Macroeconomia
La BCE alza ancora i tassi, e gli italiani non ci stanno
La Presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, con la solita circonlocuzione anodina, ha annunciato un nuovo aumento dei tassi di interesse per luglio. Nello stesso messaggio dal Portogallo, la governatrice ha suggerito che l’”inflazione sta cambiando natura”, che non sono prevedibili gli orizzonti precisi di queste politiche e che, insomma, l’unica certezza è un ulteriore incremento del costo del denaro.
Sulle modalità di comunicazione di tali decisioni, che ne amplificano più che attutirne gli effetti, si è espresso nei mesi scorsi persino il Governatore della Banca d’Italia che, auspicando “più moderazione nell’aumento dei tassi di interesse”, per quanto situato tra le cosiddette “colombe” tra i molti “falchi” della BCE, di certo ha sempre mostrato un profilo prudentissimo.
Proprio ieri in concomitanza con queste decisioni, AreaStudi Legacoop e Ipsos hanno pubblicato un Report della collana FragilItalia focalizzato sulle opinioni degli italiani in relazione all’“Aumento dei tassi di interesse”.
Da esso si ricava che le italiane e gli italiani, per quanto si tratti di un argomento all’apparenza molto tecnico e complesso, hanno le idee molto chiare sulle sue implicazioni e ricadute nella vita di tutti i giorni.
Sette italiani su 10, infatti, sono preoccupati per l’aumento dei tassi di interesse e ritengono che rappresenti un freno per l’economia delle famiglie e per l’economia in generale. Uno su due ha dovuto rinunciare ad acquistare mobili o un’auto nuova a rate e considera sbagliata la politica adottata dalla BCE per frenare l’inflazione.
Ad essere molto o abbastanza preoccupato per l’aumento dei tassi interesse è il 69% della popolazione, ma con una punta superiore di dieci punti nel ceto popolare, mentre il 25% esprime una preoccupazione contenuta (il 35% nel ceto medio e tra gli over 65) e il 7% non si pronuncia.
Preoccupazioni che trovano conferma anche nel giudizio sulla politica adottata dalla BCE per frenare l’inflazione: la metà degli italiani la considera senza mezzi termini sbagliata (il 65% del ceto popolare), mentre solamente il 23% la considera giusta (31% nel ceto medio). Ampia (28%) la quota di chi non sa esprimersi.
Inoltre, più di 1 italiano su tre (il 35%, con una punta del 44% nel ceto popolare) pensa che la BCE non abbia una strategia precisa, ma che rincorra l’inflazione adottando provvedimenti senza una visione di lungo termine. Di poco inferiore (34%) la quota di chi ritiene che la Banca Centrale Europea stia seguendo una strategia di massima, che adatta in base ai mutamenti dell’economia. Solo l’11% giudica positivamente la strategia adottata dalla BCE, mentre il 20% non si pronuncia.
Ma quali sono gli effetti determinati dall’aumento dei tassi di interesse, e quindi del costo del denaro, sull’economia delle famiglie e su quella del nostro Paese in generale? Per il 73% degli intervistati l’aumento dei tassi di interesse sta frenando l’economia delle famiglie, mentre il 12% ritiene che svolga un ruolo di aiuto e il 15% non si esprime. Riguardo agli effetti sull’economia complessiva del Paese, il 71% ritiene che l’aumento dei tassi la stia frenando, mentre il 12% pensa che la aiuti; il 17% non esprime alcun giudizio.
Su un piano più concreto, due terzi degli italiani prevedono effetti negativi, nei prossimi mesi, sul mercato immobiliare: per il 42% subirà un rallentamento, per il 24% una brusca frenata. Il 26% ritiene che, come sempre, sarà esposto a fluttuazioni, mentre il 9% lo attende in crescita.
Ma l’aumento dei tassi ha già prodotto effetti negativi su un’ampia fetta della popolazione. La metà si è vista costretto a fare delle rinunce direttamente legate alle difficoltà di accesso a finanziamenti. In particolare, il 16% ha dovuto rinunciare a cambiare alcuni mobili della casa, il 14% ad acquistare un elettrodomestico a rate, il 13% un’auto a rate e il 10% a chiedere un piccolo prestito o ad acquistare un immobile.
In definitiva, l’opinione comune è che l’aumento ripetuto dei tassi, e anche la discutibile comunicazione che l’ha accompagnato, non sta aiutando l’economia e le famiglie italiane e, anzi, le sta mettendo in ulteriore difficoltà.
E non perché l’inflazione, o meglio l’aumento dei prezzi ad essa collegata, non sia stata avvertita come un problema serio con un impatto rilevante sui bilanci famigliari.
Quanto perché è forte il dubbio che la cura non sia giusta rispetto alla malattia e che in questo campo le istituzioni europee si stiano muovendo con strategie non condivisibili.
Del resto, da più parti si è sottolineato che le ragioni di questa fiammata inflazionistica siano da rinvenire nel disordine globale delle catene del valore dovute al Covid, prima; nelle conseguenze della guerra sugli incrementi dei prezzi energetici, poi; e, infine, nelle speculazioni, o per lo meno nei ritardi, con cui a livello globale le imprese stanno riassorbendo il calo dell’inflazione trasferendolo sui prezzi finali.
È evidente, poi, che punti fermi dello scenario sono la stagnazione dei salari e i super-profitti, e non esiste alcuna prospettiva di una rincorsa tra prezzi e salari.
Vi è il fondato timore, quindi, che l’incremento dei tassi, oltre a non essere la cura di una inflazione da aumento dei costi, possa anzi contribuire a protrarne gli effetti se è vero, come è vero, che fin dall’inizio del fenomeno, le prospettive indicavano un relativamente rapido rientro della fiammata, e già da tempo le sue cause reali sembrano in via di guarigione.
Tutto ciò, va considerato, avviene proprio mentre si discutono le proposte di riforma della governance economica UE avanzate dalla Commissione europea, con la fine della sospensione del patto di stabilità. Insomma, dopo una fase che con il NextgenEU e una maggiore solidarietà fra gli stati membri pareva aver avviato una stagione di politiche di investimenti e sviluppo, è forte l’impressione che al contrario si vadano restaurando con altri mezzi le tendenze austere del decennio passato.
Il Covid ha portato enormi danni, ma almeno pareva avere indicato una nuova via che va necessariamente recuperata; e, in ogni caso, l’opinione pubblica italiana, con buona pace dei falchi della BCE, pare aver capito bene quali siano i reali termini della questione in gioco.
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