Macroeconomia

Dialogo fra un imprenditore ed un banchiere. 2° parte

8 Febbraio 2017

SEGUE

Noi riteniamo che, anche per la stratificazione sociale del debito bancario,  la sua proposta abbia le gambe per camminare. Riteniamo che permetta, allentando la pressione sui conti delle banche, di facilitare (con l’adozione volontaria o per via legislativa di provvedimenti come quelli attuati in Spagna) la risoluzione dei problemi delle famiglie impoverite dalla crisi che, pur rappresentando il 10% del debito, sono il 90% dei debitori. Con la sua esperienza può confermare quanto noi vediamo nella pratica quotidiana: l’interesse della fascia dei grandi e medi debitori al condono? Di più: il condono estenderebbe (democraticamente, erga omnes) ciò che le grandi e medie aziende colpite dalla crisi stanno già facendo?

Ho detto prima che la varietà dei casi presenti nei portafogli in sofferenza non consente di imboccare una unica via per la soluzione del problema. Tra un credito al consumo , un credito ipotecario  a famiglie , i crediti chirografari per le piccole e medie imprese, le maxi esposizioni verso grandi imprenditori ci sono differenze enormi. Un’impresa può fallire, un privato no.  Può sembrare strano , ma in qualche modo il fallimento tutela l’imprenditore, specialmente quello italiano che notoriamente non è uso coinvolgere  più di tanto il proprio personale patrimonio nel rischio di impresa e lavora con i soldi delle banche. Da sempre. Il privato in Italia non ha questa via di fuga e quindi il creditore farà di tutto per ottenere il massimo dalla liquidazione del suo patrimonio aggredibile. Facendo un minimo di filosofia, in questa disparità c’è una logica. Le imprese hanno bisogno del credito bancario perché questo dà loro la possibilità di svilupparsi, crescere , fare profitti, pagare stipendi, eccetera. Il loro indebitamento e’ socialmente utile. Il privato che ricorre al prestito della banca, se non lo fa per comprare casa e quindi per avviare un corretto percorso di risparmio forzato a beneficio della ricchezza della sua famiglia, di solito sbaglia. Indebitarsi solo per vivere meglio può essere un passo pericoloso per una famiglia con reddito da lavoro. È per questo che non può fallire. Se ha fatto il passo più lungo della gamba ne pagherà le conseguenze. Le procedure del sovraindebitamento sono inefficaci e francamente eticamente discutibili. In entrambi i casi,  le banche però debbono far credito oculatamente e non favorire l’azzardo sia dell’imprenditore che del privato cittadino. In questo c’è una corresponsabilità. La nostra particolarità e’ che siamo contemporaneamente un Paese dove il capitale privato nazionale e’ ben quasi  7 volte il reddito nazionale(il più alto tra i paesi ricchi),  i cittadini hanno un tasso di indebitamento che è tra i più bassi nelle grandi economie del mondo, registriamo un tasso  di propensione al risparmio privato ancora molto significativo, ma in Europa siamo tra i Paesi con il più alto tasso di sofferenze bancarie. Questo dipende essenzialmente dal fatto che produciamo un reddito pro capite troppo basso da troppo tempo , fortemente falcidiato dal fisco. Se non c’è reddito, i debiti non si pagano e le sofferenze crescono. È inevitabile. Altro dato di fatto :  il nostro sistema produttivo è notoriamente bancocentrico, con un livello di indebitamento  bancario delle imprese rispetto al capitale proprio  fortemente squilibrato. Ecco perché le sofferenze verso le imprese sono la quota maggiore del problema, mentre il numero dei privati in difficoltà e’  un multiplo significativo di quello delle imprese. Il fatto è che fino a tutto il primo decennio di questo secolo, le banche, eccessivamente esposte verso le imprese e sperando che la congiuntura invertisse il segno, hanno continuato a sostenere le imprese.Poi è arrivato il credit crunch. Se vi fosse stata più oculatezza e prudenza , forse più vigilanza e comunque meno “passione” per i risultati economici che producono i bonus dei banchieri, il supporto alle imprese industrialmente marginali, non più in grado di competere, le banche lo avrebbero ridotto prima. Non è stato così anche perché, finché un cliente non va in sofferenza , gli interessi addebitatigli sul conto, anche se non verranno mai pagati, gonfiano i margini della banca su cui si calcolano i bonus. Dall’altra parte gli imprenditori si sono ben guardati dal salvare le loro aziende finanziariamente squilibrate immettendo capitale proprio. Piuttosto hanno utilizzato strumenti come il concordato in bianco per perdere tempo, prosciugare le aziende, ritardare il fallimento e trasferire sulle banche  gli effetti della loro incapacità di competere sul mercato.  