Macroeconomia
Il fallimento dei partiti è l’economia che ristagna, vera spada di Damocle
La rielezione di Sergio Mattarella non è piaciuta solo ai media stranieri (a cui nel nostro paese, purtroppo, si dà sin troppo peso), e a molti governi occidentali, che hanno porto al capo dello Stato le congratulazioni di rito. Senz’altro è piaciuta anche a milioni di italiani.
I sondaggi che circolavano sino a pochi giorni fa (ad esempio uno di Demopolis) lo lasciano presupporre. Ma lo fa presuppore anche la struttura economica e sociale del nostro paese. Per milioni di imprenditori, manager, dipendenti pubblici (e privati), pensionati della piccola borghesia e della classe media impiegatizia, professionisti, ma anche rentier (che non sono così pochi), un presidente come o forse migliore di Mattarella poteva essere solo il presidente del consiglio Mario Draghi. E perché “o Mattarella o Draghi”? Due sole parole: PNRR, spread; ma su questo torneremo tra poco.
È stata recentemente coniata (dai media) una formula: “il governo dei due presidenti”. E in effetti il tandem del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del presidente del consiglio Mario Draghi è formidabile, non solo agli occhi dei milioni succitati, ma degli interlocutori internazionali: Bruxelles, Washington, le cancellerie europee, nonché le grandi banche e le compagnie assicurative straniere, i fondi di investimento e così via.
In quasi ottant’anni di storia repubblicana, la rielezione di Mattarella ha un solo precedente: la rielezione di Giorgio Napolitano, nel 2013. In quell’occasione, come è stato ricordato da un autorevole studioso, Napolitano pronunciò un discorso molto duro nei confronti della classe politica. La disponibilità di Napolitano fu dettata dalla gravissima crisi finanziaria ed economica che attanagliava il paese. Nel novembre del 2011, è bene ricordarlo, la situazione era così seria che (come rivelava Ferruccio de Bortoli nel 2013) l’allora governo Monti scrisse, d’intesa con la Banca d’Italia, “un decreto di chiusura dei mercati finanziari […] Quel decreto rimase in cassaforte – e speriamo che vi resti per sempre –, ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico”.
Anche oggi l’Italia è in una situazione difficile. La pandemia è ancora in corso, ogni giorno dei nostri concittadini muoiono, e il Covid-19 non è un’influenza, neppure nella sua variante Omicron. Ma la pandemia si chiama così proprio perché globale. Gli altri paesi europei non solo continuano a indire regolari elezioni, ma cambiano pure leader: è il caso della Germania, dove Angela Merkel – cancelliera dal 2005 – non si è neanche ripresentata agli elettori nel settembre 2021, lasciando che a duellare per la cancelleria fossero il socialdemocratico Olaf Scholz, la verde Annalena Baerbock, il compagno di partito Armin Laschet.
Qual è, dunque, la crisi che sta affrontando l’Italia, e che la Germania, la Francia (alle elezioni presidenziali in aprile), il Portogallo (dove ha appena vinto un socialista) non affrontano? È la crisi economico-finanziaria. Un rapporto debito-PIL molto superiore a quello della media UE, un’economia in affanno da vent’anni.
Il PNRR e lo spread. Ieri parlavo con un pensionato che riceve dallo Stato circa 1.500 euro al mese, che vota la cosiddetta “sinistra radicale”, e che era felice per la rielezione di Mattarella: “Con lui presidente della Repubblica, e Draghi al governo, per qualche anno stiamo tranquilli”. Il pensionato in questione vorrebbe più riforme di sinistra, ma si preoccupa anche del suo conto corrente, e della stabilità finanziaria dello Stato: che la pensione gli arrivi regolarmente è per lui – come per tanti altri – una questione assai importante, nel medio-lungo periodo letteralmente “di vita o di morte”.
Con Draghi a palazzo Chigi e Mattarella al Colle i famigerati “mercati” sono un po’ più tranquilli. I ministri europei delle finanze, che sanno come il destino dell’euro sia legato alle sorti dell’Italia, dormono sonni un po’ meno agitati. I tedeschi (non solo i borghesi che leggono la FAZ, ma gli operai, le maestre e gli autonomi che leggono la Bild e magari ricordano il fotomontaggio di Draghi con l’elmetto prussiano) nutriranno forse un minor scetticismo sulle prospettive economiche e finanziarie dell’Italia.
