Finanza
Il bond della salute che può arginare la recessione da Virus
Tra bond e iniezioni di liquidità, una riflessione sulle soluzioni per scongiurare gli effetti recessivi del virus e non correre il rischio di ripetere gli errori del passato.
Mentre medici e infermieri, protezione civile e volontari lottano quotidianamente contro il virus, economisti, politici e banche centrali cercano soluzioni per ridurre gli impatti del covid 19 sull’economie mondiali. In questi giorni di emergenza abbiamo letto ogni sorta di ricetta tesa a cercare di minimizzare gli effetti, ahimè sicuramente negativi, che il diffondersi del virus avrà su numerosi settori della economia globale ed ancor di più, viste le debolezze intrinseche e mai curate, su quella italiana. La riflessione allora deve avere un orizzonte temporale più ampio di qualche mese. Giova allora lo spunto e la proposta offerta da Mario Monti, il 13 marzo sul Corriere della Sera: “i buoni di salute pubblica” . Semplificando, si tratta dell’emissione di obbligazioni perpetue o a lunghissima scadenza, esentasse, liberamente negoziabili in un mercato liquido, garantite dallo Stato con un tasso di interesse basso, ma comunque interessante visti gli impieghi alternativi, ai fini del finanziamento della spesa necessaria al rafforzamento del sistema sanitario ed ai progetti di studio legati allo sviluppo di eventuali vaccini e/o farmaci utili a contrastare il virus. L’approccio proposto con i “buoni di salute pubblica”, va, però, in una direzione ben diversa dalle ipotesi di intervento basate sulla iniezione di liquidità addizionale. La proposta di Monti anziché ipotizzare un aumento di liquidità disponibile, punta al riposizionamento della liquidità già esistente. Il bond della salute sposterebbe cioè l’attenzione degli investitori (a cominciare dai piccoli risparmiatori) da investimenti alternativi, non necessariamente produttivi o, in questo momento non prioritari, vista la situazione, su un investimento che ha sia un beneficio sociale (avere più posti in terapia intensiva oggi conviene a tutti) sia una attrattività economica, che deriva da un tasso di interesse comunque remunerativo viste le alternative oggi disponibili. Certamente, in parallelo alla creazione di uno strumento di questo tipo, si dovrebbe anche garantire un uso efficiente delle risorse così raccolte, ma questo va nell’ottica di un efficientamento della macchina operativa. E, magari, andando oltre, potremmo ipotizzare che questo bond diventasse una sorta di investimento forzoso, ad esempio suggerendone l’obbligo per una percentuale minima del patrimonio liquido (che so, il 5 – 10% del portafoglio) a chiunque, nel passato anno o semestre, abbia avuto una media di giacenza liquida superiore ad una certa cifra da definirsi. Idealmente poi, se la emissione di queste obbligazioni fosse garantita non dal governo di un singolo paese, bensì dalla stessa BCE (finalmente gli Eurobond!) si avrebbero una serie di ulteriori benefici: si concentrerebbero risorse importanti generando importanti economie di scala e rendendone l’accesso a TUTTI i paesi dell’area Euro, seppur da ripartire sulla base del contributo che ognuno di essi ha dato alla creazione dello stock di investimento – generando quindi, tra i diversi paesi, una sorta di competizione benigna. Si aumenterebbe la dimensione e quindi la liquidità del mercato, favorendo la trasparenza dei prezzi e conseguentemente la possibilità di disinvestimento per chi, ad un certo punto, volesse/dovesse decidere di disinvestire (che, ricordo, in assenza di una effettiva scadenza, presumibilmente, potrebbe non avere nemmeno un impatto rilevante sul livello di indebitamento dei singoli Paesi, ovvero, anche se lo dovessero avere dovrebbero essere esclusi da qualsiasi limite europeo). Si potrebbe ipotizzare una gestione delle risorse così raccolte a livello sovrannazionale evitando quindi rischi di burocrazia e possibili inefficienze gestionali, anche ricorrendo a istituti quali la stessa BCE o la BERD che, ad esempio ha gestito bene le risorse dedicate alla integrazione della ex Europa dell’est.
Nella realtà, invece, chi ha le leve per decidere, oggi sembra partecipare ad una rincorsa al sussidio, esplicito o implicito – vedi l’idea dell’anno fiscale bianco proposta dal senatore Salvini – senza curarsi di chi pagherà alla fine il conto. Se mettiamo infatti insieme i numeri fin qui resi pubblici – 350 miliardi per l’Italia, 550 miliardi per la Germania, un numero non meglio precisato da parte della Cina, i 50 miliardi degli US che sono solo un primo assaggio di quanto arriverà a seguito della ahimè probabile esplosione delle crisi – arriviamo ad un volume di nuova moneta tali da far impallidire quanto messo a suo tempo in campo per contrastare gli effetti della crisi del 2008 e che, inevitabilmente, nel medio periodo non potrà che risultare o in ulteriori “bolle” speculative ovvero, anche se dopo la crisi del 2008 questo non è accaduto, in fiammate inflazionarie tipo sud americano che tra l’altro sono sempre andate a colpire le classi più disagiate. D’altro canto, un po’ cinicamente, questa soluzione potrebbe anche spingere i diversi governi a favorire un minimo di “pulizia” del mercato. Altrimenti, se a seguito delle misure allo studio, si dovesse garantire a chiunque la garanzia dello Stato per evitare gli effetti della probabile crisi di liquidità senza richiedere che in parallelo avvenga il necessario rafforzamento patrimoniale delle società che si vanno ad indebitare ulteriormente, delle due l’una: o lo Stato si vedrà escutere, da parte delle banche che hanno prestato il denaro, una parte importante delle garanzie prestate oppure assisteremo ad una nuova ondata di prestiti inesigibili (NPL/UTP) che metterà di nuovo in crisi il sistema bancario. Solo con una selezione a monte, che va attentamente studiata nelle sue modalità, si potrebbe cercare di evitare il ritorno alla situazione che abbiamo vissuto dopo il 2008. Un’idea balzana ma che in qualche modo segue la linea summenzionata del “reindirizzo” della liquidità esistente (nei conti degli azionisti) sarebbe quella di affermare che le garanzie dello Stato potranno essere prestate alle aziende solo se, di pari passo all’accesso al credito bancario garantito, queste vedranno beneficiare di un rafforzamento di tipo patrimoniale attraverso l’incremento, più o meno proporzionale, della capitalizzazione delle stesse aziende. Ciò permetterebbe di “obbligare” gli azionisti a mettere mano al portafogli ovvero ad aprire il capitale a terzi favorendo operazioni di concentrazione e di aggregazione, da tempo necessarie, in un mondo globale dove, ahimè, a differenza di quanto sostenuto a lungo dagli italiani, piccolo non è bello.
Devi fare login per commentare
Accedi