Sto facendo generalizzazioni. È chiaro! Ci sono tantissimi casi in cui gli imprenditori ce l’hanno messa tutta. Qualcuno ci ha rimesso anche la vita. E tantissimi casi in cui le banche non hanno supportato che si poteva salvare. Ma qui stiamo parlando di un fenomeno, non dei casi , ed il fenomeno è che le nostre imprese sono più piccole e meno capitalizzate dei loro concorrenti europei . La conseguenza è che, quando le banche non ce la fanno più  a sostenerle, le imprese debbono chiudere. Purtroppo non abbiamo una norma, neanche di carattere amministrativo, che impedisca il sovraindebitamento bancario dell’impresa nel rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi. Ci si è pensato tante volte , ma la complessità dei casi ha scoraggiato gli interventi. Abbiamo preferito affidarci alla capacità dei banchieri e degli imprenditori di autoregolarsi. Ma le crisi sono improvvise e non sempre danno il tempo di organizzare le difese. Le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi. Tutto questo è storia. Recriminare serve a poco , ma almeno ricordiamocene per evitare gli stessi errori in futuro. C’è un problema di regole ed uno di cultura imprenditoriale, ma anche solo finanziaria , specie per le famiglie prenditrici. Il fatto è che ora bisogna affrontare e risolvere il problema sofferenze. Ce lo stanno dicendo tutti, grilli parlanti di ogni dove, compresi i grandi speculatori finanziari che scommettono al ribasso sui nostri titoli bancari. Descrivere le banche come sanguisughe non serve. Serve invece sanzionare duramente i singoli comportamenti illegittimi,  ma anche le gestioni errate. La tolleranza verso i colpevoli favorisce l’espandersi di comportamenti scorretti, quando non criminali. Si agisca da parte di chi ne ha il potere ed il dovere. Ma, attenzione , nella mia vita lavorativa ho visto clienti in difficoltà che non si riusciva a capire come avessero potuto ottenere finanziamenti di quelle dimensioni, grandi o piccoli che fossero, rispetto alla loro capacità di reddito e patrimoniale. Numeri non elevatissimi,  ma a volte importi rilevanti. È vero che la maggior parte delle sofferenze riguarda chi non ce l’ha fatta , ma non poche (e di solito sono le più grandi)  riguardano casi previsti e puniti penalmente dall’articolo 137 del TUB. Il mendacio bancario e il falso interno bancario sono reati molto più gravi di quanto si pensi perché possono creare voragini di sofferenza. Non ho dati, ma in tanti anni non ho avuto neanche notizia di clienti e/o funzionari di banca che siano stati condannati per questi reati. Se non ha senso pubblicare i nomi dei grandi debitori, ha sicuramente senso dare notizia di crimini di questo genere. Però non ho ancora risposto alla sua domanda. IL CONDONO PER I PRIVATI E’ UN ATTO DI INTELLIGENZA POLITICA. METTERE IN CONDIZIONE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI FAMIGLIE DI USCIRE DALLA DISPERAZIONE DEI DEBITI NON PAGATI, FRUTTO FORSE ANCHE DI ERRORI DI COMPORTAMENTO , MI SEMBRA ALLO STATO DELLE COSE IL MALE MINORE, UTILE PER SANARE LE CONSEGUENZE DI QUESTA CRISI INFINITA E VOLTARE PAGINA. NATURALMENTE NON È UNA OPERAZIONE SEMPLICE PERCHÉ BISOGNA EVITARE CHE QUALCUNO NE APPROFITTI. È’ UNA QUESTIONE DI REGOLE. VANNO STUDIATE BENE, MA NON SONO IMPOSSIBILI. Per le imprese le soluzioni sono più complicate specie nel caso delle procedure concorsuali. MA IL PUNTO, PER ENTRAMBI I CASI, È CHE, COME ABBIAMO DETTO, LE BANCHE NON POSSONO PERDERE PER FAR GUADAGNARE GLI SPECULATORI. Quindi bisogna dare ai debitori la chance di chiudere la partita con transazioni il più vicino possibile al valore netto di bilancio del loro debito, facendo sì che le banche rinuncino al resto. Transazioni del genere potrebbero indurre gli imprenditori, che siano in grado di farlo, a ricapitalizzare con mezzi propri l’azienda in cui credono. Se non hanno mezzi o comunque non ce la fanno o non ci credono, non aderirebbero al condono e la banca potrebbe tranquillamente vendere il credito ai fondi che con ogni probabilità dovrebbero gestirsi un fallimento. Continuo a credere che sia sano che una azienda marginale fallisca e venga liquidata in tempi rapidissimi senza diventare una fonte di reddito, per anni, perliquidatori, periti, avvocati, eccetera, ingolfando i  tribunali. È sano perché lascia spazio ad un’azienda nuova e più competitiva. Piuttosto bisogna rendere efficienti le procedure di liquidazione, aumentando la responsabilità dei creditori e limitando l’attività del giudice a vigilare sulla legittimità sulla dei loro comportamenti, senza interferire sulle loro scelte “gestionali”.  E poi:  e’ inutile illuderci nel voler cercare a tutti i costi le eccezioni possibili che sconsiglino un’operazione sistemica di bonifica delle banche. In questo caso l’ottimo è nemico del bene. Per voler essere perfetti c’è il rischio di soccombere. Diamolo per scontato:  qualcuno sarà favorito, qualcuno no, ma il nostro sistema economico ha solo da guadagnarci. E non c’è molto tempo. La speculazione ha già scaldato nuovamente i motori. Unicredit ha giocato di anticipo su tutti facendo una svalutazione epocale e puntando sul successo di un aumento di capitale di portata storica. Sicuramente si è messa in sicurezza. Con il tempo vedremo chi comanderà in Unicredit e quanto valore sarà stato trasferito dai soci attuali ai fondi che hanno comprato le sofferenze. Ma quest’operazione non riuscirà a tutte le banche. Quindi le dimensioni del problema restano enormi e l’intelligenza politica deve adottare strumenti straordinari.

