Macroeconomia

Globalizzazione e diseguaglianza

1 Settembre 2017

Una definizione abbastanza asettica di globalizzazione la descrive come la progressiva irrilevanza, nelle decisioni economiche, della localizzazione geografica dei mercati (di tutti i mercati, dei capitali finanziari ma anche dei beni, servizi, fattori produttivi…).

Più efficacemente Alessandro Baricco, in un lungimirante articolo di inizio 1999 (prima che succedessero tante cose) la definisce così: “per globalizzazione si intende la curiosa circostanza che ti vede a Bangkok mangiare per due lire lo stesso hamburger che fanno in Connecticut, confezionato in una scatoletta fabbricata in Perù e commercializzato da una ditta a capitale misto franco-giapponese” (v. La vedova non è sempre allegra, ora in Il nuovo Barnum, 2016, Feltrinelli).

Poi precisa: “Prendiamo la Nike. Ogni anno dà a Michael Jordan, perché continui a farci sognare le sue scarpe, venti milioni di dollari. Bene: sapete quanti anni dovrebbe lavorare un lavoratore indonesiano per portare a casa la stessa cifra, lui che le scarpe le fa? Ventitremila anni”.

Vengono in mente le parole di Adam Smith (1776): “Nessuna società può essere florida e felice se la grande maggioranza dei suoi membri è povera e miserabile” (Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Libro I, cap. 8).

La domanda è: la globalizzazione genera disuguaglianze o le riduce? Promuove la diffusione del benessere o l’internazionalizzazione delle disparità?

Un’analisi ad ampio spettro è quella di Max Roser (2017) https://ourworldindata.org/global-economic-inequality e di Branko Milanovic e Cristoph Lakner (2013) https://elibrary.worldbank.org/doi/abs/10.1596/1813-9450-6719#.

Per due secoli (1800-2000) la diseguaglianza mondiale è cresciuta per effetto dell’industrializzazione nei paesi dell’Europa occidentale e del Nord America a fronte di ampia e stagnante povertà negli altri continenti.

Solo negli ultimi decenni la diseguaglianza dei redditi si è attenuata per la maggiore crescita del reddito dei più poveri rispetto ai più ricchi (Fig. 1)

FIG. 1

Fonte: Milanovic e Lakner (2013)

 

In aggiunta, secondo l’analisi di Tomas Hellebrandt e Paolo Mauro (2015) https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2593894 la diseguaglianza è scesa ulteriormente tra il 2003 e il 2013 (indice di Gini da 68.7% a 64.9%) ed è prevista in ulteriore discesa da qui al 2035, assumendo una crescita media annua dei paesi sviluppati intorno al 2% contro quasi il doppio per il resto del mondo (indice di Gini a 61.3) (Fig. 2).

Dunque la globalizzazione riduce la diseguaglianza? A livello mondiale sembrerebbe di sì, sebbene l’indice di diseguaglianza sia destinato a restare alto ancora per molti decenni.

FIG. 2

Tuttavia può essere utile guardare le cose più da vicino.

La diseguaglianza, per una nota proprietà statistica, è scomponibile in due parti: la diseguaglianza dentro i paesi e quella tra i paesi. La diseguaglianza totale è guidata da quest’ultima che arriva a un picco nel 1980 per poi cominciare a scendere, almeno fino al 1992. (Fig. 3).

FIG. 3

Fonte: Francois Bourguignon and Christian Morrisson (2002)

 

Ma che succede dal 1992 in poi? Che succede dentro il sottoinsieme dei paesi sviluppati (per comodità i paesi dell’OCSE)?

Considerando quelli con continuità di dati dal 1970 (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Turchia, Germania, Spagna, Canada, USA, Giappone, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Corea del Sud, Israele) si vede che da inizio anni ’90, due semplici misure di diseguaglianza (differenza tra massimo e minimo e differenza tra 1° e 3° quartile, Fig. 4) indicano un continuo aumento della diseguaglianza tra i redditi pro capite medi dei paesi OCSE, con una battuta d’arresto negli anni della crisi (picco di diseguaglianza nel 2007) e una probabile ripresa ora che la crisi (per qualcuno) sembra superata.

FIG. 4

 

Per la cronaca, fino al 1985 la massima redditività pro capite era della Svizzera, poi del Lussemburgo; la minima della Corea (fino al 1988), della Turchia e infine del Messico (dal 2004).

La diseguaglianza, dunque, si insinua anche tra i paesi (relativamente) avanzati. Essendo la componente principale della diseguaglianza totale, c’è da aspettarsi che la crescita economica in atto, senza l’intervento di politiche mirate, continui a seguire le vie della globalizzazione e della diseguaglianza.

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