Macroeconomia
Dialogo fra un imprenditore ed un banchiere. 1° parte
Profili pubblicati su Gli Stati Generali.
Giovanni Pastore, amministratore di società attive nel settore immobiliare, prima di fare l’imprenditore ha collaborato per alcuni anni, tenendo corsi e seguendo tesi di laurea con il Prof. Raimondo Luraghi, grande storico e, forse ancora più importante, grande testimone della storia (ufficiale nella guerra, comandante del presidio al colle di Tenda nell’estate del 1943, partigiano azionista della prima ora). Da fine agosto 1943, vedeva, dalla fortificazione di Tenda, i carri armati e le truppe tedesche passare dalla Francia occupata all’Italia, senza ricevere ordini sul da farsi. Nella sostanza la classe dirigente italiana non cambia mai.
Dino Crivellari, Avvocato, già dirigente bancario con esperienza nei principali gruppi italiani, esperto nella gestione dei crediti in sofferenza (Npl), docente in corsi e master universitari. Mi occupo della gestione di Npl dal 1993 prima in Sigrec, il primo servicer italiano controllato da una banca, e poi nel gruppo Unicredit. Fino al 2015 sono stato direttore generale e poi amministratore delegato di UniCredit Credit Management (Uccmb), banca specializzata nella gestione del contenzioso bancario con oltre 70 miliardi di portafoglio gestito.
L’avv. Crivellari, in un articolo del 3 ottobre, lancia un sasso nello stagno del dibattito economico e politico italiano, defininendo con chiarezza i contorni economici della vicenda NPL. Si convince (giustamente) che Atlante non sarà in grado di risolvere il problema e formula la proposta del condono bancario.
Con un gruppo di amici: l’avvocato Biagio Riccio di Favor Debitoris, il membro della giunta nazionale di Confimprese Italia, Vincenzo Perrotta, Giovanni Schiavon, ex Presidente del Tribunale di Treviso, fondatore dell’Associazione Azionisti VenetoBanca ed ex vicepresidente della stessa VenetoBanca, il coordinatore della Fondazione antiusura S. Giuseppe Moscati di Napoli, l’avvocato Pasquale Riccio, abbiamo accolto con estremo interesse la provocazione intellettuale.
Rispondiamo a Crivellari il 7 novembre, approvando la proposta ed ampliandone i contenuti, con una maggiore attenzione agli impoveriti.
seguono altri articoli che riprendono ed approfondiscono questi argomenti, richiamo soltanto quelli del 18 novembre, del 21novembre e del 29 dicembre.
Questo dibattito suscita interesse fra chi cerca di comprendere la realtà dei fenomeni e ci vengono ripetutamente chiesti da degli approfondimenti. Per questi approfondimentabbiamo scelto la formula (cara alla letteratura italiana) del dialogo. Mi auguro che serva per sviluppare un dibattito serio. Le evidenziazioni in grassetto sono una scelta di chi posta l’articolo (Giovanni Pastore). Graficamente le parole di Pastore sono riportate in carattere normale, quelle di Crivellari in corsivo.
Io ho avuto con le aziende bancarie da lei dirette importanti contenziosi, risolti dopo un confronto anche aspro, con transazioni nell’interesse delle due parti. In questi contenziosi lei ha agito (o ha ispirato l’azione dei suoi collaboratori) come un inflessibile esecutore dei diritti e degli interessi della banca. In questo ultimo anno, nei suoi interventi su Wall Street Italia e su Gli Stati Generali suggerisce delle soluzioni concrete per il bubbone degli NPL. Tali soluzioni sono basate su di una visione contraria a quello che lei definisce il pensiero debole. Potrebbe fornirci una rapidissima sintesi (rimandiamo poi agli articoli che lei ha scritto chi vuole approfondire questa sua tesi) sulla necessità, anzi sulla opportunità per banche, imprese ed anche famiglie di andare a quello che Lei definisce provocatoriamente un “condono bancario”?