E’ evidente che in queste condizioni patologiche (240.000 esecuzioni immobiliari a fronte di 450.000 vendite di appartamenti) il mercato immobiliare non si riprenderà mai. E’ noto che in Italia, senza ripresa del mercato immobiliare non ci sarà mai una stabile ripresa. L’interesse particolare, recuperare il proprio credito o, come quasi sempre succede, una minuscola porzione di tale credito, non nuoce ormai all’interesse generale?

Dicevo prima che il nostro Paese,  tra quelli ricchi, ha il più alto rapporto tra capitale privato nazionale e reddito nazionale: quasi sette volte, contro le quattro degli USA e della Germania. Gran parte di questa straordinaria ricchezza e’ nel patrimonio immobiliare che, aldilà della percezione, non ha subito i tracolli americani. Questo patrimonio, in gran parte usato direttamente dal proprietario, non produce autonomamente reddito e quindi gettito fiscale, se non per alcune imposte, odiose ai più, ma in fin dei conti non particolarmente significative. È vero che i proprietari indebitandosi per acquistare gli immobili producono reddito imponibile attraverso il pagamento dei mutui. Ma la maggior parte del patrimonio immobiliare è sterile sotto il profilo del reddito, perché il debito bancario per acquistarlo è ormai estinto. In termini generali questo non è un vantaggio. Se gli italiani pagassero affitti in misura più ampia di quanto accade, parte significativa del loro reddito produrrebbe gettito fiscale a carico dei percettori degli affitti, come succede nei paesi anglosassoni dove la locazione è più diffusa che da noi.  La sterilità economica di questo immenso patrimonio induce a pensare che sarebbe opportuno accentuare la tassazione patrimoniale per renderlo indirettamente produttivo attraverso l’ Erario che potrebbe così finanziare più spese ed investimenti. Non è così semplice. Le imposte patrimoniali si pagano  con il reddito percepito. Se il reddito pro capite non cresce, come avviene da noi da molti anni, ed anzi si è polarizzato verso quote sempre più piccole  di popolazione, la tassazione patrimoniale non potrà che produrre nuova povertà, minori consumi ed infine minor gettito, ma potrà anche favorire la svalutazione del patrimonio immobiliare e quindi la sua concentrazione nelle mani di chi, essendo liquido, potrebbe approfittare dello stato di necessità del piccolo proprietario impoverito  per acquisire nuova proprietà immobiliare. Insomma in un paese dove i redditi non crescono, una tassa patrimoniale giustificata dall’eccesso di ricchezza patrimoniale sterile non può che accentuare le diseguaglianze. ANCHE QUI: IN UNA SITUAZIONE ECCEZIONALE CI VOGLIONO STRUMENTI CONGIUNTURALI ADEGUATI.  IL NUMERO ENORME DI PROCEDURE ESECUTIVE NON PUÒ CHE FAR CONTRARRE I VALORI DI MERCATO RIDUCENDO LA RICCHEZZA DIFFUSA CONCENTRANDOLA NELLE FASCE DI CITTADINI CON I REDDITI PIÙ ALTI CHE A LORO VOLTA IMPIEGHEREBBERO IL REDDITO NON SPESO (E QUINDI NON PRODUTTIVO DI DISTRIBUZIONE DI ALTRI REDDITI) IN INVESTIMENTI IN PATRIMONIO STERILE. LO STRUMENTO ECCEZIONALE, ANCORA UNA VOLTA, E’ FARE TRANSAZIONI CON I DEBITORI PERSEGUENDO PER QUANTO POSSIBILE L’OBIETTIVO DI NON FARGLI PERDERE LA CASA. Questa impostazione è giustificata da almeno due elementi:

