Macroeconomia

In difesa degli impoveriti

25 Agosto 2017

È in corso in Italia un massiccio impoverimento che determina, soprattutto, ma non esclusivamente, in alcune aree, forte indebitamento, ricorso a prestiti usurari, esecuzioni immobiliari delle case di famiglia.

Da molti anni i provvedimenti e le leggi sul credito vengono fatti esclusivamente a favore delle banche, senza tener conto di questi milioni di persone impoverite. Non è così in altri paesi europei.

Per ascoltare la voce di chi tutti i giorni si impegna a favore dei deboli abbiamo realizzato questa intervista con l’avvocato Pasquale Riccio, esperto dirigente industriale in pensione. Coordinatore per molti anni dei volontari della Fondazione antiusura S. G. Moscati fondata 27 anni fa a Napoli da Padre Massimo Rastrelli. Attualmente impegnato, come collaboratore di Padre Alex Zanotelli, in missione nel degradato quartiere Sanità di Napoli, nella lotta contro le cause della povertà e, quindi, contro l’usura ed il gioco d’azzardo. Per intervenire in prevenzione dell’usura con fondi ex art. 15 Legge 108/96 collabora con Finetica ONLUS. Unitamente alla Asl di Napoli opera, per prevenire le degenerazioni dei rapporti creditizi che poi consegnano le famiglie all’usura, attraverso uno sportello contro la azzardopatia

Avv. Riccio, noi conosciamo il suo prezioso lavoro quotidiano di prevenzione ed intervento. Ma dietro ad ogni impegno pratico c’è sempre una concezione della realtà, resa penetrante proprio dalla continua frequentazione ed attività a favore degli impoveriti. Vuole spiegarci perché secondo lei le Banche non si salvano con decreti estemporanei ma con provvedimenti strutturali?

Prendo ad esempio l’ultimo episodio, di una lunga serie, il decreto, poi legge a colpi di fiducia, sul “salvataggio” delle banche venete: per spiegarne l’iniquità occorre partire dall’art.3 della Costituzione, 2° comma:” E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”.

Ancora una volta si tenta un salvataggio di banche dimenticandosi o, meglio, violando la Costituzione. Quelli che l’hanno scritta, tra cui mio padre, inorridirebbero di fronte a questi stravolgimenti.

Ancora una volta, vengono privatizzati e garantiti gli utili e vengono socializzate le perdite.

Le massime cariche dello Stato difendono questo decreto: il Presidente della Repubblica, per evitare l’effetto valanga, esalta le capacità italiane che hanno salvato le banche con costi inferiori agli altri Stati Occidentali. Il Presidente del Consiglio sostiene in conferenza stampa, subito dopo il varo del decreto, che lo stesso e stato un male necessario; e, infine, il Ministro Padoan, nella medesima conferenza, alla domanda specifica di un giornalista che chiedeva chi pagherà i costi del salvataggio, ha risposto che tali costi saranno a carico del fondo creato per tali salvataggi.

Ma il fondo non è forse formato dalle tasse pagate dai cittadini?  questi soldi non potevano essere impiegati per creare nuovi posti di lavoro o migliorare i beni ed i servizi a favore della collettività?

La difesa del decreto dalle critiche non sfiora nemmeno il reale problema che tutti i giorni affrontiamo.

Avv. Riccio, al di là del necessario e quotidiano intervento a favore della singola famiglia da salvare, si è indubbiamente formato, con la sua esperienza pratica e professionale delle ragioni per cui si è originato questo disastro.

La strada seguita finora è sbagliata ed iniqua. È necessario un radicale cambiamento di indirizzo.  Prima di tutto vanno tenuti presenti l’essere umano, il cittadino e le sue esigenze. Non si esce dalla crisi per gli stessi percorsi seguiti in Italia e negli altri paesi occidentali. Va individuata una nuova strada partendo dagli errori fatti nel passato. Noi riteniamo che la confusione sia nata con l’abolizione nel 1998, negli USA, della Legge Glass-Steagall, approvata subito dopo Ia grande crisi del 1929. Tale legge separava le banche di speculazione dalle banche di deposito. Immediatamente tutti gli altri paesi europei l’hanno seguita.

La conseguenza è stata che per 1 di capitale si può smuovere un capitale virtuale anche 100 volte maggiore, secondo un gioco vorticoso di investimenti che frutta quantità enormi di danaro. È un insulto a tutti quegli industriali che, sgobbando tutto il giorno per investire, produrre, gestire i dipendenti, applicare normative giuste ma sempre più stringenti e, infine, vendere in estrema concorrenza il prodotto, guadagnavano una percentuale del 3-5%.