Negli ultimi vent’anni della mia carriera bancaria, mi sono occupato di gestire i crediti insoluti delle banche secondo un metodo, per allora e forse ancora oggi, piuttosto innovativo rispetto a quello classico del coltivare ad ogni costo l’azione giudiziale ai fini liquidatori del patrimonio rispondente del debitore. Il metodo è basato sulla “vendita della quietanza”. Che significa ? Dal 1993 le banche italiane sono tutte ” imprese ” e non più istituti di natura pubblica, quindi, come tutte le imprese , sono avvezze al rischio. Nel caso delle banche il ruolo rischio prevalente è il ” rischio di credito “. Ne consegue che, se un finanziamento va male, fa parte del rischio di impresa che deve essere opportunamente mitigato contemperandolo allo scopo di lucro che la banca persegue. Se una operazione entra in contenzioso per l’insolvenza del cliente, come minimo c’è una parte di responsabilità della banca nell’aver sbagliato le valutazioni in sede di erogazione ovvero nel non aver monitorato con prudenza e tempestività l’andamento della controparte. Le banche non sono “obbligate” a fare credito a chiunque. Sono “interessate” a fare credito come un negoziante e’ interessato a vendere la sua merce. Se la banca accetta di “comprare il debito del cliente” (erogare credito non è altro che questo ) lo fa per mestiere, consapevole che usa i soldi dei suoi depositanti cui deve restituirli a richiesta. Proprio perché la banca presta soldi non suoi, deve farlo con estrema prudenza. Se li presta a chi non li merita o non tiene sotto controllo con attenzione l’andamento del rischio, è sua la responsabilità delle conseguenze verso azionisti e depositanti. Accettare il rischio vuol dire assumersi la responsabilità professionale e imprenditoriale delle conseguenze. Ne consegue che le perdite derivanti dal rischio di credito vanno considerate un po’ come “gli scarti” di produzione di una azienda manifatturiera. Meno scarti produci, più efficiente sei, ma pensare di non avere scarti di produzione è un’illusione . Il problema di oggi è che la quantità di scarti di produzione è talmente elevata che dimostra l’inefficienza del sistema bancario dovuta ad una fase storicamente eccezionale: la crisi di quest’ultimi 10 anni. Proprio come per gli scarti di produzione di un’azienda manifatturiera, il bravo banchiere si ingegna per minimizzare le perdite sui crediti. Per far questo deve minimizzare anche i costi di smaltimento di questi scarti, a cominciare dai costi legali. E qui emerge un altro aspetto fondamentale. La prima cosa da fare quando un cliente entra in contenzioso è capire come è entrato in crisi, quando e perché. Non è una curiosità, ma una necessità. La banca ha l’ obbligo del monitoraggio continuo del rischio e ha la possibilità ,di norma, di uscire dal rischio revocando i fidi per giustificato motivo. Se non l’ha fatto, ha sbagliato. E gli sbagli si pagano. Quindi è bene essere consapevoli che se siamo arrivati tardi avremo un costo da registrare nei conti che si chiama perdita su crediti. Acclarato l inadempimento del debitore, la seconda domanda da porci è: quanto posso recuperare ? Per rispondere si debbano usare le stesse metodiche di analisi che servono per erogare un credito. Erogare e recuperare crediti sono le due facce di una stessa medaglia tenute insieme dalle tecniche di valutazione della controparte. Non porsi queste domande vuol dire imboccare senza criterio la strada della pretesa giudiziaria che comporta costi, incertezze, tempo. È statisticamente provato che il risultato dell’azione giudiziaria, in termini economici e patrimoniali, è peggiore rispetto a quello di determinati e professionali tentativi di composizione stragiudiziale guidati dalla risposta alla domanda ” quanto posso recuperare ?”. Per rispondere compiutamente bisogna ricreare la cd “simmetria informativa” bisogna cioè avere ricchezza di informazioni sullo stato del debitore, gran parte delle quali si riescono ad ottenere anche senza la sua collaborazione . Ma se si ottiene la collaborazione del debitore, che normalmente non è un truffatore, ma “uno che non ce l’ha fatta” per mille motivi, il risultato, l’accordo transattivo, sarà il miglior risultato possibile, sicuramente migliore di quello di una lunga guerra giudiziaria dove, se non altro perché debbono essere coinvolti altri attori, avvocati , magistrati, periti eccetera, la torta disponibile (il patrimonio rispondente del debitore) dovrà essere diviso con altri. La collaborazione con il debitore si ottiene se chi tratta il contenzioso si comporta da “venditore di quietanze” e non da “esattore”. Questo non significa che non debbano utilizzarsi gli strumenti di tutela legale dei diritti della banca, se non altro per indurre al negoziato il debitore, spesso recalcitrante perché mal consigliato o timoroso. Ma, salvo casi limite, questa non è la strada maestra. L’azienda da me diretta negli ultimi 16 anni, prima della crisi, aveva statisticamente tassi di recupero stragiudiziale (cioè da “quietanze vendute”) superiori al 90%. La crisi non ha aiutato. Anzi ognuno si è chiuso a riccio, debitori e banche, in una difesa senza canali di comunicazione aperti, perché per ciascuno, reso pessimista dalla crisi, lo scontro si trasformava in un “vivere o morire”. In conclusione la mia provocazione sul “condono” non è altro che lo sviluppo naturale della teoria della “vendita della quietanza” applicata alla straordinarietà della crisi.
