Macroeconomia

“Il Pd si parla addosso, ma per i 5S non sarà facile trovare un’identità”

27 Marzo 2018

Italia, Europa, Mondo. Le elezioni italiane hanno prodotto una situazione così difficile da districare che nemmeno gli analisti finanziari, prima del voto, osavano fornire una previsione. «Troppo incerto lo scenario attuale», dicevano in coro alla vigilia della tornata elettorale. E a settimane dall’esito, la situazione resta ancora incerta. Per cercare di capirne di più, ne abbiamo discusso con Erik Jones, direttore del dipartimento European and Eurasian Studies dell’università statunitense SAIS Johns Hopkins. Texano di Austin, ma da anni al centro europeo di SAIS, locato a Bologna, Jones prova a pensare fuori dai soliti schemi insieme a noi.

Professor Jones, la situazione italiana dopo le elezioni politiche del 4 marzo scorso resta poco chiara, ancora oggi. Come osservatore dell’Italia con gli occhi di un americano all’estero, qual è la sua idea di cosa è successo?

Credo che la migliore ipotesi è che stiamo osservando una rivolta contro le elites. Un largo numero di elettori del Partito Democratico (PD) è rimasto a casa in protesta contro le incessanti lotte intestine. E ci sono anche stati alcuni interessanti mutamenti del supporto politico, dal PD al Movimento 5 Stelle (M5S). Inoltre, alcuni nuovi elettori hanno rafforzato sia la Lega sia il M5S. La volatilità non è stata così elevata come nel caso delle elezioni del 2013, ma è stata comunque significativa. E così ora dobbiamo vedere se un nuovo gruppo di élite può unirsi per governare il Paese. Se falliscono, sospetto che anche gli elettori si rivoltino su di loro.

Dopo il referendum costituzionale tenutosi a dicembre 2016, il Partito democratico ha perso un grosso ammontare di voti. E Matteo Renzi, l’ex presidente del Consiglio dei ministri italiano, non ha riconosciuto in modo corretto l’enorme sentimento contro di lui che serpeggiava nel Paese. Forse, solo dopo questa sconfitta, qualcosa potrebbe cambiare. Lei pensa che il PD sia finito?

Non penso che vedremo un’eclissi del centrosinistra in Italia come è avvenuto in Paesi come Polonia o Ungheria. Allo stesso modo, non dovremmo aspettarci un crollo come quello che abbiamo osservato nei Paesi Bassi. Ma non c’è dubbio che il centrosinistra stia avendo difficoltà. Il problema in questo caso non è solo con il PD; anche il Liberi e Uguali (LeU) ha fatto male. Se e quanto velocemente queste parti del centrosinistra si riprenderanno dipenderà molto dal modo in cui il M5S si sposterà in quella nicchia ideologica e si stabilirà come rappresentante competente di persone normali, di cittadini. Indubbiamente questa è un’aspirazione per alcuni politici del M5S – in primis il nuovo presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico. Detto questo, sarà difficile per il M5S costruire un’identità ideologica coerente e sarà più facile per il PD rimettersi in sesto. Non sarei sorpreso se osservassimo una sorta di ritorno del PD già nelle elezioni per il Parlamento europeo, che ci saranno il prossimo anno.

Molti esperti dell’area PD pensano che il principale problema del partito sia che il partito stesso era molto lontano dalla pancia delle persone. Lontano quindi dal Paese reale. Sostengono dunque che, da partito di centrosinistra, il PD è diventato una sorta di partito delle élite. Quanto c’è di vero?

Dipende davvero da cosa si intende per “partito delle élite”. Se si intende che il PD stava spingendo un’agenda per rafforzare e premiare il controllo dell’élite sulla società italiana, non penso proprio che sia questo il problema. Se invece si intende che il PD era più interessato alle lotte intestine sul controllo del partito, piuttosto che a spiegare un programma economico e sociale coerente, allora siamo più vicini al punto in questione. La pubblicità in due parti che il PD aveva promosso verso la fine della campagna, quella chiamata “Pensaci”, era convincente come programma. Il problema è che era oscurata dalle interminabili divisioni tra la vecchia e la nuova guardia e tra le fazioni pro e anti-Renzi. C’erano già chiacchiere su chi sarebbe subentrato una volta che il PD avesse perso, cioè molto prima che venisse effettuato il primo voto. Nessuno ascolta il contenuto del programma elettorale del partito in un contesto del genere. È stato tutto semplicemente incredibile. Il partito deve riunirsi, se non vuole aver un’altra disastrosa competizione elettorale.

Cosa rappresenta il Movimento 5 Stelle rimarchiato, rimesso a nuovo, ripulito? Per intenderci, non quello iniziale, quello incendiario, ma quello di Luigi Di Maio? È possibile attendersi un governo affidabile da questo partito?

