Macroeconomia

È Papa Francesco il Miglior Economista in Circolazione

27 Novembre 2014

Il discorso che Papa Francesco ha tenuto il 25 novembre a Strasburgo si é caratterizzato fin dal principio per una vastità di respiro, una nettezza e un’importanza tutte particolari, tali da renderlo una pietra miliare non solo nel corpus dei discorsi di questo Papa, ma nella storia dell’Europa recente. Bergoglio, infatti, si é dimostrato non solo uno dei più influenti leader ed opinion makers in circolazione, ma anche un raffinato economista, attento alle leve fondamentali che potranno indirizzare l’Europa verso un cammino stabile di crescita e sviluppo.

“Dignità” è la parola chiave del discorso di Papa Francesco. Un termine che spesso viene ignorato dalla vulgata economica mainstream, più attaccata alle voci del PIL e del debito pubblico, quando invece è proprio dalla dignità umana che bisogna partire per garantire ai singoli paesi una prestazione positiva in relazione a quei fondamentali macroeconomici che ormai da tempo monopolizzano l’attenzione dei vertici europei. In un sistema economico che spesso riduce i lavoratori a “risorse” umane, “oggetti programmabili e che possono essere buttati via quando non servono più”, non dovrebbe sorprendere che la disoccupazione aumenti in maniera preoccupante, che i paesi entrino in recessione, che l’economia reale e l’imprenditoria finiscano sempre più per essere subordinate alla burocratizzazione e alla tecnica. La “cultura dello scarto”, che finisce cosi’ per prevalere, si accompagna a sprechi diffusi in ogni settore dell’economia, per poi giungere allo spreco più grave e miope di tutti: quello del valore della persona umana, in  cui l’uomo è inteso come membro di una società e come lavoratore. Ricordandosi che i libri di testo classici definiscono l’economia come “allocazione ottimale di risorse scarse”, una cultura basata sullo spreco dovrebbe colpire per la sua eclatante assurdità, soprattutto tenendo di conto che investire nei talenti e nella creatività dell’uomo si rivela sovente un ottimo investimento, strumentale a un profitto sostanzioso e continuativo, nonché, in ultima istanza, a uno “sviluppo” che dovrebbe sostituire la “crescita” in cima all’agenda dei policymakers europei.

 Il Papa  descrive questo paradosso in modo immediato e cristallino, sottolineando come in un continente che si definisce sviluppato si stia diffondendo la malattia più grave di questo ventunesimo secolo globalizzato: la solitudine, che riduce gli uomini a monadi individualiste, cieche di fronte alle esigenze della collettività e mosse da una cupidigia e da un consumismo che non fanno che alimentare quegli squilibri e quegli sprechi di cui parlavo poc’anzi. Oltre a ricadute importanti in termini umani e sociali, la solitudine distanzia il singolo dalle esigenze dei suoi simili, impedendogli di cogliere quelle opportunità, prima di tutto economiche, che potrebbero condurre a un maggior benessere per l’intera collettività. Opportunità che spaziano dalle energie rinnovabili ai servizi sociali, e che il Papa elenca brevemente parlandone giustamente come di un “affare”, un grosso potenziale ancora ampiamente sfruttabile e che spesso viene derubricato a favore degli interessi delle multinazionali e della finanza, da Bergoglio duramente bacchettate.

Colpisce come il Papa identifichi le problematiche che inficiano dalle fondamenta l’architettura economica moderna, e ne parli senza ricorrere a tecnicismi, numeri o formule. Il mondo astratto della tecnica, degli economisti da scrivania e dei modelli macroeconomici, finisce per perdere di vista, per marginalizzare il ruolo dell’uomo, giungendo a “confondere i fini coi mezzi” e provocando le crisi finanziarie come l’attuale. A questi “tecnicismi senza sapienza” bisogna preferire l’investimento nella ricchezza della persona umana, l’unico in grado di produrre rendimenti crescenti e duraturi. Il lavoro, che dovrebbe essere occasione di arricchimento e crescita, é il viatico naturale per favorire un simile investimento.

Bergoglio definisce l’Europa come una “nonna” imbolsita e affaticata, preda dei timori e delle manipolazioni, terrorizzata dalla perdita di rilevanza e divisa dalle discordie interne. Oltre a sottolineare come il sostegno reciproco, anche in termini economici, sia l’unico sistema per realizzare un’unione vera e per tornare a crescere, il Papa smaschera quella retorica un po’ ipocrita che vede nell’Europa unita il migliore dei mondi possibili, e che cela in modo goffo le divergenze d’opinioni, i protagonismi e le pecche di fondo che rendono l’Europa attuale una macchina tuttora imperfetta e sempre più facilmente accantonabile.

Con la serenità e la schiettezza che lo contraddistinguono, Papa Francesco si è dunque dimostrato una volta di più un leader vero e un pensatore solido e di larghe vedute, e l’ha fatto proprio di fronte a quei tecnici – Schulz, Van Rompuy e Juncker, tra gli altri- che oltre a distinguersi ultimamente per qualche peccatuccio, troppo raramente sono stati in grado di servire da esempi per le masse, di incantare i cittadini europei, di farli riconoscere in quello che dicevano, di coinvolgerli nelle decisioni sulle questioni che dovrebbero star loro a cuore. Di più: il Papa, avendo colto giustamente i nodi critici dell’attuale panorama economico europeo, si è rivelato un economista completo, attento ai “fondamentali” (quelli veri, non riducibili a numeri o percentuali), che dovrebbero muovere le decisioni dei vertici del vecchio continente. Resta dunque lui l’incontrastato pastore del gregge dei cittadini europei, mentre i tecnici e i capi delle istituzioni sempre di più rischiano di essere ricordati solo per essersi trovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato della Storia.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.