Ho letto con attenzione i suoi articoli, li ho fatti leggere a coloro (esponenti di fondazioni antiusura e di associazioni imprenditoriali) con i quali collaboro alla difesa degli usurati. Abbiamo sempre pensato (non essendo pregiudizialmente contrari alla attività bancaria) che 9 anni di crisi economica, senza uno sbocco prevedibile, avrebbero prodotto, con la forza dei fatti, un ripensamento. Abbiamo constatato che, all’interno del mondo bancario, esistono posizioni più aderenti alla realtà rispetto a molti che vogliono continuare in quello che lei giustamente definisce pensiero debole. Molti dirigenti bancari non si rendono conto di star alimentando una patologia: da dati pubblicati nei giorni scorsi lo scorso anno ci sono state 240.000 esecuzioni immobiliari e 450.000 vendite di appartamenti. Con l’eventuale cessione degli NPL ai fondi speculativi questi dati non possono che crescere esponenzialmente. Anche lei giudica patologica questa situazione e può darci il suo parere su questo aspetto del recupero crediti che investe la sorte di centinaia di migliaia di famiglie italiane?
Recentissimi particolareggiati studi della Banca d’Italia aprono gli occhi sulla situazione. Dal 2006 al 2013 le banche italiane hanno recuperato il 47% del valore complessivo dei crediti in sofferenza. Le migliori cinque banche, cioè quelle che hanno monitorato meglio i rischi e sono uscite prima dalle relazioni con clienti critici, nel decennio hanno recuperato in media tra l’80 e il 55%. Le peggiori cinque, cioè quelle meno brave a valutare cliente ed a monitorarne l’andamento, hanno comunque recuperato intorno al 40%.
Questo significa che la copertura attuale dei rischi (cioè le previsioni di perdita), in media del 59%, non è sbagliata. Anzi è un po’ più prudente del necessario. Sempre nello stesso studio la Banca d’Italia nota che, nel biennio 2014 / 2015, il tasso di recupero e’ sceso dal 47% al 35% a causa di vendite di portafogli di sofferenze a fondi di investimento a prezzi prossimi al 23%! Ignazio Visco, in una recente intervento al Forex, ha tuonato contro l’oligopolio dei fondi che comprano a prezzi così bassi da mettere le banche in condizione di non potersi liberare delle sofferenze ovvero di farlo solo registrando perdite consistenti se non insopportabili. Tutto questo milita a favore della affermazione: le banche non devono vendere ai fondi perché recuperano di più gestendosi direttamente le sofferenze. Purtroppo non è così semplice. 200 miliardi di sofferenze, che sono già costate alle banche 120 miliardi di perdite, sono un peso che rende il sistema bancario inefficiente. Non ce lo possiamo permettere. Se le banche non ritornano a fare (bene!) il loro mestiere, il nostro Paese non si riprende e quello che potrebbe succedere molto presto è che molte banche, anche grandi, saranno preda di investitori stranieri. Non è un bene scaricare solo sulle banche, attraverso le perdite su crediti, tutto il peso di una micidiale crisi decennale. In tanti paesi occidentali lo Stato è intervenuto per salvare la situazione, ma noi come al solito stiamo arrivando tardi. Ma è altrettanto pericoloso che un paese, che già non ha più alcuna autorità sulla moneta, perda anche un sistema bancario nazionale. Non siamo contrari agli investimenti esteri, anzi sono da favorire in tutti modi, ma non possiamo lasciare prevalentemente in mano agli investitori stranieri il sistema bancario, che costituisce una infrastruttura fondamentale come le reti ferroviarie, stradali, di telecomunicazioni, acquedotti, eccetera. Se la politica, che già non eccelle, non avesse modo di collaborare e contare su queste infrastrutture, il benessere dei cittadini sarebbe alla mercé di investitori che puntano, legittimamente, solo al profitto. Non sempre il driver del profitto è coerente con gli interessi complessivi di una comunità nazionale. Quindi le banche vanno affrancate quanto prima dal peso delle sofferenze. Una soluzione adatta è quella di creare una Bad Bank nazionale che abbia “tempo” di ritrasformare le sofferenze in denaro e che non abbia come compito quello di speculare sulle spalle dei debitori e delle banche. Per contrastare l’oligopolio dei fondi basterebbe cedere i crediti in sofferenza alla Bad Bank ad un prezzo intorno al valore di recupero previsto nei bilanci delle banche stesse (che abbiamo visto essere realistico ) ed attualizzare i relativi flussi di cassa attesi a tassi di mercato (tra il due e il 6%) e non ai tassi di rendimento del 15 / 20% come pretendono i fondi