La sfida per il M5S è triplice. In primo luogo, devono cercare di attenersi a un messaggio coerente. A Di Maio è capitato di cambiare idea su molti temi, prima delle elezioni; ora ha bisogno di lavorare per essere coerente, dunque. Secondo, hanno bisogno di legare tutti a quel messaggio e fermarsi con la caccia interna alle streghe. Più questo partito attiva i propri militanti, più fa diventare nervosi tutti gli altri. In terzo luogo, hanno bisogno di costruire un record di competenza. Già non si coprivano di gloria a livello comunale e locale, e governare il paese sarà ancora più difficile. Non sto dicendo che falliranno. Tutto ciò che sto dicendo è che stanno affrontando una curva di apprendimento assai ripida, sia collettivamente che come individui.

Che cosa possiamo dire della Lega Nord, invece? Gli italiani sono davvero così anti-immigrati o anti-UE? Cosa è successo con la Lega, in altre parole?

Matteo Salvini sembra aver fatto diversi progressi nel rebranding della sua Lega Nord in un partito nazionale, ora infatti chiamato semplicemente Lega. Ha anche fatto dei progressi per affermare la propria leadership nel centrodestra. Ma i suoi voti vengono ancora in prevalenza dal Nord ed è chiaro che un giovane Berlusconi non avrebbe mai sopportato questo tipo di sfida. Inoltre, il messaggio di Salvini è un limite al suo essere accattivante verso molti elettori. Si definisce centrodestra, ma non è in alcun modo vicino al centro. Questa è la vera risposta alla tua domanda. Gli italiani sono preoccupati per l’immigrazione perché è razionale temere che il Paese non possa sopportare un’altra ondata come quella affrontata nel 2016 senza difficoltà. Ma gli italiani non sono così anti-immigrati o anti-UE come vorrebbe il programma di Salvini.

Il populismo di destra e l’euroscetticismo sono stati una caratteristica distintiva delle elezioni nazionali europee nel 2017 (ad esempio, le prestazioni sorprendentemente buone di FN in Francia e di AfD in Germania). Ma se l’Italia non è sola in questa situazione, è l’unico Paese in cui una alleanza di populisti potrebbe effettivamente formare un governo. Bisogna pensare che l’Italia sia speciale, riguardo a questo punto?

L’Italia è diversa perché per decenni le élite italiane hanno promosso un rapporto che vede l’Europa come un “vincolo esterno” che sospinge un’élite riluttante a fare le necessarie riforme. C’era una logica per questa relazione per l’Italia negli anni ’80 e ’90. Lo si vede in particolare dal momento che l’Italia ha apportato enormi modifiche al proprio sistema per qualificarsi per l’adesione all’euro. Ma l’intera relazione “vincolo esterno” si assottiglia nel tempo, viene meno. Chiariamoci: non è che agli italiani non piace l’Europa. Gli italiani sono solo stanchi di sentirsi dire cosa devono fare. Questo è qualcosa che Renzi ha realizzato e che Salvini sta cercando di sfruttare. Ma Salvini va troppo lontano. Pensa che cambiare il rapporto con l’Europa debba essere uno dei primi quattro punti all’ordine del giorno del governo. La maggior parte degli italiani non sarebbe d’accordo con ciò. Vorrebbero che l’Europa smettesse di dire loro cosa fare, ma ancora di più vorrebbero che le élite politiche italiane mostrassero di avere un piano serio per il miglioramento del Paese in generale. In questo senso, l’euroscetticismo italiano è molto diverso da quello trovato nel Regno Unito, nella Repubblica ceca, in Polonia o in Germania. Gli italiani non vogliono disfare l’Europa. Vogliono solo adattarsi al suo interno in un modo migliore di quello che è stato fatto in passato o nel frangente odierno.

C’è qualche somiglianza tra quello che è successo con Donald Trump negli Stati Uniti e quello che è successo in Italia con i partiti anti-establishment?

Le uniche analogie sono, primo, la rivolta contro le élite esistenti come abbiamo detto prima e, secondo, le sfide che ogni movimento populista deve affrontare come ho abbozzato in risposta alla domanda sul M5S. La differenza è che Trump vuole davvero ingraziarsi le elite tradizionali americane – sia nel partito repubblicano che, cosa più importante, tra gli industriali miliardari – molto più di quanto chiunque nel M5S si sarebbe mai sognato di fare. Trump e la sua squadra hanno anche fallito nel tentativo di stabilire la coerenza o la competenza. Speriamo che M5S e Lega si dimostrino più capaci dei loro lontani cugini americani.