– Le banche fino alla fine della prima decade di questo secolo hanno finanziato gli acquirenti di immobili con molta, a volte troppa,  generosità. Una volta la regola era che il mutuo non superasse il 50 /70% del valore dell’immobile. A crisi già iniziata (2008/2010) le banche continuavano a finanziare anche il 100% del prezzo di acquisto, nell’errato convincimento che il valore degli immobili (e quindi della loro garanzia ) sarebbe ancora cresciuto com’era accaduto negli anni precedenti. Ci eravamo scordati che sul valore degli immobili c’era stato, all’inizio del decennio, un effetto moltiplicatore dovuto all’introduzione dell’euro che aveva nominalmente gonfiato i prezzi. Ma la miopia più grave è stata quella di non rendersi conto, se non molto più tardi, che la riduzione del reddito pro capite e la crescente disoccupazione giovanile (sono i giovani il cliente target dei mutui) avrebbero creato un enorme invenduto. Non aver capito questo ha impedito alle banche di contenere le erogazioni verso il settore edilizio che ora è uno di quelli più in crisi.
– La cospicua quota di invenduto e quella altrettanto grande di beni assoggettati a procedure esecutive spinge in basso i prezzi degli immobili e quindi il valore delle garanzie ipotecarie delle banche anche sui crediti in bonis  e le costringe ad accantonamenti maggiori riducendo la loro capacità di fare credito. D’altra parte lo scarso numero di compravendite immobiliari sta a testimoniare che, nonostante i prezzi ridotti per effetto dell’aste deserte, la contrazione generalizzata dei redditi non consente l’assegnazione dei cespiti esecutati. È un circuito vizioso da spezzare se si vuole tornare a crescere.

Prendiamo atto degli errori fatti e chiudiamo le partite, per quanto possibile, con accordi che sottraggono i debitori all’indigenza, ma anche impediscano agli speculatori di approfittarne. È noto che una delle attività perseguite con maggior determinazione e impegno dai servicers  che operano per i fondi speculativi che hanno acquistato sofferenze ipotecarie dalle banche è  implementare i loro data base immobiliari fin nei minimi dettagli. Lo scopo non è quello di rispondere alla domanda ” a quale prezzo posso vendere la quietanza al debitore?” perché chi vive in una casa di cui non riesce più a pagare il mutuo, in sede transattiva paga quello che può, indipendentemente dal valore dell’abitazione. Lo scopo è invece quello di realizzare un patrimonio di informazioni utili a passare appena possibile dalla speculazione sulle sofferenze alla speculazione sugli immobili. Evitiamolo !

 

Io sono amministratore di aziende la cui attività è stata rallentata dalla crisi ed il cui patrimonio in questi 9 anni si è pesantemente svalutato. Soltanto con un saldo e stralcio (basato sulle capacità e possibilità individuali) o un New Deal bancario (erga omnes) possono salvarci e permetterci di riprendere a produrre occupazione e reddito. Parlando con un lavoratore a reddito fisso a cui nel 2010 abbiamo venduto un appartamento mi è stato detto: “trovo immorale che il debito dell’azienda da lei amministrata sia ridotto del 50, 60%, mentre noi dovremo continuare per 20 anni a corrispondere regolarmente le rate del mutuo”. Io ho ovviamente dato una risposta esaustiva, con soddisfazione ed accettazione intellettuale di chi mi ha fatto la domanda (mi resta qualche dubbio sulla accettazione emotiva). Lei cosa risponderebbe?

Rispondo semplicemente che i debiti vanno pagati e che se si arrivasse ad una sanatoria straordinaria per rispondere ad una straordinaria storia di crisi, per il futuro ci dobbiamo aspettare maggiore oculatezza nell’erogazione del credito e conseguentemente maggior rigore nel trattare il debitore insolvente. Mai e poi mai una sanatoria sulle sofferenze deve indurre a pensare che si possa ripetere. 

 

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