Macroeconomia

La crisi c’è e si vede, basta unire 4 punti

14 Agosto 2017

Vedo con piacere (si fa per dire) che il duo Giavazzi e Alesina è tornato con una certa frequenza a pontificare sulle colonne dei giornali. In particolare, mirabile (si fa per dire) l’editoriale che con precisione chirurgica ha analizzato la crisi iniziata nel 2007.

Un’accozzaglia di considerazioni trite e ritrite che nulla aggiungono, oggi, a quella che è stata una tragedia finanziaria costata milioni di “morti” e che loro ancora si ostinano a minimizzare.

Non mi dilungo quindi su costoro che sembrano sempre vieppiù i due vecchietti appoggiati alla ringhiera del Muppet’s Show. Sottopongo a voi, cari lettori, alcune considerazioni che, anziché riproporre la visione di fatti remoti analizzati con un vecchio cannocchiale, cercheranno di guardare al futuro sulla base di dati del presente.

Senza giri di parole possiamo dire che siamo alle porte di una nuova, più o meno imminente, crisi finanziaria. Difficile quantificarne la portata ma tant’è. L’idea di fondo non è quella di essere catastrofisti ma realisti o quanto meno di condividere quello che in questi mesi ho potuto raccogliere parlando con analisti e gestori di fondi che hanno giocoforza un visione globale.

I punti principali di questa previsione sono 4:

1) il settore auto americano sta entrando in crisi. E sappiamo tutti cosa succede quando l’auto frena, in tutti i sensi. Da gennaio ad oggi il mercato automobilistico a Stelle e Strisce ha rallentato, facendo vistosamente un passo indietro. Se da una parte questo fenomeno era preventivabile, considerando la corsa che il comparto ha fatto negli ultimi anni, è anche vero che uno stop cosi marcato ha colto molti di sorpresa. Al punto che molte aziende hanno avviato campagne di incentivazione miliardarie per fermare l’emorragia.

Ma vi è un ulteriore dato da enfatizzare e  che nessuno sta valutando con le debite attenzioni; ebbene il livello dei prestiti subprime per l’acquisto di autovetture negli Usa ha toccato, questo mese, il massimo storico da prima dell’inizio della crisi 10 anni fa. In sostanza, per dirla semplice, cominciano da qualche tempo a saltare le prime rate a furia di concedere soldi a chi quei prestiti non se li meritava, con l’obiettivo di drogare il settore. E sempre secondo i numeri che ho potuto consultare, gli “auto-subprime” hanno ormai toccato il 20% dell’universo mondo dei prestiti auto. Certo per ora non sono dimensioni comparabili coi mutui subprime del 2007 ma è l’inizio di una inversione di tendenza di un settore fondamentale per la tenuta di una qualsiasi economia, figuriamoci quella americana.

2) L’America non è mai stata così indebitata come ora. Ad ogni latitudine. Il livello dei debiti di breve nei settori non finanziari è superiore del 37% rispetto al 2007, quello del credito al consumo in mano agli americani del 40%, lo stesso incremento visto in 10 anni per il credito bancario. L’indebitamento pubblico è letteralmente esploso a colpi di Qe ma questa è cosa nota. Meno noto è che il rapporto tra l’indebitamento corporate e il Gdp Us è tornato allo stesso livello del 2007. (Senza dimenticare che nonostante la politica super accomodante americana abbiamo assistito a una crescita media-annua del Pil Usa molto modesta negli ultimi 5 anni).

Se facciamo la somma totale di tutto il debito americano (Governativo, corporate, mutui, consumo etc) si arriva alla stratosferica cifra di 71 trilioni di dollari, che è il 40% in più dei valori del 2007. Ogni altro dato confermerebbe, unito a questi pochi ma pesanti numeri, la cruda realtà: negli Usa siamo arrivati alla fine di questo lungo e per certi versi glorioso ciclo del credito iniziato post QE. Ma prima o poi il mercato del credito chiederà il conto e sarà salato. Vedasi punto 1.

3) Se andiamo a vedere il rapporto Prezzo-Fatturato (un indicatore meno famoso ma molto importante ora per capire l’effetto della immensa liquidità su quotazioni ed economia reale) delle aziende americane sull’S&P500 si vede come si sia tornati addirittura ai livelli pre-bolla del 2001 quando ci fu una vera esplosione, prima del botto. Un fenomeno visibile anche se si considerano le Small e Mid Cap americane che trattano a un prezzo di 1,85 volte il fatturato, ovvero gli stessi livelli osservabili nel periodo pre-crisi 2007. Quelle stesse Small e Mid Cap sui cui Trump aveva tanto puntato in campagna elettorale per fare ancora grande l’America. In altre parole i prezzi corporate Usa sono super cari se confrontati con il fatturato delle aziende Usa. E come si ben vede, l’America non sembra ora in grado di garantire una crescita (soprattutto di domanda interna) tale da sostenere ancora questi squilibri.

4) Vi è a livello globale un certo raffreddamento verso le speranze originariamente riposte in Trump. Le difficoltà operative di questi primi mesi hanno messo in evidenza come gli annunciati stimoli fiscali siano sempre più lontani e poco credibili. La più aderente rappresentazione di questo è il repentino indebolimento del dollaro che si porta con sé tutte le conseguenze del caso sulle aziende americane in fatto di export e fatturato. Le incertezze di politica monetaria della Fed viste a metà anno sembrano il frutto di tutto quanto detto sopra. Anche perché i dati che ho fornito hanno come fonte proprio la Fed che evidentemente il quadro lo ha ben chiaro.

Non elenco tra i punti la montagna di derivati giunta oggi a rappresentare più di 10 volte il Pil mondiale perché sono numeri noti e sono semmai il combustibile di una futura crisi non già la causa.

Diversamente da Giavazzi e Alesina che a suo tempo minimizzarono la portata della crisi salvo oggi essere stupefacenti nell’analizzarla ex post (basta googlare per leggere cosa scrivevano nel 2007-2008) penso che ci siano oggi molti fattori di rischio evidenti. Lasciamo loro il compito di dirci come è nata la crisi del 2007. Con la credibilità di chi scrisse che non c’era possibilità che si trasformasse in una recessione globale, capisco perché Papa Francesco in queste ore se l’è presa coi cartomanti.

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