Un’altra vicenda interessante a cui stiamo assistendo in questo momento storico riguarda i rapporti diplomatici internazionali tra Europa, Stati Uniti e Russia, dopo le dichiarazioni di brogli elettorali e l’Affare Skripal. Una parte significativa dell’opinione pubblica italiana sembra avere un’opinione positiva su Vladimir Putin, e sia M5S che Lega hanno sostenuto in passato la rimozione delle sanzioni UE contro la Russia. Perché è così? Il recente risultato elettorale può trasformare l’Italia in una spina geopolitica nel fianco dell’Ue?

Vladimir Putin simboleggia, rappresenta, un rifiuto delle tradizionali élite “occidentali” e quindi non sorprende che sia stato accolto in modo positivo da questi strani compagni politici come Donald Trump, Jeremy Corbyn, Marine Le Pen, Matteo Salvini, Viktor Orban e Luigi Di Maio. Il fatto che Salvini e Di Maio debbano essere coinvolti in qualunque futuro governo emerga in Italia creerà sicuramente problemi per la politica estera europea. Ma se guardiamo allo scenario geopolitico europeo più in generale, mi preoccupo maggiormente di ciò che sta accadendo in Austria, Ungheria e Polonia. Mi preoccupo anche della Brexit, sia per le strane preferenze della politica estera di Corbyn, sia perché è già chiaro che Putin è desideroso di sfruttare la debolezza della Gran Bretagna per trarre vantaggi. L’Italia può essere una spina nel fianco dell’Unione europea, ma si tratterebbe di un’irritazione relativamente minore in un contesto ben più problematico.

L’altro fronte in cui stiamo assistendo a nuovi sviluppi è quello del commercio internazionale, con il recente annuncio delle tariffe in acciaio e alluminio degli Stati Uniti. Alla luce del risultato elettorale, come vede la posizione dell’Italia all’interno di un sistema di relazioni commerciali multilaterali che rischia di diventare sempre più conflittuale?

La buona notizia è che l’Italia non ha realmente una politica commerciale; finora l’ha fatta l’Europa. L’Ue sta guidando la politica commerciale come è normale che ci si aspetti. Non esiste una ovvia strategia per rispondere agli Stati Uniti che sembrano determinati a fare a pezzi il sistema economico mondiale che ha creato. Non mi aspetto che alcun governo italiano possa contribuire a una risposta europea molto più dura di quanto non sia già quella attuale.

Guardando oltre per un istante, quale sarà il ruolo dell’Italia in questa Europa multipolare?

Spero che l’Italia abbia un ruolo di primo piano e che altri Paesi europei gli garantiscano il rispetto che merita. Sono preoccupato che l’Italia non giochi alcun ruolo e che altri Paesi tornino alle vecchie abitudini di dire agli italiani cosa fare per il loro bene. Questo non è un commento su M5S e Lega, sia chiaro. Si tratta di un’osservazione sull’opinione pubblica presente. In questo momento, gli italiani sono stanchi di sentirsi dire cosa fare in Europa, ma non sono desiderosi di lasciare l’Unione europea. Se altri Paesi europei ignorano o mancano di rispetto all’Italia e se le istituzioni dell’UE continuano a dare lezioni ai successivi governi italiani, quell’atteggiamento popolare di cui sopra potrebbe evolvere da un malessere generale a qualcosa di molto più acuto come la frustrazione o l’indignazione. E questa non sarebbe un’evoluzione gradita per nessuno. L’Italia sta attraversando un periodo abbastanza impegnativo. Non è un buon momento, per gli altri europei, di fare cose all’Italia in grado di peggiorare solo la situazione.

Ultima ma non meno importante: c’è una frase che a volte ritorna, specialmente nelle istituzioni europee. Dice: “L’Italia è un posto meraviglioso, probabilmente il posto più bello di tutto il mondo, ma è impossibile riformare”. È vero? Perché ogni cambio di mentalità sembra così difficile?

No. L’Italia non è impossibile da riformare. L’Italia funziona meglio quando le riforme sono graduali e quando le persone hanno il tempo di prendere possesso dell’agenda, di capirla. Se confrontiamo l’Italia di oggi con quella degli anni ’50, vedremo una differenza significativa. E se paragoniamo i disordini di oggi con quelli vissuti in Italia tra la fine degli anni ’60 e ’70 vedremo anche in questo caso un’enorme differenza. L’Italia è cambiata molto ed è stato un processo molto doloroso. Ora il cambiamento è più lento ma è anche meno dirompente. Questa è una buona cosa, a mio avviso. Dovremmo tutti desiderare che l’Italia si evolva. Quello che non dovremmo desiderare è che la società italiana debba attraversare quel tipo di tumulto popolare che ha vissuto nella seconda metà del XX secolo.

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