speculativi. Teniamo conto che le perdite da cessione registrate dalle banche corrispondono esattamente al guadagno dei fondi speculativi . Ad oggi, se tutte le sofferenze venissero vendute ai fondi ai prezzi che loro sono disposti a pagare, le banche perderebbero 40 miliardi ed i fondi guadagnerebbero 40 miliardi. Se la Bad bank investisse ad un rendimento del 2/6% la perdita massima sarebbe di 10 miliardi, sopportabili, e non di 40, esiziali. Ma il ruolo prevalente della Bad Bank dovrebbe essere anche un altro: fungere da ammortizzatore sociale gestendo il rapporto con i debitori nella logica della vendita della quietanza, cioè della ricerca dell’accordo con il debitore e non della mera esazione. Le 240.000 esecuzioni immobiliari cui lei fa riferimento non posso che produrre un ulteriore impoverimento del nostro Paese per la conseguente svalutazione del patrimonio immobiliare, già provato da 10 anni di crisi. La Bad bank dovrebbe gestire tempi lunghi. L’esperienza della SGA, che da vent’anni gestisce con successo e proficuamente le sofferenze del Banco di Napoli, e ‘ da considerare un esempio. Ma dove trova la Bad bank 80 miliardi per comprare dalle banche le sofferenze? Da nessuna parte. O meglio costruire la provvista di una Bad bank di queste dimensioni è veramente impervio. Si possono fare tante ipotesi compresa quella, che non considero del tutto peregrina, che almeno una parte della provvista provenga direttamente dai risparmiatori. Checché se ne possa pensare, un titolo senior (cioè il primo che viene pagato in una cartolarizzazione) è molto più sicuro e liquido di tante obbligazioni subordinate a lungo termine e di tante quote di fondi di investimento di cui sono pieni i conti titoli degli italiani. Altra alchimia possibile è che la Bad Bank venga finanziata contemporaneamente da investitori “impazienti” ma liquidi (i fondi speculativi) e da investitori “pazienti” (assicurazioni, fondi pensione, eccetera) avvezzi e disponibili ai rendimenti degli investimenti di lungo periodo. La verità è che non esiste una soluzione unica , a meno che non sia una soluzione statale, con il debito pubblico che si fa carico del problema : la crisi . Ad eventi eccezionali, strumenti eccezionali. In USA ed in diversi paesi europei così si è fatto negli anni scorsi e la situazione è nettamente migliorata. Non escluderei nemmeno che, per limitare il conseguente squilibrio dei conti pubblici, si possa ventilare almeno in parte un ricorso a prestiti forzosi, fortemente progressivi in relazione al reddito ed ai patrimoni del sottoscrittore ” forzato “. In Italia è già successo negli anni 20 con quel prestito, passato alla storia come “irredimibile 5%” , che ebbe un buon successo e fu accettato di buon grado dagli italiani evitando al Paese di cadere nell’abisso inflazionistico in cui, contemporaneamente, sprofondava la repubblica di Weimar. Se questo strumento venisse utilizzato anche solo per finanziare l’acquisto da parte di una Bad Bank dei debiti delle famiglie in difficoltà, saremmo nell’ambito di applicazione di un principio solidaristico nobile quanto opportuno visto la situazione. Criticare i tedeschi per il loro egoismo che sta mettendo in crisi euro ed Europa perché non vogliono farsi carico dei debiti dei paesi più in difficoltà è risibile se logiche di solidarietà nazionale non trovano spazio dentro i confini del nostro Paese. In ogni caso la soluzione avrà bisogno di uno strumento articolato perché non tutte le sofferenze possono essere trattate allo stesso modo. Quindi Bad Banks, cessioni, gestioni interne, scissioni patrimoniali eccetera andranno intelligentemente ed opportunamente utilizzati e miscelati. L’unica cosa che non deve accadere è che per salvare le banche si facciano guadagnare i fondi speculativi. Di fronte ad una prospettiva del genere la Politica dovrebbe intervenire e imporre alle banche di offrire ad ogni singolo debitore una quietanza da pagare ad un prezzo non inferiore a quello che i fondi sono disposti a pagare. Che si chiami newdeal , condono o sanatoria, l’importante è non favorire una speculazione odiosa da parte di un oligopolio nei confronti del quale chi tace , potendo intervenire , si rende complice di un danno sociale. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha già preso le distanze, ma non può fare molto di più, ormai, se non vigilare e sanzionare i banchieri che provocano o hanno provocato danni al sistema. Vedremo chi ne seguirà l’esempio.
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