Spread e PNRR. PNRR e spread. Un imprenditore di spessore con cui ho parlato poche ore fa mi ha detto, testuali parole: “Per me Draghi e Mattarella sono una garanzia. Se decido di continuare a investire sull’Italia, voglio avere qualche certezza in più”. Guardiamo al grafico dei CDS a 5 anni; Draghi può piacere o non piacere, ma gli effetti del suo governo si vedono:
Chi possiede azioni di aziende italiane, chi fa impresa, chi sta facendo carriera in qualche studio, chi ha rendite, chi dispone di molta liquidità sul conto corrente, chi ha ambizioni, si preoccupa (a torto o a ragione) soprattutto dello spread e del PNRR. A mio modestissimo parere, dunque, il fallimento dei partiti non sta tanto nel non aver trovato un nome alternativo a Mattarella o a Draghi (Riccardi, Nordio, Belloni, Casini, Cartabia ecc.) ma nel non essere riusciti, in vent’anni, a liberare il paese dalla spada di Damocle economico-finanziaria che grava su di esso. Perché se milioni di italiani sono ossessionati dallo spread, se il PNRR è così essenziale per la nostra sopravvivenza economica, se capaci ventenni e trentenni emigrano temendo di non potersi costruire una famiglia e una carriera professionale nel nostro paese, è perché l’economia italiana non va da molto, troppo tempo.
Anzi, alcuni partiti hanno fatto di tutto per trasformare la spada di Damocle in una vera e propria ghigliottina: non dimentichiamoci certe tirate contro l’euro o la collocazione atlantica del paese, che forse a noi italiani fanno sorridere, ma che turbano non poco investitori e politici nordeuropei o nordamericani.
Molti dei leader politici che hanno concorso a eleggere Mattarella sono su piazza ormai da tantissimo tempo, con ruoli (nazionali o regionali) rilevanti. Le ricette economiche e finanziarie che hanno proposto sino a oggi si sono rivelate, più o meno, quasi tutte fallimentari.
Le strategie dei “tagli lineari”, l’assenza di una politica industriale di lunga durata, gli investimenti molto limitati su R&D e lo scarso sostegno a chi innova, i sussidi a pioggia nei confronti di aziende stracotte e che altri paesi lascerebbero tranquillamente fallire, la debolezza rispetto a multinazionali pronte a chiedere fondi pubblici ma anche a delocalizzare in un battito di ciglia, il “federalismo” che ha trasformato gran parte delle regioni italiane in nuovi centri di spreco, la scarsa attenzione verso le periferie (urbane, montane, isolane), verso le famiglie, verso i redditi più bassi, verso l’infanzia e verso i giovani, che ogni anno emigrano portando le loro energie e il loro talento in Germania, Francia, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Australia… I rentier, in Italia, prosperano, ma chi lavora, studia, fa ricerca o ha una piccola impresa innovativa, chi non ha capitale finanziario, professionale o relazionale spesso soffre.
Questo è il vero fallimento della classe politica (e non solo politica) del nostro paese. Di fronte alla sfida economico-finanziaria le reazioni dei leader di partito sono state, a oggi, tendenzialmente due: i più populisti hanno proposto irrealizzabili “libri dei sogni” (o degli incubi), scorciatoie che potevano portarci solo al default; i “moderati” hanno continuato a pasticciare con soluzioni a metà strada tra il liberismo d’accatto e il neo-clientelismo, con una bella verniciata di retorica europeista ed ecologista.
Per chi poi si definisce progressista, comunista, liberale, socialista o socialdemocratico (ognuno ha la sua etichetta, io preferisco l’ultima), il dramma è doppio. Si possono conciliare crescita economica, rispetto dell’ambiente, attenzione fattiva all’uguaglianza e ai diritti? Questo è il banco di prova dei due principali partiti a sinistra di Renzi. A oggi sia il PD che il M5S hanno, nel complesso, fallito.
PS non ho parlato, qui, di chi possiede poco, molto poco o nulla, chi è privo di capitale finanziario e/o professionale. Per costoro Draghi o Mattarella, Casini o Casellati sono solo nomi. Molti di loro non vanno neanche a votare, non rispondono ai sondaggi e non discettano di politica su Twitter. Alcuni (una minoranza non così piccola) sognano una rivoluzione, un leader forte, un’utopia o una retropia. Loro sono i dimenticati della politica italiana, e stanno pagando – non da oggi ma da anni – un prezzo altissimo.
Foto tratta dal sito Quirinale.it
Palazzo del Quirinale 31/12/2021. Il Presidente Sergio Mattarella in occasione del discorso di Fine Anno
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