Gli stessi, investendo i capitali con Ia nuova finanza potevano guadagnare fino al 15%. Anche per questo assistiamo ad una perdita di imprenditorialità e di posti di lavoro. Alla fine del 2007 Alla fine del 2007 la speculazione finanziaria era arrivata a valere dieci volte l’economia reale mondiale.

In altre parole è stata creata una mole colossale di operazioni finanziarie che sfuggono ad ogni controllo tecnico, giuridico e politico. Il sistema può implodere da un momento all’altro.

Tutti abbiamo creduto che questo fosse il progresso ed abbiamo permesso, nel caso della finanza, agli scommettitori senza leggi e senza scrupoli di costituirsi di fatto in una mafia mondiale che è diventata troppo potente per essere regolata dallo Stato e troppo grande per accettare una propria crisi.

Ci hanno fatto credere che la crisi del 2008 fosse la diretta conseguenza dell’aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità. È falso. La verità è che esiste un problema di debito pubblico sovrano italiano fuori controllo che è coperto in grandissima parte dalle Banche. Questo impedisce allo Stato di farle fallire: c’è, in effetti, un corto circuito Stato – Banche che li porta a sostenersi vicendevolmente. Questo debito è destinato ad aumentare perchè l’avanzo di PIL non è sufficiente al pagamento degli interessi. Infine ci sono le speculazioni finanziarie: con la diffusione delle connessioni informatiche le scommesse sui mercati e sulla produzione avvengono in frazioni di secondo per cui la situazione è giunta al parossismo ed è necessario invertire la rotta: occorre tornare alla banca che raccoglie i risparmi, li gestisce e fa prestiti nei limiti della propria leva.

Avv. Riccio, è un giudizio molto severo sulle decisioni politiche degli ultimi 20 anni, come ritiene che si evolverà la situazione?

Solo attraverso questa strada si potrà porre un freno alla smisurata crescita di poveri e impoveriti nel nostro paese. Sono passati da circa 2 milioni al momento dell’inizio della crisi a circa 10 milioni di oggi, facendo precipitare nell’impoverimento buona parte della classe media che per tanti anni è stata l’ossatura del nostro Stato.

Ora i costi del salvataggio delle Banche sarà pagato dai cittadini che in cambio perderanno lavoro, welfare, diritti sociali, servizi pubblici. Si perderà la possibilità di un tentativo di riequilibrio sociale o, quanta meno, per ridurre la forbice fra il 5-10% della popolazione: i ricchissimi, ed il resto che scivola sempre più in povertà.

Avv. Riccio, intuisco dalle sue parole che la sua fede cristiana e le convinzioni maturate in una vita di lavoro la guidano nei suoi giudizi.

È vero: come ribadisce spesso Papa Francesco esistono dei beni cosiddetti “comuni” che non sono beni materiali, ma indispensabili per Ia vita stessa dell’umanità sulla Terra. Per questa loro natura devono essere protetti da una serie di regole collettive, di impegno, di utilizzo e di sorveglianza efficaci e perenni. A questa categoria di beni appartengono l’ambiente, l’accesso all’acqua potabile, all’energia. A questa lista ritengo appartenga anche la moneta per almeno due qualità: un potere liberatorio che si identifica con la liquidità e che autorizza ad acquisire qualsiasi cosa in qualsiasi momento, la seconda per la possibilità di avere prestiti sulla fiducia di una ricchezza non ancora posseduta, che si identifica con il credito.

La moneta deve essere considerata un bene comune ed erroneamente è stata privatizzata in virtù del detto “privato è bello”. Ma privatizzare significa anche portare questa bene comune al di fuori della portata delle autorità politiche democratiche e di controllo che sono le uniche preposte a governare i beni comuni.

Ritengo quindi necessario ritornare ad una tradizione liberale, che è ben distante da quella degli economisti neo liberisti, una tradizione che tenti di restare fedele all’esperienza biblica superando l’angoscia, Ia violenza, Ia vendetta e Ia gelosia e sostituisca con Ia parola ed il dialogo il muto commercio delle cose.

I default delle banche vanno risolti attraverso nuove regole che, ponendo l’uomo ed il cittadino al centro del problema, ritornino:

a suddividere le banche tra banche di speculazione e banche di deposito

a considerare Ia moneta un bene comune.

Per questo riteniamo fosse necessario, invece della pessima legge approvata, costituire una banca pubblica che assorbisse le due banche venete con tutte le attività e le passività in esse contenute ed attraverso una amministrazione precisa ed oculata, con il volto nuovo della solidarietà cristiana, risolvesse tutte le questioni esistenti abolendo da subito l’accesso ad altra finanza creativa e a altri prodotti tossici.

Questa strada consentirebbe, forse tra le critiche di molti:

di tener conto anche dei problemi dei poveri e degli impoveriti

di lasciare allo stato delle risorse che, costituite in un fondo, servano a creare posti di lavoro

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