fronte a un iceberg futuro la proposta potrebbe essere molto più estrema, e affrontare il problema alla radice: separare l’offerta d’acqua da quella di vino. L’unica soluzione sarebbe separare l’offerta di wealth management da quella di un reddito minimo, gestire l’offerta di wealth management a costi di mercato e alla fine metterla sul mercato. E nella transizione dovrebbe essere chiaro che in caso di naufragio, solo chi ha diritto al reddito minimo deve avere la priorità e deve essere garantito integralmente. Chi ha usato l’INPS per un servizio di wealth management, a prezzi di favore, deve essere consapevole e pronto a sopportarne i rischi. E, infine, al politico che dice: «Non metto le mani delle tasche di chi prende 2.000 euro di pensione», si risponde con una soluzione tecnica, e di sinistra. Che nessuno prenda di pensione meno di 1.500 e nessuno più di 2.000.

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